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Assenza per malattia e lavoro “extra”: quando si rischia il licenziamento? La chiave di lettura della Cassazione.

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Assentarsi dal lavoro per malattia è un diritto del lavoratore, ma cosa succede se, durante il periodo di convalescenza, ci si dedica anche ad altre attività lavorative? La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 1472/2024 fa chiarezza su questo delicato tema, delineando i confini tra ciò che è consentito e ciò che può costare caro, fino al licenziamento. Scopriamo insieme cosa è emerso dalla sentenza e quali comportamenti devono evitare i dipendenti in malattia.

La Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: svolgere attività lavorativa durante un periodo di assenza per malattia non richiede necessariamente la prova di un danno effettivo al datore di lavoro per essere considerato un illecito disciplinare. Si tratta di un illecito di “pericolo”.

Cosa significa? Che è sufficiente che l’attività svolta durante la malattia possa potenzialmente mettere a rischio o ritardare la guarigione del lavoratore e, di conseguenza, la sua capacità di riprendere regolarmente il servizio. Questo comportamento viene interpretato come una mancanza di prudenza e una violazione degli obblighi contrattuali nei confronti del datore di lavoro.

La stessa Cassazione, riprendendo orientamenti precedenti, individua tre precise condizioni affinché un dipendente possa svolgere un’altra attività lavorativa durante l’assenza per malattia senza incorrere in sanzioni:

  • Rispettare le fasce di reperibilità: Il lavoratore deve rimanere a casa durante gli orari stabiliti per le visite fiscali.
  • Non pregiudicare la guarigione: L’attività svolta al di fuori delle fasce di reperibilità non deve in alcun modo compromettere o prolungare il periodo di convalescenza.
  • Assenza di concorrenza: Il secondo lavoro non deve essere in potenziale concorrenza con l’attività principale svolta per il proprio datore di lavoro, per non violare il dovere di fedeltà.

La vicenda che ha portato alla pronuncia della Cassazione riguarda una lavoratrice assente per lombalgia, sorpresa a lavorare in una pizzeria. La Corte d’Appello di Roma aveva già confermato il licenziamento, ritenendo che tale comportamento, pur avvenendo al di fuori degli orari di reperibilità, avesse irrimediabilmente compromesso il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, denotando una mancanza di correttezza e buona fede.

La lavoratrice ha tentato il ricorso in Cassazione, sostenendo che il suo rientro al lavoro subito dopo l’episodio dimostrava l’assenza di un reale pregiudizio. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto il ricorso, ribadendo che la potenzialità del comportamento di nuocere alla guarigione è sufficiente a configurare la violazione degli obblighi contrattuali.

Il monito della Cassazione è chiaro: il lavoratore in malattia deve astenersi da qualsiasi comportamento che possa contrastare l’interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione lavorativa nei tempi previsti. In particolare, è fondamentale:

  • Seguire scrupolosamente le prescrizioni mediche per una pronta guarigione.
  • Evitare qualsiasi attività che possa ritardare il recupero o mettere a rischio la capacità di tornare al lavoro.

La valutazione della condotta del lavoratore in malattia non si basa tanto sull’esito effettivo (se il lavoratore è guarito in tempo o meno), quanto sul potenziale pregiudizio che il comportamento avrebbe potuto causare alla guarigione e alla ripresa del lavoro. Si tratta di un giudizio di tipo prognostico, che può essere effettuato anche a posteriori, avvalendosi, se necessario, di una consulenza medico-legale.

La sentenza della Cassazione ribadisce un principio di buon senso e di correttezza: durante un periodo di malattia, il lavoratore ha il dovere di comportarsi in modo responsabile, mettendo al primo posto la propria guarigione e la conseguente ripresa dell’attività lavorativa. Svolgere un’altra attività lavorativa senza considerare l’impatto sulla propria salute e sul rapporto con il datore di lavoro può avere conseguenze serie, fino al licenziamento. La fiducia tra datore di lavoro e dipendente si basa anche sulla trasparenza e sulla lealtà, principi che non vengono meno nemmeno durante un periodo di assenza per malattia.

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