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Hikikomori: il popolo silenzioso dei reclusi.

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Una nuova emergenza sociale, spesso troppo sottovalutata. Gli Hikikomori: il popolo silenzioso dei reclusi.

L’era COVID rappresenta un periodo decisamente turbolento per tutti. Il lockdown, la riapertura, l’estate, l’autunno pieno di precarietà, l’inverno di tante vite sul limite e di ospedali pieni, la primavera dei vaccini…

Tuttavia, poco conosciute sono le conseguenze che questo periodo di emergenza ha causato in migliaia di giovani, la cui identità si sta incrinando fino a spezzarsi in mille rivoli. Un anno e pochi mesi, da quel lockdown del 17 Marzo 2020, sono bastati per sconvolgere molti adolescenti e giovani adulti e mettere in allarme i neuropsichiatri. Le consulenze richieste per questi giovani sono aumentate esponenzialmente: centri di salute mentale e i centri diurni sono pieni di ragazzi/e con chiari disagi sociali e questo rappresenta solo la punta di un iceberg di un’emergenza molto più grande, globale, un’emergenza sociale che si ripercuoterà inevitabilmente sulle nuove generazioni.

Questo disagio sociale si sta manifestando in tantissime forme, alcune originate durante la pandemia, altre già presenti e ancor più aggravate. Una di queste è rappresentata da una forma di isolamento sociale, che sta portando sempre più giovani a rinchiudersi nella propria stanza di casa, tagliando tutte le relazioni sociali esterne. Ultimamente i mass media parlano tantissimo di questa importante condizione e anche la comunità scientifica sta indagando sulle cause di questo insolito fenomeno. Sembrerebbe che nel substrato psicologico di questi giovani, che decidono volontariamente di chiudere i ponti con il mondo, concorrino diverse determinanti. Principalmente i giovani non riescono a gestire bene emozioni e ansie come gli adulti, perciò sono quelli che più stanno soffrendo dall’allontanamento delle relazioni sociali causate dal lockdown.

In secondo luogo, il peso di non sentirsi capaci di rispettare le aspettative dei genitori abbia condotto questi giovani a non rispettare scadenze scolastiche, come compiti ed interrogazioni. a causa della pandemia e delle attività in DAD, e a passare da tante piccole assenze ad un vero e proprio abbandono dalla scuola che, in questa modalità, non non rappresenta più quell’importante centro di relazioni sociali in cui molti giovani instauravano amicizie e condividevano emozioni e ansie con i propri coetanei.

“Sento l’aria che comprime ogni singolo secondo, sempre più finché il secondo non diventa eterno […] Dalle tante paranoie ai problemi con la gente, mi nascondo in un recinto. Non ne voglio saper niente […]”. Così recita una canzone del cantautore Artemix, un ragazzo che, rinchiuso nella propria stanza, cerca di esprimere in poche parole il disagio che prova lui come tanti giovani oggi.

È un quadro sociale difficile da affrontare, un problema che sta diventando sempre più grande, quello del ritiro sociale, del malessere giovanile, della silenziosa e combattuta adolescenza, affrontata tutta all’interno di una stanza, fino a sfociare in una parola: Hikikomori. Questo termine (costituito dai termini giapponesi hiku, “scomparire”, e komoru, “isolarsi”) rappresenta un fenomeno che ha avuto una forte espansione in Giappone e, con gli anni, sta coinvolgendo sempre più giovani a livello globale. Tanti operatori sanitari stanno denunciando come i centri diurni sono affollati di giovani che si isolano, con caratteristiche molto simili a quello dell’isolamento sociale volontario che definisce l’Hikikomori. Lo psichiatra Dott. T. Saito fu il primo a studiare questa particolare condizione di disagio sociale, descrivendola come un circolo vizioso, in cui più l’individuo subisce pressioni sociali, più il disagio aumenta e, per evitare questo disagio, la persona si allontana volontariamente sempre più dagli altri.

Oggi l’argomento è molto dibattuto in Italia da esponenti come il Prof. T. Cantelmi, presidente dell’AIPPC (Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici) e dallo psicologo Dott. M. Crepaldi, fondatore dell’Associazione Hikikomori Italia, che stanno cercando di far informazione e formazione sul fenomeno, di modo che si possa prendere coscienza della difficile situazione sociale che si sta scatenando. Perché il problema principale è che il fenomeno dell’isolamento volontario è ancora poco conosciuto, sia da parte del grande pubblico che anche a livello sanitario. Secondo un recente questionario, che interroga infermieri che lavorano in alcuni CSM, circa il 76.32% non associava l’isolamento sociale dei propri pazienti con il fenomeno Hikikomori, ma questi venivano trattati solo per eventuali disturbi d’ansia e dell’umore. Questo scatena una forte preoccupazione da parte dei Professionisti Sanitari, considerando inoltre che a questa insufficiente divulgazione della conoscenza del problema si aggiunge un forte aumento del carico assistenziale, correlato all’aumento delle consulenze.

“È una crisi sia a livello individuale e famigliare, che istituzionale e comunitario. È un periodo veramente difficile…” afferma un operatore interrogato dal questionario. “Bisognerebbe ampliare il numero degli operatori in ambito di salute mentale” è la richiesta di un altro infermiere, ora come ora difficilmente esaudibile.

Intanto, sempre più giovani si sentono abbandonati.

Secondo una recente indagine osservazionale su 244 volontari intervistati, il 31.97% dei giovani passano quasi tutto il tempo nella propria stanza e quasi 3 persone su 10 provano disagio a stare con gli altri. Inoltre, il 7.79% dei giovani, una percentuale non trascurabile, non si sente di poter confidare i propri problemi. Questa situazione porta a una chiusura sempre maggiore verso il mondo, prima a livello psicologico, che poi si tramuta in una chiusura anche fisicamente al mondo. Seppur i soggetti intervistati rappresentino solo una piccola parte, le percentuali indicate sono importanti.

“C’è qualcosa di strano in hikikomori, con nessuno che ti cerca, nella stanza chiusi soli. Elevi il pensiero fino ad arrivare ad odiarti. È un sentiero perverso ed è già troppo tardi. Sento l’aria che dilata ogni singolo secondo. È il collasso di una stanza che ora sta esplodendo. Ecco, sono un asociale, solo, chiuso in questo cesso. Dài, non farmi da morale, senza poi guardar te stesso. […]”. Sono le parole del cantautore Artemix, una presa di coscienza del ragazzo, oppresso nel vuoto della sua stanza, che usa l’isolamento come meccanismo di difesa.

Bisogna fare informazione e formazione, ai Professionisti Sanitari e alle famiglie, in modo che possano riconoscere il problema e i primi campanelli d’allarme. In tal senso, l’Infermiere può assumere un ruolo molto importante in tema di educazione sanitaria, come professa l’art. 7 del Codice Deontologico 2019, attraverso incontri programmati e domiciliari, supportando le famiglie e spronando i giovani a condividere pensieri, sensazioni e paure. L’ambito scolastico rappresenta un punto chiave per assistere i ragazzi e i docenti, prima che si manifestino situazioni più gravi di isolamento ed intervenire prontamente per aiutare i ragazzi. Anche il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è preoccupato per la situazione sociale dei giovani e sta concordando con i vertici regionali una riapertura delle scuole. Lo psicologo scolastico, figura solo formalizzata su carta e mai integrata, rappresenta un’altra figura importante in chiave di prevenzione di disturbi sociali tra i giovani, soprattutto se integrata in maniera fissa all’interno dell’ambiente scolastico e non solo temporanea, limitata alla sola segnalazione, quando il problema è già presente e ormai conclamato.

Ad oggi, non è possibile quantificare l’entità reale del problema, i cui risvolti negativi potrebbero essere più evidenti tra qualche anno. Per quanto si è riusciti a capire, la problematica non è la semplice paura di stare con gli altri, ma è qualcosa di più profondo, che segna la persona, che può sentirsi inadeguata, “diversa”. Ed è qui che bisogna agire, con la prevenzione, bisogna capire come affrontare meglio questo disagio che lacera l’identità della persona a livello psicologico, bisogna capire come gestire le emozioni e bisogna sostenere il compito esistenziale più importante, ovvero l’evoluzione emotiva dei giovani.

Antonio Placentino, infermiere

«Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.»

Murakami Haruki

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