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Infermieri e assistenza sanitaria: dalla preistoria ai tempi moderni.

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In un volume d G. Celeri Bellotti e A. L. Destrebecq e nei ritrovamenti di Grotta Paglicci. Ecco di cosa parla il testo.

Mi sono imbattuto tempo fa nel volume “Storia dell’assistenza e dell’assistenza infermieristica in Occidente – Dalla Preistoria all’Età Moderna” e ho ritrovato in gran parte contenuti e concetti che avevo espresso al loro interno. Il testo di Giancarlo Celeri Bellotti, infermiere magistrale e docente universitario, e di Anne Lucie Destrebecq, dirigente infermieristico dirigente universitario, rappresenta uno spaccato di vita e di aiuto umano che racchiude circa 40.000 anni di storia.

Il testo, di 386 pagine, è edito per i prestigiosi tipi della Piccin Editore ed è suddiviso in 8 capitoli. Si parte dalla predilezione all’assistenza da parte dell’Homo Sapiens antico (prima di lui dell’Homo Neandertalensis) e si giunge all’Homo Sapiens moderno, ovvero agli Infermieri di oggi.

La copertina del volume di Bellotti e Destrebecq.
La copertina del volume di Bellotti e Destrebecq. 

Ecco la post-fazione realizzata dagli stessi autori, che rende bene sul contenuto dell’intero volume.

È fortemente condivisa, all’interno della Disciplina infermieristica, l’idea che la moderna professione infermieristica affondi le sue radici in un’epoca remotissima, assumendo nel tempo due connotati molto differenti tra loro, ma complementari, sia per i principi ispiratori, l’applicazione e la prassi, sia per la cronologia: l’assistenza e l’assistenza infermieristica.

È storia all’intenio del cammino del genere umano dal suo esordio e, questa, ne segue anche oggi il percorso, perché figlia del genere umano stesso. L’assistenza, nella sua accezione più ampia e nella sua temporalità più profonda, nasce istintivamente con il processo di ominazione, è ancestralmente patrimonio femminile intrinseco e segreto, primo motore di tutte quelle sue forme e sfumature, caratteristicamente e costantemente presenti in ogni società, cultura, etnia ed in ogni tempo.

Ne deriva quindi un lento percorso del genere umano lungo millenni, scandito dai cicli della natura, nel tentativo di addomesticarla e penetrare i suoi misteri, dalla nascita fino alla morte, per cercare di rendere la vita stessa più vivibile, sopportabile e meno pericolosa. Un cammino travagliato, faticoso, complesso ed occultato, perché, alla radice, il cui seme è la donna, è fatto da gesti sommersi del quotidiano e nel quotidiano.

Gesti all’apparenza umili, semplici, scontati, nascosti e quasi insignificanti, ma senza quali non sarebbe possibile ottenere sia una vita dignitosa, e che possa dirsi tale, sia la sopravvivenza fisica stessa, accompagnate e sostenute entrambe da grandi, profondi e significativi legami e scambi interumani.

Proprio questi gesti di cura, che sono espressione concreta del prendersi cura e farsi carico della persona, sono il seme dal quale poi, attraverso il Tempo, si è sviluppata tutta l’assistenza, arrivando nell’attualità proprio all’assistenza infermieristica, disciplina scientifica di studio, ricerca e prassi.

Attraverso le varie epoche storiche prese in esame, in questo testo dalla Preistoria all’Età Moderna, gli Autori descrivono i passaggi epocali storico-evolutivi che hanno traghettato le primissime forme di assistenza, sopravvivenza-sussistenza, qui proposte come Protoassistenza, fino all’emergere di una prima forma-embrione di assistenza infermieristica, qui presentata come Assistenza Infermieristica Predisciplinare, tipica dell’Età Moderna.

Ulteriormente, oltre ad esporre appunto in forma di proposta, le definizioni di Protoassistenza ed Assistenza Infermieristica Predisciplinare, si pone l’accento sul chiarimento del Principio caritativo-pietistico nell’assistenza, come prima e precisa motivazione ad essa, ed emerso con l’affermazione del Cristianesimo. Questo principio viene qui presentato attraverso l’esposizione del “Modello verticale bidirezionale“, che ne rende spiegazione sia dal punto di vista teologico-filosofico, sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista pratico.

I primi infermieri a Grotta Paglicci in Puglia già nel Paleolitico?

Come scrivevo sul quotidiano che dirigevo qualche anno fa esistevano delle “cure sanitarie” tra le popolazioni delle caverne sul pianeta Terra in età preistorica? Pare proprio di sì e le scoperte avvenute nel giacimento archeologico Pugliese la dicono lunga sul grado di civiltà degli Homo Sapiens, che dipingevano le caverne, vi lasciarono le proprie impronte, graffivano su osso, rocce e sassi, cacciavano, cercavano i frutti e si occupavano dei loro malati in riti di gruppo o attraverso i loro Sacerdoti. L’assistenza era di natura empirica o legata a credenze magico-religiose.

L'assistenza infermieristica e sanitaria nasce nella preistoria: esempi tangibili a Grotta Paglicci in Puglia già a partire dal Paleolitico.
L’assistenza infermieristica e sanitaria nasce nella preistoria: esempi tangibili a Grotta Paglicci in Puglia già a partire dal Paleolitico.

Com’erano le “cure sanitarie” e chi se ne occupava durante il Paleolitico Superiore? È una delle domande che spesso si pongono gli studiosi di cose antiche quando riportano alla luce resti o intere sepolture dell’Homo Sapiens, il nostro più vicino antenato preistorico, quello che ha dato origine alla civiltà moderna.

L’assistenza infermieristica primordiale

Quanto scoperto a Grotta Paglicci, sito preistorico ubicato nelle campagne di Rignano Garganico (FG) nella parte settentrionale delle Puglie, ha dell’incredibile. Nel sito paleolitico sono stati rinvenuti negli ultimi 45 anni di scavi oltre 45.000 reperti risalenti a un periodo che oscilla tra i 500.000 e gli 11.000 anni da oggi.

Da quanto emerso dalle ricerche negli ultimi 40 anni si è evinto che il popolo di Grotta Paglicci non era poi così lontano dalla civiltà moderna: seppelliva i suoi morti e aveva appositi rituali magico-religiosi; dipingeva le sue pareti (della caverna) con scene di caccia e “fotografava” sulla roccia – mediante graffiti e disegni – cavalli, cervi, stambecchi, bovi, uccelli, serpenti e persino pinguini boreali (che ai tempi dell’ultima glaciazione probabilmente vivevano lungo le coste del Gargano); lasciava le impronte di mano sulle pareti; faceva vita di gruppo ed era socialmente attivo; cacciava e/o raccoglieva frutti per alimentarsi; e – udite, udite! – “curava” i propri malati con espedienti misti ad empirismo e magia.

E sì, anche gli Homo Sapiens di Grotta Paglicci, avevano i loro “responsabili dell’assistenza“, per lo più sacerdoti o sacerdotesse che, come le tribù arcaiche moderne (rintracciate in vari posti angusti della Terra), utilizzavano intrugli medicali tratti dal mondo vegetale, minerario ed animale.

Ma bisogna precisare, a mio avviso, due livelli di assistenza:

  1. empirico, dovuto essenzialmente all’esperienza per la cura, per esempio, di ferite da taglio, da caduta o da combattimento;
  2. non empirico, che riguardava essenzialmente i “mali intestini”, ovvero quei malanni che riguardavano il corpo umano e che non derivavano da incidenti e/o da agenti esterni all’individuo; in questo caso gli stregoni si rifacevano a credenze magico-religiose e il più delle volte il paziente doveva essere guarito scacciando il maligno che si era impossessato di lui (una credenza popolare ancora presente in molte popolazioni del Sud d’Italia, che hanno dato origine ai fenomeni delle megere di paese).

I sacerdoti, gli stregoni, le megere, o se vogliamo usare una forzatura i primi “Infermieri”, avevano non solo la capacità di togliere i malanni, ma anche di infliggerli utilizzando amuleti, parti del corpo della vittima, oggetti e avanzi di cibo.

A Grotta Paglicci però avveniva qualcosa di diverso che inizialmente aveva fatto pensare a una sorta di “cannibalismo” preistorico: alcune sepolture, risalenti a un arco di tempo che va dai 25.000 ai 20.000 anni fa, sono state rinvenute con delle parti mancanti, soprattutto ossa lunghe.

Dopo attente ricerche – compiute dagli esperti archeologi dell’Università degli Studi di Siena, capitanati fino a un decennio fa dall’illustre Arturo Palma di Cesnola, scienziato di fama mondiale – si è capito però che in grotta si usava riesumare i cadaveri e prelevare ossa intere per farne probabilmente delle reliquie.

A che pro? Probabilmente per le cose che dicevamo poco fa, ovvero la credenza che quelle parti anatomiche avessero il potere di allontanare il maligno (o i demoni della Madre Terra) e di proteggere gli individui viventi.

E non è tutto. Infatti, non è escluso che gli uomini di Grotta Paglicci facessero uso di erbe medicamentose e di “farine” speciali utilizzate non solo per nutrirsi ma per “curarsi”.

Il ritrovamento di raschiatoi e di oggetti litici utili a triturare i semi la dicono lunga sul grado di civiltà di questi cavernicoli, che sicuramente non utilizzavano PC, Tablet e Smartphone, ma che di contro avevano capacità intellettive e intellettuali innate e altamente evolute.

Il volume di Angelo e Antonio Del Vecchio su Grotta Paglicci.

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Dott. Angelo Riky Del Vecchio
Dott. Angelo Riky Del Vecchiohttp://www.angelorikydelvecchio.com
Nato in Puglia, vive e lavora in Puglia, Giornalista, Infermiere e Scrittore. Già direttore responsabile di Nurse24.it, attuale direttore responsabile del quotidiano sanitario nazionale AssoCareNews.it. Ha al suo attivo oltre 15.000 articoli pubblicati su varie testate e 18 volumi editi in cartaceo e in digitale.
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