Coronavirus: il rischio di Burnout per Infermieri, Medici e personale sanitario e volontario tutto è altissima. Come riconoscerlo e prevenirlo.
“Burnout” è ormai diventato un termine familiare all’interno delle professioni di cura, gli operatori sanitari ne sentono parlare spesso e altrettanto spesso ne soffrono.
Ma sappiamo davvero di cosa si tratta? Quali sono segni e sintomi? E da dove viene?
In questo momento di emergenza sanitaria, il personale sanitario è esposto a diverse fonti di stress: dalla sofferenza dei loro pazienti a quella dei familiari, alla paura di essere loro stessi portatori del virus nelle mura domestiche.
Non ultimo è da considerare nella genesi del burnout, anche il sistema organizzativo entro cui il personale opera: spesso un sistema rigido, poco adatto alla flessibilità e al cambiamento, che genera non poca frustrazione.
Inoltre, in questo momento gli operatori sanitari, soprattutto gli infermieri, stanno vedendo un ribaltamento del loro status sociale: se fino a poco tempo fa non erano considerati per quello che è il loro valore, adesso si sentono chiamare “eroi”, si sentono ringraziare e vedono la popolazione applaudirli dai balconi. Iniziano a sentire le promesse del governo, vedono diminuite le aggressioni e le violenze degli utenti nei pronto soccorso o nei reparti.
Ma cosa succederà quando, finita l’emergenza, smetteranno di essere eroi? Quando, forse, non vedranno concretizzarsi le promesse della politica o quando ricominceranno ad essere aggrediti ed insultati? Cosa potrebbe succedere quando, ancora una volta, si sentiranno lasciati soli? Il rischio del burnout è dietro l’angolo.
Ma, dunque, cos’è davvero il burnout? Come lo possiamo riconoscere?
È una sindrome caratterizzata da una reazione allo stress sperimentata dagli operatori sanitari, che si trovano costantemente ad avere rapporti con pazienti affetti da patologie gravi o che comunque sperimentano situazioni reiteranti come angoscia di morte, disabilità, sofferenza, ma anche con la frustrazione di non poter sempre fare la differenza o di scontrarsi contro un sistema eccessivamente rigido.
I sintomi più frequenti ed evidenti sono: perdita dell’entusiasmo, esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale, disistima verso sé stessi, cinismo verso l’utenza, competizione con altri colleghi.
Il burnout danneggia anche il paziente il quale riceve un’assistenza peggiore, può portare l’infermiere a prestare meno attenzione ai bisogni del paziente che è etichettato in base alla sua patologia: è a questo punto che il lavoro rischia di diventare “disumanizzato e distaccato”.
Ne risentono anche l’ente per cui l’operatore lavora e i suoi familiari che devono lottare con tensioni emozionali e conflitti che la persona in burnout non riesce a superare.
Quindi cosa fare quando si inizia a sentirsi stanchi e distaccati?
Di certo la prima cosa è “monitorarsi”, soprattutto in questo momento di emergenza, ma ancora di più nel post-emergenza, quando il calo dell’adrenalina lascerà il posto a tutti questi sentimenti.
Secondo passo. Quello forse più difficile, ma anche il più coraggioso, è chiedere aiuto ad un professionista se, guardandoci “allo specchio”, ci riconosciamo in qualcuno di questi segni e sintomi.
Come dicevamo è il passo più difficile, perché vuol dire superare gli stereotipi del “supereroe” che è in grado di affrontare tutto da solo e lo stigma di essere considerati deboli o fragili dai colleghi.
Ma chiedere aiuto è l’atto più coraggioso che possiamo fare per salvaguardare il nostro benessere e anche quello dei nostri pazienti e dei nostri cari.