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martedì, Marzo 19, 2024
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Procedure coronariche invasive e professione infermieristica tra vantaggi e limiti.

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Tutto si ripercuote sui carichi di lavoro. Ecco le procedure coronariche invasive più in voga, tra vantaggi e limiti per la Professione dell’Infermiere.

Procedure coronariche invasive. Negli ultimi anni la Cardiologia interventistica ha rivoluzionato il trattamento e il decorso terapeutico dei pazienti cardiopatici e gli interventi di rivascolarizzazione coronarica percutanea, ossia l’Angiografia coronarica o Coronarografia e l’Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea (PTCA). Grazie anche alla radiologia interventistica oggi giorno si ha la possibilità di trattare un ampio spettro di patologie e un numero elevato di pazienti ad un costo inferiore rispetto alle tecniche chirurgiche tradizionali.

Tali  procedure , inoltre, permettono di ridurre i rischi per il paziente utilizzando tecniche mini invasive e requisiti anestesiologici meno stringenti (1). Per questi motivi tali metodiche sono in espansione in tutte le nazioni tecnologicamente sviluppate, con un tasso di crescita del numero di procedure per unità di popolazione dell’ordine del 12-25% all’anno (2).  Il personale infermieristico svolge un ruolo fondamentale nello svolgersi di tali procedure, in quanto chiamato ad operare sia nei laboratori di emodinamica  sia nei reparti di degenza come la Cardiologia o UTIC .

Storia del cateterismo cardiaco

Facendo alcuni accenni alla storia e all’evoluzione del cateterismo cardiaco possiamo dire che esso ha avuto origine oltre 400 anni fa. Più precisamente la prima angioplastica coronarica sull’uomo fu eseguita nel 1977 (3) e solamente nel 1989 Campeau descrisse per la prima volta l’arteria radiale come una valida alternativa all’approccio femorale, applicato dallo stesso per le procedure diagnostiche nel medesimo anno (4).

L’Angiografia coronarica o Coronarografia

L’Angiografia coronarica o Coronarografia, introdotta per la prima volta nel 1929 dal medico tedesco Werner Forssmann (5)  è una metodica che consiste nella visualizzazione radiografica dei vasi coronarici che distribuiscono il sangue al muscolo cardiaco tramite iniezione di mezzo di contrasto radiopaco. Con la Coronarografia, infatti, è possibile studiare la morfologia delle coronarie, il decorso e la presenza di eventuali ostruzioni e restringimenti. Tale metodica oltre ad avere finalità diagnostiche, può avere anche risvolti interventistici e curativi. L’esame viene compiuto in anestesia locale mediante un ago introdotto con una guida attraverso la manovra di Seldinger.

L’Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea (PTCA)

L’Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea (PTCA) praticata per la prima volta nel 1977 dal tedesco Grüntzig , è una procedura invasiva che si esegue in sala Emodinamica dopo l’esecuzione di Coronarografia in anestesia locale e che permette di verificare effettivamente la lesione da trattare, evitando un vero e proprio intervento chirurgico, attraverso la dilatazione di restringimenti (stenosi) delle arterie coronariche con un piccolo palloncino gonfiabile che andrà a posizionare uno stent a livello della sezione ristretta dell’arteria.

Scopo della tesi

L’obiettivo principale del nostro studio è stato quello di valutare quale accesso arterioso, tra quello radiale e quello femorale risulti essere migliore per le procedure diagnostiche coronariche invasive, prendendo in considerazione alcuni fattori rilevanti come: complicanze, mobilizzazione del paziente, tempi di degenza, carico di lavoro del personale, comfort del paziente e compliance dello stesso.                                                            Partendo da questi presupposti gli obiettivi specifici che si sono individuati in questo studio e che sono stati analizzati sono i seguenti:

a. valutazione delle procedure coronariche e delle procedure interventistiche (PTCA) sia con approccio radiale che femorale eseguite presso l’UOSD di Emodinamica dell’U.O.C. di Cardiologia – UTIC dell’ IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo (FG);

b. comparazione tra l’accesso radiale e quello femorale per efficacia e tempo di scopia;

c. analisi e confronto di alcune variabili;

d.valutazione delle complicanze maggiori e minori (o loco regionali) per un periodo temporale di attività di 6 mesi.

Materiali e metodi

La popolazione oggetto dello studio è un campione di 400 unità statistiche, ossia pazienti  afferiti presso l’UOSD di Emodinamica dell’U.O.C. di Cardiologia – UTIC dell’ IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo (FG) e sottoposta a Coronarografia e Angioplastica con approccio sia transradiale che transfemorale tra il 1° Marzo 2015 e il 31 Agosto 2015.

Per lo studio sono state prese in considerazione alcune variabili quali: sesso, età, fattori di rischio come: fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa, diabete mellito, obesità,dislipidemia, familiarità per patologia cardiovascolare, pregresso IMA, pregresso posizionamento di STENT, “altro” (linsufficienza renale cronica, familiarità per morte improvvisa, trombocitopenia, ex fumatore e nessun fattore di rischio; tempo di scopia ; terapia eseguita o consigliata: Terapia Medica, Riabilitazione Cardiovascolare, Consulenza Cardiochirurgia,Terapia Chirurgica d’urgenza).

Risultati

Discussione

La letteratura scientifica afferma che l’approccio radiale, in una procedura coronarica invasiva, è una valida alternativa all’approccio femorale in quanto più sicura, affidabile ed efficace (6).

Negli ultimi anni, nel campo della cardiologia interventistica, si è visto un notevole aumento di successo della procedura e una netta riduzione di complicanze ischemiche ed emorragiche, grazie anche e soprattutto ai progressi delle terapie antitrombotiche e alle strategie farmacologiche e tecnologiche dei dispositivi utilizzati (7). Grazie a questi successi, recentemente, si è posta molta attenzione a ridurre le complicanze associate all’ accesso vascolare (8). La ricerca di un approccio volto a ridurre il sanguinamento unito all’obiettivo di migliorare il comfort del paziente, ha portato ad un rinnovato interesse dell’accesso arterioso radiale, rispetto al tradizionale accesso femorale per procedure terapeutiche e interventistiche coronariche. L’approccio transfemorale è rimasta la principale via di accesso arteriosa per il cateterismo cardiaco negli Stati Uniti. Fino a poco tempo fa, infatti, solo il 1,3% degli interventi coronarici effettuati negli USA furono eseguiti mediante l’approccio transradiale (9).

Cateterizzazione transradiale.

La cateterizzazione transradiale, invece, è molto più eseguita in Europa e in Asia anche se negli Stati Uniti tale approccio sta avendo sempre più un crescente utilizzo. Uno dei più grandi studi randomizzati di confronto tra l’approccio transradiale e quello transfemorale per Angiografia coronarica è stato pubblicato nel mese di Aprile 2011. In questo studio sono stati sottoposti ad indagine oltre 7.000 pazienti con sindrome coronarica acuta provenienti da 158 ospedali di 32 paesi. Nello studio, inoltre, si rilevò poca differenza tra i gruppi di cateterizzazione in termini di outcome primario, di morte, di infarto del miocardio, di ictus o di sanguinamento (3,7% dei pazienti nel gruppo di accesso radiale e 4% nel gruppo di accesso femorale) mentre le percentuali di successo procedurali furono elevate in entrambi i gruppi: 95,4% nell’approccio transradiale e 95,2% nell’approccio transfemorale.

I principali tassi di complicanze vascolari, invece, furono più alti nell’approccio transfemorale (3,7% vs 1,4%). Il tempo di fluoroscopia mediana fu, invece, più alta nel gruppo radiale rispetto al gruppo femorale (7,8 min vs 6,5 min) (11).

In letteratura Santas et al. (2009) sostengono che l’approccio radiale sia una valida alternativa all’approccio femorale in quanto più sicura, affidabile ed efficace. I vantaggi di tale approccio sono rappresentati da un minor tasso di complicazioni e di conseguenza da un miglior comfort del paziente e un minor tempo di degenza. Tutto questo si traduce in minori costi per l’azienda ospedaliera.

Nonostante la letteratura ci confermi tali vantaggi, ancora oggi è in uso, anche, l’approccio femorale.

La maggiore limitazione dell’approccio radiale consiste solamente in una difficoltosa tecnica di intervento che tende a risolversi, però, con una curva di apprendimento specifica per questa metodica.

Conclusioni

Sempre più evidenze dimostrano che i vantaggi legati all’esecuzione di procedure coronariche invasive con approccio radiale ne superano i limiti. Tali vantaggi non sono limitati solo alla sfera medica con una riduzione delle complicanze, ma si estendono anche ai campi della gestione del personale con una netta riduzione dei carichi di lavoro e delle risorse economiche con una diminuzione delle spese per singola procedura e con un incremento delle procedure totali.

Inoltre, l’accesso radiale apre prospettive nuove, non altrimenti percorribili mediante l’acceso femorale pensando a delle procedure ambulatoriali o day hospital e che possano permettere di raggiungere tanti pazienti, per vari motivi sia clinici e/o emotivi.

L’approccio radiale non deve essere considerato come una semplice alternativa all’approccio femorale, bensì come un’innovazione da introdurre definitivamente nella pratica quotidiana della cardiologia invasiva.

Bibliografia

  1. Tofani, A. (2008) “La radioprotezione degli operatori e dei pazienti in Radiologia Interventistica”, Il Giornale Italiano di Cardiologia Invasiva, n. 2, pp. 1-12.
  2. International Commission on Radiological Protection (ICRP) (2000) “Avoidance of Radiation Injuries from Medical Interventional Procedures”, ICRP Publication 85, vol. 30, n. 2, pp. 1-72.
  3. Monagan, D. & Williams, D. O. (2007) “Journey into the Heart: A Tale of Pioneering Doctors and Their Race to Transform Cardiovascular Medicine”, Gotham Books Edition.
  4. 4. Campeau, L. (1989) “Percutaneous radial artery approach for coronary angiography”, Cathetization and Cardiovascular Diagnosis, 16, n. 1, pp. 3-7.
  5. Tonioni, S., Gonnella, C., D’Errico, F. & Carbone, M. A. (2011) “La Coronarografia”, Cardiologia dello Sport, vol. 1, n. 1, pp. 117-122.
  6. Santas, E., Bodí, V., Sanchis, J., Núñez, J., Mainar, L., Miñana, G., Chorro, F. J. & Llácer, A. (2009) “The Left Radial Approach in Daily Practice. A Randomized Study Comparing Femoral and Right and Left Radial Approaches”, Revista Española de Cardiología, vol. 62, n. 5, pp. 482-490.
  7. Singh, M., Rihal, C. S., Gersh, B. J., Lennon, R. J., Prasad, A. & Sorajja, P. (2007) “Twenty-five-year trends in in-hospital and long-term outcome after percutaneous coronary intervention: a single-institution experience”, Circulation, vol. 115, n. 22, pp. 2835-2841.
  8. Dauerman, H. L., Rao, S. V., Resnic, F. S. & Applegate, R. J. (2011) “Bleeding avoidance strategies. Consensus and controversy”, Journal of the American College of Cardiology, vol. 58, n. 1, pp. 1-10.
  9. Rao, S. V., Ou, F. S., Wang, T. Y., Roe, M. T., Brindis, R. & Rumsfeld, J. S. (2008) “Trends in the prevalence and outcomes of radial and femoral approaches to percutaneous coronary intervention: a report from the National Cardiovascular Data Registry”, JACC Cardiovascular Interventions, vol. 1, n. 4, pp. 379-386.
  10. Bertrand, O. F., Rao, S. V., Pancholy, S., Jolly, S. S., Rodes-Cabau, J. & Larose, E. (2010) “Transradial approach for coronary angiography and interventions: results of the first international transradial practice survey”, JACC Cardiovascular Interventions, vol. 3, n. 10, pp. 1022-1031.
  11. Jolly, S. S., Yusuf, S., Cairns, J., Niemelä, K., Xavier, D., Widimsky, P., Budaj, A., Niemelä, M., Valentin, V., Lewis, B. S., Avezum, A., Steg, P. G., Rao, S. V., Gao, P., Afzal, R., Joyner, C. D., Chrolavicius, S., Mehta, S. R. & RIVAL trial group (2011) “Radial versus femoral access for coronary angiography and intervention in patients with acute coronary syndromes (RIVAL): a randomised, parallel group, multicentre trial”, Lancet, vol. 377, n. 9775, pp. 1409-1420.

Matteo Cappucci, Infermiere.

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