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Nursing Up. Long Covid: 20.000 Infermieri a rischio disturbi cronici post-infezione.

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Sanità, Nursing Up De Palma: «Long Covid, in Italia si brancola ancora nel buio. 20mila infermieri a rischio disturbi cronici post-infezione, con pericolosi sintomi che vanno dall’ansia, all’insonnia, fino, nei casi peggiori, ad una pericolosa “nebbia cognitiva” e a vuoti di memoria.

L’Inail non riconosce ancora, di fatto, il Long Covid come malattia professionale, anche se derivante paradossalmente da un virus acquisito sul campo. Certo, siamo di fronte ad una vera e propria patologia di difficile classificazione e con sintomi molto simili allo stress lavorativo. Gli effetti devastanti del Long Covid in certi casi rischiano di essere addirittura invalidanti e costringono, come sta accadendo negli Usa, migliaia di professionisti, alle dimissioni volontarie o alla richiesta del pensionamento anticipato. Occorre indagine accurata da parte del Ministero della Salute». 

«Si stima che almeno 20mila infermieri italiani possano soffrire ancora oggi dei pericolosi e delicati sintomi del Long Covid. 

Disturbi del sonno, costante cambio di umore, ansia: si tratta di sintomatologie che potrebbero facilmente essere confuse, dai medici curanti, come dagli stessi professionisti della salute, come reazioni psico-fisiche derivanti dai turni massacranti e da una professione, lo ripetiamo da anni, decisamente usurante come la nostra, dove, tra orari prolungati, turni di notte e disorganizzazione strutturale ormai cronica degli ospedali, acuita dalla carenza di personale, i disagi per l’infermiere italiano sono all’ordine del giorno.

Non dimentichiamo poi i pugni e i calci inferti nelle corsie e i traumi derivanti dalle violenze subite dagli operatori sanitari. Le più colpite sono le donne, le nostre infermiere. Quante potrebbero risentire delle aggressioni con veri e propri traumi da cui è difficile uscire che si manifestano con vere e proprie patologie psichiche oltre che fisiche?

Eppure, in migliaia di casi potremmo essere di fronte ai postumi delle infezioni da Coronavirus, reazioni che il nostro organismo accumula come vere e proprie e scorie e che dagli esperti vengono classificate come Long Covid.

Lo abbiamo denunciato a gran voce nel recente passato, abbiamo fornito alla collettività numeri allarmanti, a partire da quelli degli infermieri contagiati, di fonte dell’Inail. Nessuna categoria di lavoratori, in Italia, ha pagato, psicologicamente e fisicamente, lo scotto della pandemia al pari degli infermieri.

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

Secondo i dati ufficiali dell’Inail, ben 320mila infermieri sono stati infettati dal virus del Covid-19, dall’inizio della Pandemia fino a oggi. Ma quanti di questi, dovremmo davvero chiedercelo, soffrono degli effetti del Long Covid? 

Secondo una indagine accurata a livello europeo, redatta in collaborazione con il Satse, il sindacato degli infermieri spagnoli, la media dei professionisti che nei Paesi Ue oggi soffre di postumi del contagio è di circa un sesto del totale dei contagiati. In Italia il numero attendibile è quello di almeno 20mila operatori sanitari, la maggior parte infermieri, che potrebbe essere alle prese con quella che è di fatto una vera malattia ma che, ahimè, non è considerata tale. 

Ci riferiamo al fatto che nel nostro Paese, così come in Spagna, i sintomi legati al Long Covid non sono considerati una malattia professionale. Le assenze direttamente legate al manifestarsi di una sindrome Long-Covid, sono oggi equiparate, in Italia, alla malattia comune, sia per il trattamento economico, sia per il trattamento normativo. A carico del lavoratore interessato ci saranno gli obblighi di certificazione, con la dovuta attenzione agli oneri di avviso e preavviso immediato in caso di assenze.

Con un comunicato diramato da noi all’inizio di quest’anno, fummo i primi a rendere noto che, secondo uno studio dell’Università di Zurigo, un quarto dei pazienti non ha recuperato completamente sei mesi dopo l’infezione, di cui circa il 10% ancora gravemente compromesso nella propria vita quotidiana.

È chiaro che maggiore è il numero di persone colpite, più evidenti sono gli effetti a tutti i livelli della società: le persone affette sono assenti dalle famiglie, dalle associazioni e dal posto di lavoro.

E chi se non gli infermieri, uomini e donne prima che professionisti della salute, i esposti più di tutti al rischio, e di fatto tra i più contagiati, oggi subiscono ancora le conseguenze del virus?

Non è finita, qui. Ad acuire le nostre denunce, continua De Palma, ad aggravare la situazione, anche  alla luce del modus operandi di altri Paesi non certo da considerare isole felici , ma quanto meno forti di una politica sanitaria più lungimirante della nostra, c’è ad esempio il recentissimo caso degli Stati Uniti.

Negli Stati Uniti si è costituta una rete di supporto: la Long Covid Doctors For Action (LCD4A) che promuove un maggiore riconoscimento del Covid persistente e del suo impatto sulla salute e sulla carriera degli operatori sanitari.

I membri di LCD4A includono i sanitari che sono stati licenziati dal loro datore di lavoro per motivi di inabilità, coloro che hanno richiesto il pensionamento per motivi di salute molto prima del previsto e altri che hanno perso il loro posto nei programmi di formazione.

Cosa fa la nostra politica? In che modo il Ministero della Salute si preoccupa di approfondire e analizzare il preoccupante fenomeno del Long Covid, avviando indagini a tappeto tra gli infermieri che manifestano i pericolosi sintomi sopra citati e che, impossibilitati a svolgere il proprio compito, fanno mancare di fatto il loro apporto ai colleghi?

Abbiamo deciso, dice ancora De Palma, di non fermarci qui, e abbiamo preso contatti con i vertici di LCD4A per capire se è possibile, in Italia, cominciare ad implementare analoghi piani risolutivi, avviando di fatto una sinergia tra i nostri professionisti della salute che denunciano questi allarmanti sintomi e quanti negli Usa già ne soffrono e hanno dato vita a questo gruppo, dove di fatto migliaia  professionisti denunciano di veder compromessa per sempre la propria attività lavorativa.

L’obiettivo primario è quindi quello di avviare, da parte nostra, un approfondito report per capire quanti infermieri italiani oggi sono sul punto di chiedere il pensionamento anticipato, quanti hanno dato le dimissioni o stanno pensando di farlo, quanti sono in malattia lunga, pesando non poco con la loro assenza sugli equilibri già precari di pronto soccorsi e reparti nevralgici. 

Non dimentichiamo che, nei casi peggiori, i sintomi del Long Covid si traducono in possibili disturbi cardiaci, emicrania cronica, tremore e anche nella cosiddetta “nebbia cognitiva” che conduce a problemi di memoria di non poco conto.  

E’ chiaro che infermieri in queste condizioni non possono più svolgere la propria professione in modo idoneo, ed è chiaro che tutto questo ricade sulla salute dei pazienti, e sui carichi di lavoro assistenziali in generale.

L’Italia ha bisogno degli infermieri, non smetteremo mai di ribadirlo: infermieri appagati dal punto di vista della valorizzazione economico-contrattuale nelle loro legittime aspirazioni, infermieri in buona salute, fisica e psichica, non esposti al rischio di errori che possono ricadere sui pazienti, a causa di ansia, stress, insonnia.

Il sistema sanitario italiano, già febbricitante, non può permettersi di perdere ulteriore colpi ed è palese che il nostro Ministero della Salute debba, di concerto con l’Inail , per come la vediamo noi, valutare la possibilità che i sintomi del Long Covid siano classificati tra le  malattie professionali, rispetto alle quali va prevista una indennità. 

Siamo o non siamo i professionisti che più di tutti, a contatto con i malati, hanno contratto l’infezione sul luogo di lavoro? Nessuno osi dimenticarlo», chiosa De Palma.

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