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giovedì, Marzo 28, 2024
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Studenti Infermieri: il primo paziente deceduto non si dimentica mai.

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L’elaborazione del lutto da parte del futuro Infermiere dopo la prima morte in corsia. Quel sostegno psicologico che in Italia manca. 

Davanti alla morte di un Paziente non si può rimanere apatici ed indifferenti, soprattutto quando si è alle prime armi e sei Studente Infermiere, Infermiere Pediatrico o delle altre discipline sanitarie. E’ un momento che ciascuno di noi conserva e conserverà nella propria mente per tutta la propria carriera ed è lì, proprio in quelle stanze, che si può capire il vero significato di “per sempre” e dare così un valore vero e concreto alla vita. In ospedale, purtroppo, è un evento quotidiano aspettato o inaspettato che sia. Succede in una giornata qualunque, a qualsiasi orario e nonostante la prognosi di un paziente sia stabilita sai bene che potrebbe cambiare da un momento all’altro.

E’ proprio in quei momenti che speri di vederla migliorare e tornare a stare bene nonostante tu sappia che non sarà cosi ma si dice sempre che “la speranza sia l’ultima a morire”. Negli occhi dei familiari riesci a intravedere il dolore e provi con semplici parole a cercare di far distogliere il pensiero della perdita di una persona cara, seppur con scarse possibilità.

D’altronde chi di noi riuscirebbe a far scomparire tutta sofferenza con una semplice parola? Sicuramente non dobbiamo scoraggiarci ma fare di quest’esperienza una rampa di lancio per migliorarsi sulla terminologia e le modalità di approccio alla morte.

La psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross scrisse “le cinque fasi dell’elaborazione del lutto”, sottolineò a fasi e non a stadi in quanto le fasi possono alternarsi e riprendersi più volte con varia intensità e senza un ordine preciso.

Le emozioni non seguono regole, ma come si manifestano cosi svaniscono, a volte miste e altre sovrapposte. Sono distinte in: fase della negazione, della rabbia, della contraddizione, della depressione e dell’accettazione.

Chi ha assistito ad un lutto si sarà reso conto di aver vissuto almeno una di queste fasi in quanto fanno parte dell’essere umano.

Non dovremmo affezionarci troppo ai pazienti ma purtroppo da matricole ci capita spesso di prendere confidenza con un paziente e darsi anche del tu, seppur non sia cosi corretto.

Ecco è proprio in quella percentuale di confidenza che si rischia di prendere la prima facciata.

Il paziente che magari ci saluta tutti i giorni, si fida, sorride e parla con noi è sempre a rischio e dobbiamo cercare di ricordarcelo.

Ho sbagliato anch’io in quello ma credo sia normale, ho dato troppa confidenza a quella persona che quando l’ho vista andare in arresto cardiocircolatorio sotto i miei occhi ho capito cosa volesse dire perdere un conoscente, quasi un amico.

Sembrerà superfluo ma quel decesso mi ha permesso di dosare l’emozioni, di testarmi e vedere con i miei occhi quanto sia importante godersi il dono della vita.

La prima domanda da studente, dopo un evento del genere, è: ”ho fatto abbastanza? E’ colpa mia? Avrei potuto e dovuto fare di più?”. La paura regna sovrana in quei momenti eppure spetta a noi saperla gestire.

Bisogna cercare di superare le nostre paure, apprezzare i piccoli gesti quotidiani e amare la vita. Questo è quello che ho capito.

Stud. Inf. Mattia Boero
Stud. Inf. Mattia Boero
Studente Infermiere, appassionato di scrittura, di social-network e di ricerca.
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