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Rianimazione: pensassimo l’ambiente secondo un altro punto di vista?

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Cosa vedono i nostri assistiti in terapia intensiva e sub-intensiva?

Sono molti i progetti che negli ultimi anni hanno cercato di “umanizzare” i settings di cura. Le rianimazioni ad esempio sono state oggetto di moltissimi restyling anche strutturali. Facendo però una piccola riflessione, forse per migliorare il comfort ambientale dovremmo utilizzare un altro punto di vista.

Ricordo che lentamente mi svegliai. Prima presi coscienza di me, poi del mondo intorno. Mi sentivo intorpidito, tutti i sensi si stavano risvegliando. Cominciai a sentire i suoni, perlopiù il monitor e le pompe che infondevano liquidi nelle mie vene. Mentre tutto cominciava ad esistere nuovamente per me, iniziavo questo nuovo atto della mia vita molto indolenzito.

Fu allora che aprii gli occhi e scrutando sul bianco soffitto trovai i miei primi pensieri dopo l’incidente”

 

Diciamocelo fuori dagli schemi: già chiamarla “umanizzazione delle cure” genera un suono fastidioso come la forchetta che graffia sul piatto.

Sapendo benissimo che si tratta di un appellativo formale, “umanizzare” qualcosa che si incentra sull’essere umano rappresenta un controsenso.

O meglio, un senso ce lo ha e anche ben definito. Nella bellezza di prendere, una volta tanto, di petto un problema, dover progettare e intervenire per umanizzare le cure ci indica chiaramente che qualcosa ci è sfuggito un pò di mano.

 “Quando ero ricoverata mi annoiavo molto. Non riuscivo a parlare per via della tracheostomia e le giornate non passavano mai. In quella sub-intensiva ero sola in stanza e le mie uniche compagnie erano date da infermieri e operatori che ogni tanto venivano, svolgevano qualcosa, mi dedicavano magari un sorriso e qualche parola e se ne andavano. Il mio mondo era qualche viso che si affacciava sul riquadro bianco davanti a me”

 

Nella reinterpretazione degli ambienti a favore del comfort ambientale (e quindi psicologico) dei nostri assistiti occorrerebbe forse un nuovo punto di vista. Il loro.

La riflessione nasce nel luogo più impensabile del mondo.

Non ci credete? Scommettiamo?

Ero nel bagno pubblico di un noto mobilificio svedese.

Esatto, vi avevo avvisati che era impensabile.

Era installato un fasciatoio.

 

 

Già di per sè, la presenza di un fasciatoio in un bagno per uomini è simbolo di evoluzione intellettuale nella progettazione dei servizi. Basterebbe questo a strappare un applauso sentito.

Sopra il fasciatoio però, affisso alla parete c’era una specie di tettoia piccola e composta da foglie metalliche pitturate di verde.

Essendo al chiuso era da escludere si trattasse per riparare da qualcosa. La forma strana poi suggeriva qualcos’altro.

Osservando poi è arrivata l’intuizione: rappresentava davvero le fronde di un albero ed era destinata ad essere guardata dai piccoli distesi sul fasciatoio.

E’ in sostanza quello che vedono mentre il papà cambia il pannolino. Geniale.

Da infermiere, trasportare qualcosa di geniale alla propria realtà è stato facile: visto che la maggior parte dei nostri pazienti è posizionato supino, perchè per umanizzare i settings intensivi e sub-intensivi si smettesse di appendere stupendi paesaggi alle pareti per incollarli al soffitto?

Una provocazione, un’idea, uno spunto di riflessione.

Dott. Marco Tapinassi
Dott. Marco Tapinassi
Vice-Direttore e Giornalista iscritto all'albo. Collaboro con diverse testate e quotidiani online ed ho all'attivo oltre 5000 articoli pubblicati. Studio la lingua albanese, sono un divoratore di serie tv e amo il cinema. Non perdo nemmeno un tè con il mio bianconiglio.
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