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Sabrina Ranalli, neo-Infermiera: “ecco la mia tesi sul bambino oncologico e sull’utilizzo del sorriso nella terapia”.

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Oggi presentiamo la tesi di laurea di Sabrina Ranalli, neo-Infermiera: “ecco la mia ricerca sul bambino oncologico e sull’utilizzo del sorriso nella terapia”.

Presentiamo la tesi di laurea di Sabrina Ranalli, neo-Infermiera, sul tema “La terapia del sorriso nel percorso di cura del paziento oncologico pediatrico – Una revisione narrativa“, relata dalla prof.ssa Valeria Giardinelli.

Sabrina si è laureata in infermieristica qualche giorno fa presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Il suo lavoro si è basato essenzialmente sulle pratiche di cura in ambito oncologico-pediatrico. E nello specifico dell’utilizzo del sorriso nell’assistenza quotidiana in un ambito sanitario particolarmente difficile.

Per approfondire e conoscere altre Tesi di Laurea in Infermieristica: LINK.

In cosa consiste il lavoro della neo-Infermiera Ranalli?

Benefici della terapia del sorriso sull’organismo.

Cosa sappiamo davvero della terapia del sorriso e dei suoi effetti? “La terapia del sorriso” (come comicoterapia, clownterapia,…etc), è stata fondata dal Dottor Hunter Patch Adams.

Quest’ultimo riteneva che: “Una risata può avere lo stesso effetto di un antidolorifico: entrambi agiscono sul sistema nervoso anestetizzandolo e convincendo il paziente che il dolore non ci sia”.

La terapia del sorriso è una “terapia” che viene prevalentemente usata per il bambino ospedalizzato, ma non solo, per rendere meno traumatico il suo trascorso in ospedale.

Ad oggi, infatti, sono innumerevoli i campi di applicazione di questa terapia, che non è focalizzata solo sull’età infantile, ma ha benefici anche in adulti e anziani.

Da sempre ci sono state idee popolari sugli effetti della risata e dell’umorismo come, ad esempio, il vecchio proverbio che recita “Ridere fa buon sangue”. Per i ricercatori di tutto il mondo ridere migliora davvero la vita e rappresenta la più semplice ed economica via per il benessere, sia fisico che mentale, così nella vita come nel lavoro.

Gelotologia.

La gelotologia (dal greco γελὸς – riso) è una scienza che studia il fenomeno della risata, prestando attenzione alle sue potenzialità terapeutiche e al benessere psicofisico delle persone e dei gruppi sociali. Comprende anche le cosiddette attività di clownterapia.

Susumu Tonegawa (1939) biologo giapponese premio Nobel per la medicina nel 1987, fece proprio il principio fondante della Gelotologia e nel 1997 sentenziò: “Chi è musone, triste, depresso, non riesce a tenere lontano le malattie”.

Questa disciplina unisce conoscenze diverse: biologia, psicologia, medicina e antropologia, poiché “il riso e il sorriso restano incomprensibili, se studiati in una sola di queste prospettive”. In effetti, la Gelotologia si basa sugli studi di Psico-Neuro-Endrocrino-Immunologia (PNEI), che hanno evidenziato la diretta influenza degli stati mentali e delle emozioni sul sistema immunitario e viceversa.

Le ricerche sulla PNEI evidenziano una circolarità d’interazioni tra stati mentali e sistema immunitario, a favore di una visione della malattia non prettamente organicista (predominanza di fattori organici nello scatenamento della malattia) né prettamente psicosomatica (che ne privilegia invece la prevalenza psicologica), ma piuttosto quale risultato di entrambe.

Fisiologia della risata.

Lo studio della fisiologia della risata prende il nome di Gelotologia e si basa sugli studi di Psico-Neuro-Endrocrino-Immunologia (PNEI), che hanno evidenziato la diretta influenza degli stati mentali e delle emozioni sul sistema immunitario e viceversa.

A livello neurofisiologico, la risata effettua due percorsi differenti: il primo, a livello volontario, costituito dalla corteccia frontale e dal sistema piramidale, e il secondo a livello involontario, o emozionale, costituito da amigdala, talamo e ipotalamo. Lo stimolo del riso, che deve essere inteso come una situazione che porta alla risata, è percepito dal cervello attraverso i sensi della vista e dell’udito, e colpisce la regione del cervello responsabile del riconoscimento di tali situazioni e scatena come conseguenza meccanicamente il riso.

Le vie neuronali coinvolte nella risata possono essere distinte in tre aree: cognitiva, motoria, emozionale.

Queste ultime interagiscono tra loro con la manifestazione della risata. L’area cognitiva viene attivata con la elaborazione degli stimoli da parte della corteccia frontale; la corteccia motoria invece permette al corpo di compiere cambiamenti muscolari di risposta,
come l’assunzione dell’espressione facciale tipica risata. L’area emozionale, invece, composta dai nucelus accumbens, porzione ventrale dei nuclei della base, elabora e razionalizza la sensazione di felicità e benessere derivante.

È importante sottolineare che il cervello non è capace di distinguere una risata autentica da una simulata o forzata, di conseguenza i percorsi fisiologici che vengono attivati sono gli stessi. Questo fatto risulta avere particolare importanza ai fini terapeutici, come sarà illustrato in seguito. Il cervello rileva uno stimolo risorio, cioè una situazione che spinge al riso e che colpisce una zona specifica del cervello (l’encefalo), scatenando un meccanismo di riflesso; così, dal talamo e dall’ipotalamo parte l’impulso del riso che arriva ai nervi facciali, i quali a loro volta stimolano i muscoli risorio e zigomatico.

A livello cerebrale, contemporaneamente, si ha un aumento dell’attività elettrochimica, che genera maggiore reattività, creatività, acutezza mentale. Conseguenza di tale iperattività è una grande produzione di beta endorfine (sostanze analgesiche, euforizzanti e coadiuvanti del sistema immunitario). Ciò comporta l’innalzamento della soglia della percezione del dolore, l’aumento della produzione ormonale “positiva” e l’inibizione degli ormoni che riducono la risposta immunitaria.

La risata in pneumologia.

Ridere migliora la respirazione e fa bene ai polmoni. Quando si ride, viene estromessa tutta l’aria residuale che staziona sul fondo dei polmoni, carica di impurità, che non viene quasi mai espulsa, inoltre, migliora l’ossigenazione tissutale e modifica il pattern respiratorio.

Grazie alla produzione e al rilascio di endorfine, la risata favorisce il lavoro dei muscoli legati alla respirazione, come il diaframma. La risata rilassa anche le fibre lisce dei bronchi in modo da poter respirare meglio.

La contrazione dell’addome e del diaframma provocano un aumento della fase espiratoria, che diventa più prolungata poiché si espelle una quantità maggiore d’aria dai polmoni rispetto a un atto respiratorio normale. Le alterazioni del ritmo respiratorio intervengono
sull’ossigenazione del sangue e sull’espulsione di anidride carbonica, provocando un rilassamento muscolare delle fibre lisce dei bronchi, per azione del sistema parasimpatico.

Bisogna però fare attenzione ad alcune eccezioni, in alcuni casi il riso può andare a compromettere alcune funzionalità in soggetti predisposti. La comunità scientifica ha individuato una diretta correlazione tra risata e asma, stavolta con accezione negativa.
Ridere, infatti, costituisce per i soggetti asmatici un trigger ovvero un elemento irritante per le pareti bronchiali che ne provoca la costrizione: quando si ride, infatti, i bronchioli si costringono, l’espirazione diventa difficoltosa e si può addirittura innescare una crisi asmatica.

La risata in cardiologia.

La risata si associa alla vasodilatazione. Essa, infatti, porta a un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, migliorando, così, la circolazione sanguigna, e permettendo una maggiore ossigenazione a tutti i tessuti del nostro corpo, velocizzando la loro rigenerazione. Ridere, pone quindi il sistema cardiovascolare in una situazione di stress positivo (eustress), ovvero lo allena continuamente a vaso dilatarsi.

Lo conferma uno studio dell’Università del Maryland, che ha sottoposto alcuni volontari alla visione di film divertenti. I ricercatori hanno rilevato un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa durante la visione dei filmati, con la pressione arteriosa che rimane più elevata fino a 20 minuti dopo la conclusione dello stimolo risorio.

La risata in psichiatria.

Gli studi psichiatrici sul potere della risata si sono concentrati sull’alleviamento di sintomi quali ansia, depressione e umore basso. Da questi studi è emerso che l’umorismo è utile nel miglioramento dell’umore, nella produzione di pensieri positivi, nella riduzione dello stigma e dello stress, inoltre un aumento del senso dell’umorismo, può essere usato come tecnica di coping, ossia quale strategia di adattamento.

La risata in geriatria.

Ricerche internazionali hanno tentato di dimostrare come la terapia del sorriso possa aiutare i soggetti anziani nei loro piccoli e grandi problemi quotidiani quali: dolore, insonnia, depressione, isolamento, qualità della vita e percezione della propria salute. Diversi studi orientati verso la terza età hanno evidenziato una riduzione dello stato depressivo a seguito di terapie della risata, e hanno registrato contemporaneamente la riduzione dell’ansia, l’aumento dello stato generale di salute percepita, e il miglioramento significativo della qualità del sonno. Un problema tipico della terza età è ovviamente la presenza di dolore, una delle principali fonti di riduzione della qualità di vita negli anziani. Le ricerche sugli effetti della terapia della risata in soggetti anziani hanno mostrato un aumento reale nella soglia del dolore e un conseguente miglioramento della qualità di vita, evidenziando una volta di più come questa terapia abbia le capacità di incidere profondamente sulla persona. L’uso dell’umorismo come tecnica di coping è ottimo anche per i caregivers di soggetti anziani affetti da demenza, gli studi hanno evidenziato, infatti, come anche per loro l’uso dell’umorismo sia un mezzo efficace per ridurre lo stress e il rischio di burnout, favorendo un più proficuo e solido legame tra paziente e assistente; aspetto quest’ultimo fondamentale per una buona assistenza, soprattutto se il caregiver è informale. Alcune tecniche definiscono che si può anche ridere della patologia stessa, ma pur sempre nel più rigoroso rispetto della persona. Questa forma di umorismo è una tecnica efficace usata da coloro che si prendono cura degli altri: poter parlare del problema anche a persone esterne riduce il loro carico emotivo e stempera la severità della situazione, fonte principale di stress, costituendo anche una forma di fuga temporanea dalla gravità della situazione quotidiana, capace di alleviare le pene del cuore e del fisico.

La risata in oncologia.

Negli studi relativi all’utilizzo della terapia della risata sui pazienti oncologici si è dimostrata l’efficacia per la riduzione di stress e ansia, non solo nella diagnosi, ma anche durate le procedure diagnostiche invasive e nel periodo di ripresa e riabilitazione. Inoltre, è stato riscontrato un notevole miglioramento in tutti quei soggetti che associavano la terapia del sorriso con la chemioterapia; infatti, in quest’ultimi si è constatato che gli effetti collaterali erano notevolmente ridotti, e inoltre c’era un notevole miglioramento del sistema immunitario.

La risata aumenta la soglia del dolore.

A mettere in relazione la risata con l’aumento della soglia del dolore è stato nel 2012 lo studio di Dunbar, supponendo come causa fisiologica il rilascio di endorfine da parte del cervello. I risultati mostrano che la soglia del dolore è notevolmente più elevata dopo le risate. Questo effetto che aumenta la tolleranza al dolore è dovuto alla risata stessa e non semplicemente a causa di un cambiamento positivo delle emozioni. Per provare la sua intuizione, Dunbar sottopose dei soggetti a stimoli umoristici e non umoristici.

Quando cercò di provocare loro del dolore attraverso un manicotto congelato, ad esempio, si rese conto che la soglia era superiore nei momenti divertenti.

Pertanto, lo scopo di questo elaborato è esporre gli effetti positivi che la terapia del sorriso produce a livello biologico e psicologico, in particolar modo come quest’ultimo influisca in maniera positiva nel percorso di cura di un paziente pediatrico oncologico, andando ad approfondire le implicazioni infermieristiche di questa terapia.

Ecco il suo lavoro finale:

Tesi Sabrina Ranalli – Infermiera

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