Contratto Unico del Sociosanitario: datoriali e sindacati concordi, ma servono più risorse.
Un passo significativo verso la creazione di un contratto unico per il settore sociosanitario è stato compiuto oggi a Torino, durante la tavola rotonda “Verso il CCNL unitario del comparto sociosanitario” organizzata da Uneba nell’ambito del convegno “Il lavoro tra professionalità e valore etico della cura”. Nonostante l’ampio consenso sull’obiettivo a lungo termine, le associazioni datoriali e i sindacati hanno sottolineato un’esigenza imprescindibile e immediata: l’urgenza di maggiori risorse da Stato e Regioni per il settore.
Uneba, voce del non profit di radici cristiane e promotrice del contratto unico, punta a un unico strumento normativo per le centinaia di migliaia di lavoratori che assistono anziani non autosufficienti e altre persone fragili. Attualmente, il settore è frammentato in una decina di contratti differenti, uno per ciascuna associazione datoriale.
“Nei prossimi 2-3 anni dobbiamo iniziare a ottenere qualcosa riguardo al contratto unico,” ha dichiarato Alessandro Baccelli, segretario nazionale Uneba. “Avere uno strumento di lavoro simile per tutte le diverse realtà potrebbe sicuramente essere una soluzione. Propongo di partire, per il contratto unico, dagli articoli che nei vari contratti sono simili o quasi identici.”
Questa visione è stata ampiamente condivisa. Daniele Massa della Diaconia Valdese ha affermato: “Il contratto unico è una necessità strategica non più rinviabile per dare visibilità e peso al settore sociosanitario.” Anche Antonio Vargiu di Uiltucs ha spinto per un’azione immediata: “Dobbiamo organizzare da subito l’interlocuzione con Stato e Regioni.”
Nonostante l’accordo sull’importanza del contratto unico, la tavola rotonda ha evidenziato un ostacolo fondamentale: la carenza di risorse pubbliche. Senza un adeguato finanziamento, ogni tentativo di migliorare le condizioni lavorative e retributive rischia di rimanere lettera morta.
Amedeo Prevete, presidente di Uneba Piemonte, ha ribadito: “Serve corresponsabilità: sindacati e associazioni datoriali, dobbiamo andare tutti assieme dalle Regioni a chiedere risorse. Altrimenti non ci saranno risorse per remunerare il contratto.” A fargli eco, padre Francesco Ciccimarra di Agidae: “Dobbiamo aprire un tavolo per chiedere di alzare le tariffe.”
La discussione ha visto l’intervento di diversi rappresentanti, ognuno portando la propria prospettiva:
- Pietro Bardoscia della Uil Fpl ha sottolineato l’importanza del contratto Uneba già in essere: “Con Uneba abbiamo fatto un rinnovo di contratto molto importante. Il contratto Uneba a regime è migliorativo per i lavoratori e sarà contratto di riferimento per il settore. Garantiamo a Uneba che daremo supporto nel dialogo con le Regioni per il miglioramento delle rette.”
- Aurora Blanca di Cisl Fisascat, pur credendo nel contratto unico, ha evidenziato una priorità: “Crediamo nel contratto unico, ma prima bisogna rinnovare i contratti scaduti nel settore sociosanitario.”
- Franco Berardi di Cisl Fp ha proposto un approccio pratico: “Dobbiamo puntare a livellare i (compensi) tabellari. Così sarà più facile andare a esigerne i costi (da Stato e Regioni).”
- Giancarlo D’Errico di Anffas ha evidenziato un vantaggio chiave: “Un vantaggio del contratto unico è che ostacolerebbe la concorrenza al ribasso.”
- Michele Assandri di Anaste ha posto una precondizione chiara: “Nulla osta al contratto unico, ma finché non vengono definite tariffe per i servizi in base ai costi reali di produzione non si può. Questa è la nostra precondizione.”
- Infine, padre Virginio Bebber per Aris ha riconosciuto l’idea del contratto unico come qualcosa che “si sta facendo strada,” esprimendo però una particolare preoccupazione per la situazione dei “centri di riabilitazione.”
La tavola rotonda ha quindi tracciato una rotta chiara: l’obiettivo di un contratto unico è condiviso, ma la sua realizzazione è intrinsecamente legata a un robusto aumento degli investimenti pubblici nel settore. La sanità e l’assistenza alle fragilità dipendono dalla capacità dello Stato e delle Regioni di riconoscere il valore economico e sociale di questi servizi essenziali.
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