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Intention to leave. Gli Infermieri italiani scappano all’estero o lasciano il lavoro per stipendi da fame e carriere inesistenti.

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Cosa è l’intention to leave? Il fenomeno al centro di una ricerca che spiega il perché gli Infermieri italiani scappano all’estero o lasciano il lavoro: stipendi da fame, turni massacranti e carriera inesistente.

Nel 2019 emergeva da uno studio condotto dalla docente universitaria e Infermiera Loredana Sasso (ed altri), dal titolo emblematico “Push and pull factors of nurses’ intention to leave“, che in Italia il 35,5% degli Infermieri intervistati (4000 unità) intendeva lasciare l’Italia e trasferirsi all’estero, mentre il 33,1% di loro annunciava l’intenzione di cambiare lavoro e di lasciare per sempre la professione.

Il fenomeno, sotto gli occhi di tutti, sembra essere aumentato a dismisura dopo la Pandemia Covid, con colleghi scappati in massa all’estero e tantissimi che hanno deciso di fare altro. Dai dati diramati nei giorni scorsi anche dalla Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) è emerso un fattore numerico preoccupante: oltre 18.000 Infermieri / Infermieri Pediatrici sono già emigrati o fanno da frontalieri.

Il fenomeno è stato sintetizzato nel termine inglese intention to leave (ITL). E’ presente a livello nazionale nel nostro Paese e sta costantemente aumentando, con picchi nella fase post-pandemica. Chi dice di voler abbandonare poi lo fa veramente motivato da stipendi da fame, impossibilità di fare carriera e turni sempre più massacranti per via della mancanza ormai cronica di personale infermieristico a tutti i livelli.

Gli Infermieri italiani si dicono stanchi, affaticati, delusi, completamente bruciati (in burnout). Chi non abbandona continua a vivere la professione in maniera sofferente, anche se non lo dà spesso a vedere per una sorta di “missione” che porta spesso alla perdita stessa dell’essenza professionale e del senso di appartenenza ad una categoria sì numerosa (oltre 445.000 colleghi nel pubblico e nel privato), ma incapace di farsi ascoltare e persino di fare rumore.

L’intenzione di lasciare si concretizza di fatto in abbandoni. Anche quando non culmina con l’abbandono genera comunque stanchezza, affaticamento, disagio, malessere nel professionista, nel gruppo e più in generale nell’ambiente di lavoro.

Lo studio del Prof. Cortese.

In un recente studio dal titolo “Predictors of intention to Leave the nursing profession in two Italian hospitals” condotto da Claudio Giovanni Cortese dell’Università degli Studi di Torino è emerso quanto segue:

La carenza di infermieri è riconosciuta come problema mondiale: comprendere i fattori che favoriscono l’intenzione degli infermieri di lasciare la professione (ITL) è quindi essenziale per ridurne l’impatto.

Lo studio mira a fornire informazioni sui fattori che influenzano l’ITL degli infermieri, tenendo conto delle caratteristiche personali, delle caratteristiche del contesto e dei fattori di soddisfazione lavorativa.

Metodo utilizzato.

Lo studio è stato condotto in due ospedali del Nord Italia, mediante un questionario somministrato a tutti gli infermieri impiegati; Sono stati distribuiti 746 questionari, di cui 525 (70,4%) sono stati restituiti compilati. Il questionario era composto da quattro sezioni: caratteristiche personali, caratteristiche del contesto, soddisfazione lavorativa (44 item dell’adattamento italiano dell’Indice di soddisfazione lavorativa di Stamps) e ITL (item singolo). Le statistiche descrittive, l’analisi dell’affidabilità, l’analisi univariata e il modello di regressione logistica multipla sono state eseguite utilizzando Pasw18.

Risultati ottenuti.

Una maggiore soddisfazione sul lavoro è stata registrata per Interazione con gli infermieri, Stato professionale e Autonomia; si registra invece una percezione di insoddisfazione per i requisiti Retribuzione e Lavoro; Il 14,6% degli intervistati ha segnalato ITL. Infine, una bassa soddisfazione lavorativa per lo stato professionale, la retribuzione e le politiche di organizzazione del lavoro, l’età < 30 anni e l’orario part-time sono associati a ITL più elevati.

Nello specifico.

Lo studio ha permesso di identificare vari predittori di ITL, rafforzando l’importanza di un monitoraggio regolare dell’ITL. Per limitare l’ITL, le organizzazioni dovrebbero: investire su alcuni fattori di soddisfazione sul lavoro, promuovere l’integrazione organizzativa dei nuovi arrivati e prevenire l’escalation del conflitto lavoro-famiglia e lavoro-vita.

Il punto di vista del Prof. Catania.

In una recente intervista a “L’Infermiere Online” il Prof. Gianluca Catania dell’Università degli Studi di Genova, spiegava che l’intenzione di lasciare impatta pesantemente anche sugli esiti e la qualità delle cure. Basti pensare all’interruzione della continuità dell’assistenza, alla diminuzione della soddisfazione dei pazienti, all’allungamento dei tempi di attesa, alla compromissione della relazione che per gli infermieri è tempo di cura. Un quadro, dunque, complessivamente preoccupante e che sottende la presenza negli ambiti operativi, di molti fattori favorenti questa intenzione.

E non è tutto, Catania, ha ribadito l’insoddisfazione lavorativa che nasce da carichi di lavoro elevati, una retribuzione non adeguata a ruoli e funzioni, la mancanza di crescita professionale e di opportunità, l’esaurimento emotivo, la mancanza di supporto da parte di dirigenti, colleghi e dall’organizzazione in generale.

Come reagire all’intention to leave (ITL)?

Occorre per prima cosa rendersi conto, come professione, che il problema esiste realmente. Poi per gradi intervenire sulla politica, sulle università, sui sindacati e sulle organizzazioni ordinistiche perché all’unisono si attivino per garantire:

  • stipendi adeguati alle responsabilità, magari con incentivi maggiori per chi studia, si forma e raggiunge alti livelli di preparazione, di esperienza e di competenze reali;
  • riformulazione dei Piani Didattici Universitari alla cosiddetta “Triennale”, al Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, ai Dottorati di Ricerca e nelle scuole di alta formazione manageriale e clinica (così come sono non sono degni di tale nome);
  • pensare e avviare percorsi specialistici in ambito
  • dare maggiore potere decisionale agli Infermieri nelle Aziende Sanitarie, Ospedaliere e nei vari centri di gestione dei processi assistenziali;
  • migliorare le condizioni di lavoro e rendere i carichi occupazionali maggiormente gestibili;
  • favorire la crescita e lo sviluppo delle carriere;
  • favorire il senso di appartenenza alla famiglia professionale;
  • promuovere un riequilibrio vero tra lavoro e vita privata;
  • essere meno lupi della professione (basta con gli Infermieri che “uccidono” gli Infermieri, rivolgendoci chiaramente alle Dirigenze Infermieristiche e delle Professioni Sanitarie e ai Docenti Universitari);
  • dare maggiore possibilità di esprimersi nei luoghi di cura dove ciascun professionista si sente preparato (permettendo maggiori mobilità interne alle Aziende, utili anche a ridurre lo stress e il burnout).

Magari si potrebbe approfittare di quanto disposto dal DM 77/2022 ed evitare di mandare Infermieri allo sbaraglio sul territorio pur di dimostrare (chissà a chi) che la professione è pronta ad occuparsi veramente di Famiglie e Comunità. Ma questa è un’altra storia di cui parleremo in futuro.

Ci riusciremo?

E voi cosa ne pensate? Scrivete i vostri commenti a redazione@assocarenews.it

Leggi anche:

DM 77/22. Il ruolo degli Infermieri nei nuovi modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale in Italia.

Coronavirus. Infermieri Dirigenti e Manager in prima linea contro il Covid-19 e a difesa degli Infermieri. Parla Bruno Cavaliere.

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Dott. Angelo Riky Del Vecchio
Dott. Angelo Riky Del Vecchiohttp://www.angelorikydelvecchio.com
Nato in Puglia, vive e lavora in Puglia, Giornalista, Infermiere e Scrittore. Già direttore responsabile di Nurse24.it, attuale direttore responsabile del quotidiano sanitario nazionale AssoCareNews.it. Ha al suo attivo oltre 15.000 articoli pubblicati su varie testate e 18 volumi editi in cartaceo e in digitale.
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