Due feti e due misure. Quando i diritti dell’embrione vengono subordinati alla salute della collettività.
Gentile Direttore,
è noto come l’obiezione di coscienza interessi molti degli esercenti le professioni sanitarie. Altrettanto noto è l’impiego di linee cellulari fetali umane ottenute da aborti volontari (Hek-293 e la Per.C6) nella fase di sperimentazione e sviluppo di alcuni vaccini, licenziati in via condizionata, per contenere l’infezione da Sars-Cov-2 e/o mitigare la sintomatologia della Covid-19.
Perché allora alcuni professionisti sanitari, irremovibili nell’esercitare il diritto alla obiezione di coscienza di fronte a una donna che vuole abortire, hanno scelto di vaccinarsi e vaccinare – donne in gravidanza e bambini – durante la pandemia?
Senza voler entrare in merito ai presupposti scientifici che hanno convinto i professionisti sanitari a vaccinarsi, vaccinare e consigliare la vaccinazione ai loro pazienti, è eticamente lecito il mezzo con il quale ottenere il fine?
A quanto pare, sì! Sul quotidiano Avvenire, del 4 settembre 2021, leggiamo infatti: “quando non sono disponibili vaccini […] eticamente ineccepibili, è moralmente accettabile utilizzare vaccini […] che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti”. Il tipo di cooperazione al male (passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è – secondo l’Avvenire – non solo remota ma non vincolante, perché è grazie a queste specialità medicinali che possiamo contenere la diffusione di un agente patogeno grave, come il Sars-Cov-2″.
Leggiamo ancora: “… anche se la vaccinazione non è di norma, un obbligo morale e perciò deve essere volontaria, il perseguimento del bene comune porta a raccomandare la vaccinazione perché tutela i più deboli …”.
Essendo indubbio che il ricorso a linee cellulari fetali umane ottenute da aborti volontari sia stato intenzionale, accettando e consigliando il vaccino il Professionista Sanitario, non condivide anche l’intenzione?
Infine, lo statuto ontologico di persona umana dell’embrione (identità e dignità), non obbliga la Società alla sua tutela giuridica in ogni circostanza? A quanto pare, no! La pandemia, infatti, ci ha insegnato che i diritti dell’embrione possono essere subordinati a “beni più grandi”, come la salute collettiva e i profitti di Big Pharma.
Due feti – dunque – per due misure!
Francesco Sciacca, Ph.D
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