Quando i parenti diventano un problema: la dura realtà nelle case di riposo italiane.
Le case di riposo in Italia, conosciute tecnicamente come RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), sono spesso teatro di tensioni sottili ma profonde.
Non solo per la fragilità e la complessità dell’assistenza agli anziani, ma anche a causa del difficile rapporto con i familiari degli ospiti.
Una relazione carica di aspettative, dolore e spesso incomprensioni, che può trasformarsi in un vero fattore di stress per il personale sanitario.
Secondo un report dell’INAIL del 2022, oltre 2.200 episodi di violenza o minaccia sono stati registrati nei confronti di operatori sanitari, con una percentuale significativa che coinvolge parenti di pazienti e ospiti delle strutture.
Le RSA, in particolare, rappresentano un contesto ad alto rischio per la presenza di ospiti fragili, elevato carico emotivo e carenze strutturali croniche.
Tra le problematiche più comuni segnalate dagli operatori vi sono critiche continue all’operato, diffidenza costante, richieste irrealistiche, pressioni indebite, fino ad aggressioni verbali e fisiche.
I familiari, spinti dal timore di perdere il controllo sulla vita del proprio caro e da un senso di colpa spesso latente, riversano sul personale sanitario le proprie ansie, aspettative e frustrazioni.
Molti familiari arrivano in RSA con l’idea che la struttura possa offrire un miglioramento clinico significativo, alimentando illusioni di recupero che, nella maggior parte dei casi, non sono realistiche.
Questo disallineamento tra aspettative e realtà genera conflitti, che si acuiscono nei primi mesi di ricovero.
Secondo uno studio dell’Università di Trento, l’80% degli operatori coinvolti ha riferito di vivere situazioni conflittuali con i familiari nei primi tre mesi dall’ingresso di un ospite.
In parallelo, l’emotività dei parenti si traduce spesso in una sorveglianza costante dell’operato del personale, interpretato talvolta come negligenza anche quando si rispettano tutti i protocolli.
La pressione psicologica è aggravata dalla mancanza di comunicazione strutturata tra RSA e famiglie, elemento che alimenta sospetti e tensioni.
Il personale si ritrova così a dover gestire, oltre ai bisogni sanitari e assistenziali degli ospiti, anche le reazioni emotive dei familiari: una fatica invisibile che incide sul carico di lavoro complessivo.
Gli effetti si riflettono direttamente sul benessere psicologico degli operatori: si registrano alti tassi di burnout, stress cronico, demotivazione e abbandono del lavoro.
In alcune regioni, il turnover annuale degli OSS nelle RSA supera il 20%.
Le richieste e i comportamenti dei parenti variano: si passa da chi pretende attenzioni esclusive per il proprio caro, a chi interferisce con le terapie, a chi mette in discussione ogni decisione clinica.
In alcuni casi, si assiste a vere e proprie campagne di delegittimazione del personale, alimentate da gruppi familiari che si scambiano informazioni deformate tramite social o chat private.
Per affrontare questo problema, alcune strutture stanno sperimentando strategie basate sulla trasparenza e sul coinvolgimento attivo delle famiglie.
Incontri regolari, linee telefoniche dedicate, newsletter informative e gruppi di ascolto sono tra gli strumenti più efficaci per ridurre la conflittualità.
Ma serve anche una risposta istituzionale.
La formazione degli operatori su come gestire la relazione con i familiari deve diventare parte integrante del percorso professionale.
Inoltre, occorre introdurre sistemi di tutela psicologica per il personale e protocolli chiari di gestione dei conflitti.
Ristabilire un equilibrio tra cura, rispetto e comunicazione è fondamentale.
Perché nelle RSA non si curano solo corpi fragili, ma anche emozioni forti: quelle degli ospiti, dei loro familiari, e di chi ogni giorno lavora in prima linea per garantire dignità e assistenza.
Giuseppe Pignataro, Oss
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