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sabato, Aprile 27, 2024
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Gabriella Scrimieri: “ecco perché sono solo una Infermiera”.

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Intervista esclusiva a Maria Gabriella Scrimieri: “ecco perché sono solo una Infermiera; il mio libro come sprono a migliorare rivolto a tutta la professione”.

Ecco un nuovo appuntamento con le interviste di Angelo Riky Del Vecchio, direttore del quotidiano sanitario AssoCareNews.it. Questa volta ci dedichiamo ad un volume scritto dalla collega Infermiera Maria Gabrille Scrimieri dal titolo “Sono solo una Infermiera – Lascia il mondo come lo hai trovato, solo se decidi di cambiarlo“, di cui abbiamo parlato anche ieri su questo sito.

Ma chi è la Scrimieri?

Infermiera di terapia intensiva prima a Bari poi a Taranto. Si trasferisce a Milano e mentre studia esercita come Infermiera prima in terapia intensiva cardiologica, poi in neurochirurgia. Dopo qualche tempo le affidano il coordinamento di un reparto di neuroriabilitazione (per 3 anni) e le chiedono successivamente di avviare una direzione infermieristica in un ospedale siciliano. Ci resta per 4 anni. Torna a Milano e per più di 10 anni gestisce 2 dipartimenti clinici. Da circa 3 anni coordina un poliambulatorio multispecialistico: “per mia scelta ho voluto riavvicinarmi al paziente; da dirigente solo burocrazia; e non era ciò che avevo scelto; oggi sono felice; adesso studio in università E-Campus Scienze Politiche, sono al secondo anno; è quello che volevo”.

Ecco cosa e come ha risposto alle nostre domande.

Lei è autrice del volume “Sono solo una Infermiera” ed è anche tra i pochi Infermieri italiani a dare alle stampe un volume di introspezione professionale. Come mai secondo lei ci sono nel nostro Paese pochi colleghi che si dedicano a questo settore?

Reputo sia molto difficile mettersi a nudo, ma reputo non sia solo questa la causa. Chi scrive oggi sono solo colleghi che ricoprono ruoli istituzionali, docenti universitari, dirigenti. L’infermiere quello che è a contatto quotidiano con la persona/paziente, colui che a mio avviso conosce la professione con tutte le sue sfumature, scientifiche, etiche, legali, proprio lui spesso non si sente all’altezza di parlare di se, del suo operato, al massimo scrive articoli scientifici.

L’infermiere in Italia, ancora oggi, non ottiene il giusto riconoscimento sociale e questo crea in LUI quasi un problema di autostima. E’ come se non si desse il giusto valore che merita. Il percorso accademico negli anni si è evoluto, ma ancora la professione stenta a decollare.

Lei con il suo volume ha lanciato una provocazione alla professione infermieristica, ovvero ha asserito che ogni collega “può fare tesoro delle proprie ferite e utilizzarle come simbolo della propria crescita; vivere una vita difficile consente di sviluppare una visione di aiuto verso gli altri e, curando le ferite altrui, spesso si possono lenire le proprie”. In quanti oggi sono in grado di farlo?

Credo in tanti, ma pochi lo dicono. Sia per una mancanza di consapevolezza, sia per vergogna. A volte noi ci vergogniamo del nostro passato, delle nostre origini, ne parlo nel libro, e la società se viene a conoscenza di questo, noi temiamo, possa trattarci da reietti e magari discriminarci. Non è così o meglio, gli altri provano a farti sentire un “diverso” ma spetta a te dimostrare il contrario. Avere il coraggio di reagire e rialzarsi sempre e nonostante tutto, ci rende forti, come se poi nulla può più scalfirti. Inoltre in te cresce nel tempo una forte sensibilità che ho notato essere presente proprio in coloro che tanto hanno sofferto, questo è un mezzo che ti consente di arrivare prima… di comprendere per primo il disagio altrui, è uno strumento importante ed unico che tu possiedi, quasi paragonato “ad un super potere”.

Ti senti quasi una roccia. Lenire le ferite altrui (dei nostri pazienti che a loro volta vivono il dramma della malattia) lo definisco “un balsamo per le mie di ferite”. Questo, per mia esperienza viene percepito dagli altri, anche dalla società, che potrà attaccarti ma tu avrai la forza e il coraggio di reagire, perché oramai avrai acquisito una consapevolezza di te “quale uomo completo, che attraversando il dolore è diventato la meraviglia di oggi”. E cosa c’è di più ammirevole? Aggiungo lo hai fatto anche con l’aiuto del paziente…

La sua esperienza professionale l’ha portata ad effettuare tanti sacrifici umani e professionali. Lei è una dei tanti Infermieri che partiti dal profondo Sud è riuscita ad affermarsi nel lontano Nord d’Italia. E’ stato difficile?

Si e molto. Per diversi motivi. Sono arrivata a Milano quando stava emergendo la LEGA NORD, capitanata da Umberto Bossi, il che significava “dividere l’Italia del Nord da quella del Sud”. Ricordo ancora che in giro si respirava un’aria di paura se sentivano il tuo accento. Durante un giorno di riposo, andai a trovare mio fratello che viveva in veneto, la mia macchina era targata Taranto. Ci fu un corteo che passando accanto alla mia macchina, tirando dei pugni rovinò la carrozzeria. A parte questo breve aneddoto, anche in ospedale all’inizio non fu facile.

Primo reparto una capo sala “estremamente nordica”, sotto tutti i punti di vista. Aveva dato mandato ai colleghi di controllare il mio operato perché ero meridionale “a suo dire quelli del sud sono poco preparati”. Intrapresi subito dopo essere arrivata a Milano l’Università con la volontà di frequentare il corso di laurea specialistica (allora non era ancora laurea specialistica). Feci il concorso, eravamo in 300 candidati , io mi posizionai ottava. Piansi per la gioia e venne fuori tutto l’orgoglio “del mio essere meridionale”. Iniziò così l’era e la strada universitaria, poco dopo il percorso manageriale. Dopo i primi anni di dura prova, Milano per me è stata ed è tutt’ora la mia seconda patria. Mi ha dato tanto. Tutto ciò che ho voluto fare per crescere professionalmente, qui l’ho realizzato.

Non è stato facile il percorso di studi, all’inizio neanche integrarsi in un ambiente universitario dove a volte anche i docenti facevano la differenza. Dopo tanti anni, diversi titoli conseguiti, tanta esperienza, oggi mi sento a casa. Apprezzo molto che a Milano esista la meritocrazia, (non sempre e ovunque) lavori ti impegni e puoi crescere. Purtroppo era quello che mi mancava al sud.

Il suo motto è “il mondo ha bisogno di ognuno di noi e la nostra presenza sulla terra ha un preciso significato, tocca a noi scoprire qual è”. E lei ha trovato il perché della sua esistenza e della sua scelta professionale?

Proviamo a pensare che una persona: nasce, cresce, muore. Non fa nulla per l’altro. Cosa pensiamo possa rimanere di lui dopo 50 anni, chi si ricorderà di lui. Che senso avrà avuto la sua presenza sulla terra?

Ognuno di noi è utile all’altro. Il panettiere che di notte alle 4 sforna il pane per noi, il portinaio che veglia sulle nostre case, l’operaio che lavora nelle acciaierie, il contadino. Tutto ciò che noi produciamo lo traduco in amore per l’altro. Il perché della mia esistenza l’ho sempre avvertito dentro, fin da bambina, ed era “l’aiuto”. Fare qualcosa per “l’altro anche un semplice gesto” rende la mia vita più ricca. Io oggi ho la consapevolezza di essere molto ricca perché ho trovato la mia strada. Essere “Infermiera” è un pregio ed un onore per me.

Quali altri opere ha in serbo per gli Assistiti e per i colleghi Infermieri?

Da poco tempo con alcuni colleghi abbiamo dato vita ad un’associazione di volontariato che si chiama “ALI DI LEONARDO”. Ci siamo posti due obiettivi : aiutare donne e bambini in Madagascar, raccogliendo fondi per sviluppare una rete idrica presso l’ospedale di Ambanja a nord del Madagascar , le donne partoriscono in assenza di acqua , le infermiere utilizzano l’acqua dei pozzi. Abbiamo già inviato un primo container con diversi materiali tra cui un microscopio da loro richiesto. Inoltre dopo l’estate, una delegazione partirà per fare formazione agli infermieri dell’ospedale locale.

Il secondo obiettivo è quello di aiutare persone che vivono un disagio sociale, economico e psichico presso le periferie di Milano. Abbiamo quindi avviato un ambulatorio infermieristico di cure gratuite all’interno delle case popolari. Al disagio sociale spesso si associa la mancanza di servizi essenziali. Questo perché oggi la sanità italiana, più che mai, sta vivendo un momento di crisi: carenza di infermieri anche sul territorio, medici di medicina generale. Spesso queste persone sono dimenticate da tutti anche perché la loro condizione non fa notizia. Qui parliamo di anziani soli affetti da pluripatologie, spesso con problemi di deambulazione, persone affette da patologie psichiatriche che a volte non assumono la terapia, donne straniere sole con diversi figli a carico.

Noi non vogliamo sostituirci alle istituzioni, non sarebbe giusto, ma non accettiamo l’idea che ci sia gente che aggiunga ai propri problemi anche l’assenza di un diritto fondamentale sancito dalla nostra Costituzione e dalla stessa Legge 833 del ’78.

Inoltre mi riprometto di scrivere un secondo libro dove mi piacerebbe raccogliere e raccontare le storie di queste persone, storie spesso ricche ed intense che vale la pena “leggere”.

Leggi anche:

Sono solo una Infermiera. Un volume di Maria Gabriella Scrimieri.

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Dott. Angelo Riky Del Vecchio
Dott. Angelo Riky Del Vecchiohttp://www.angelorikydelvecchio.com
Nato in Puglia, vive e lavora in Puglia, Giornalista, Infermiere e Scrittore. Già direttore responsabile di Nurse24.it, attuale direttore responsabile del quotidiano sanitario nazionale AssoCareNews.it. Ha al suo attivo oltre 15.000 articoli pubblicati su varie testate e 18 volumi editi in cartaceo e in digitale.
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