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RSA: toccato il fondo le Regioni devono decidere. Investire davvero o lasciar morire.

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RSA: il mondo privato e privato convenzionato sta vivendo il suo peggior momento. Ora le Regioni devono decidere se lasciar morire il sistema o investire. Stavolta però per davvero.

RSA nel caos: tra (pochi) esempi virtuosi e (molti) esempi di improvvisazione sanitaria, il Coronavirus è stata la prova del 9 di un sistema nel suo complesso fallimentare.

Nel corso degli ultimi anni i piccoli e locali “stress test” avevano già evidenziato l’incapacità di molte strutture a tenere il passo rispetto a quanto gli si chiedeva come bisogno di salute e come bisogno pubblico.

Ma troppe volte questi piccoli ma significativi campanelli di allarme erano stati ignorati e speriamo che una magistratura seria trovi risposte ai diversi perchè in merito.

Pensando piuttosto all’oggi in prospettiva del domani, l’abbandonata RSA porta necessariamente le Regioni ad un bivio: o si abbatte il cavallo zoppo o lo cura rimettendolo in piedi. Certamente non galopperà più nei profitti come fino oggi, ma potrà pur sempre svolgere la sua onesta funzione.

Cosa non va.

Parlando di bilanci, abbiamo un sistema che genera guadagno con alti tassi di saturazione (alcune strutture addirittura dichiarano di non generare utile se al di sotto del 90-95% di posti letto occupati). Prendendo per veritiera questa affermazione, vi è comunque la necessità media di un tasso di saturazione dell’85% per riuscire a rientrare nei costi e generare un guadagno.

Questo porta inesorabilmente a scegliere la via del risparmio per qualsiasi cosa: dalle forniture al numero di personale, dai presidi alle scelte alberghiere.

In effetti il sistema è realmente stato “abbandonato” come molte altre volte denunciato, da sistemi di accreditamento a volte incoerenti e che obbligavano a far nozze con fichi secchi.

Dal punto di vista clinico, nelle attuali RSA prevalgono gli aspetti sociali piuttosto che sanitari. Mentre cioè la parte alberghiera tutto sommato riesce a soddisfare i bisogni, la parte sanitaria resta indietro, complice una struttura RSA che non si è aggiornata agli ospiti moderni, caratterizzati da complessità assistenziali molto più gravose che in passato.

Le Regioni quindi, in questa prossima riforma, dovranno decidere anche cosa farne della natura delle RSA. Vogliamo che siano residenze o vogliamo renderle più simili a luoghi di cura? Perchè sebbene la nomenclatura sia chiara, la parte sanitaria stenta.

Occorre Investire economicamente e legislativamente.

Si decidesse di non lasciar morire il cavallo, occorrerebbero investimenti. Ma non i soliti fondi destinati a progetti: per il rilancio di un sistema a cui, diciamocelo, non possiamo rinunciare, servono VERI investimenti in area sanitaria e legislativa.

Occorre un sistema di leggi ad hoc che permetta un rinforzo della parte sanitaria e che non limiti le strutture (un esempio su tutti, i vincoli sull’ossigeno terapeutico).

Occorrono nuovi parametri di accreditamento coerenti e aderenti, che valutino la qualità e non soltanto attraversi indici che si basano sul confronto di dati quantitativi.

Occorre forti investimenti sul personale, sulla sua formazione e sulle tecnologie al servizio dell’assistenza.

Occorre la valorizzazione delle strutture virtuose e un’esportazione se possibile dei modelli che funzionano.

Se queste e molte altre necessità saranno affrontate, forse riusciremo a ripristinare un sistema che, come già detto, è risultato fallimentare.

Se ci saranno mezze misure, questa epidemia certamente passerà lo stesso ma non ci resterà che aspettare la prossima strage di ospiti e di operatori.

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