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UDU e CGIL. Il numero chiuso ai Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie è un pessimo deterrente per nuove iscrizioni.

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Per UDU e FP-CGIL il numero chiuso all’università per i Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie è un modello sbagliato che oggi continua a far perdere attrattività.

In una nota congiunta l’Udu e la Fp Cgil esprimono tutta la loro negatività sul numero chiuso per i Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie: “taglia fuori tanti validi candidati” e “soprattutto impedisce al Paese di fornire delle risorse di cui ha estremamente bisogno”.

Non hanno peli sulla lingua le due organizzazioni: “serve un investimento serio nell’ampliamento delle strutture accademiche e sanitarie, in modo da garantire a tutti gli aspiranti di intraprendere questo percorso, ma anche nell’integrazione tra la rete formativa universitaria e le aziende sanitarie”.

UDU e FP CGIL augurano un impegno universitario senza precedenti ai 34 mila vincitori di un “posto in prima fila” nei vari CDL, tra cui 20.487 per infermiere, 2.832 per fisioterapista, 1.680 per tecnico di radiologia, 921 per tecnico per la prevenzione della salute.

“Questi sono solo alcuni dei numeri ma tutti insufficienti a garantire il fabbisogno ottimale del servizio pubblico”- spiegano Udu e Fp Cgil, che puntano il dito proprio contro il numero chiuso: “va assolutamente superato”.

Come AssoCareNews.it da tempo ne parliamo e proponiamo la stessa identica scelta. Già le professioni sanitarie hanno perso attrattività, poi continuiamo a mettere ostacoli all’accesso ai CDL. Tra l’altro i quiz proposti non restituisco il vero valore di ciascun pretendente in termini di conoscenze culturali e scientifiche.

“Taglia fuori tanti validi candidati e candidate negando loro il diritto all’accesso agli studi universitari e di conseguenza quello a voler fare il lavoro che sognano, costringendoli a dover scegliere tra aspettare un anno o cambiare percorso formativo e professionale. Ma soprattutto un metodo che impedisce al Paese di fornire delle risorse di cui ha estremamente bisogno, a partire dal Servizio Sanitario Nazionale” – aggiungono da Udu e Fp Cgil.

“Quello proposto dalla legge 264/99 un modello che presenta diverse criticità e lo denunciamo da anni. L’imposizione di un filtro all’accesso allontana gli studenti e le studentesse dall’intraprendere questo tipo di professioni, come dimostrato dal numero degli iscritti ai test drammaticamente in calo di anno in anno. Tutto questo in un contesto in cui resta inadeguata la programmazione dei fabbisogni: se pensiamo solo alla professione infermieristica, sulla disponibilità di 20.487 posti, tenendo conto di chi non riesce a terminare il corso di studi e di coloro che andranno a lavorare nella sanità privata o che si trasferiranno all’estero, solo poco meno di 7.000 saranno i professionisti a disposizione del SSN per garantire l’assistenza, riforme e turnover. Un numero assolutamente insufficiente” – chiosano i due sodalizi.

“E’ indispensabile rivedere il modello della programmazione degli accessi e abolire il numero programmato per le professioni sanitarie e, contemporaneamente, rivedere il funzionamento dei tirocini formativi previsti all’interno di questi percorsi. Serve un investimento serio nell’ampliamento delle strutture accademiche e sanitarie, in modo che queste possano garantire a tutte e tutti gli aspiranti professionisti della salute di intraprendere questo percorso, ma anche nell’integrazione tra la rete formativa universitaria e le aziende sanitarie e nel miglioramento delle condizioni di lavoro del personale a partire dal salario sia per i contratti pubblici che quelli privati. Solo così è possibile rendere nuovamente attrattive quelle professioni che garantiscono un diritto fondamentale: quello alla salute” – concludono Udu e Fp Cgil.

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