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Il dolore nella storia dell’uomo moderno: perché il cittadino deve star bene.

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La nascita dell’analgesia. Il dolore è ora controllabile e gestibile, ma rimane pur sempre invalidante.

La parola dolore deriva dal latino dolor ed indica l’effetto del dolore, ossia del soffrire. Il dolore è una sensazione corporea, un senso di sofferenza dovuto all’effetto di un male fisico. Nel XX secolo con la nascita delle neuroscienze sono stati condotti numerosi studi sul dolore. Golgi alla fine dell’Ottocento scoprì le cellule e le fibre nervose; il fisiologo Sherrington coniò la parola sinapsi e Moruzzi intraprese presso l’Università di Pisa, lo studio sulla modulazione del dolore, ossia il controllo del dolore fino ad ottenere analgesia. Tutti i giorni gli Infermieri si confrontano con dolore e analgesia.Lo studio volle individuare come il vivente poteva raggiungere uno stato di non dolore.

Riconosciamo due tipi di analgesia:

  • endogena;
  • esogena.

Sull’analgesia endogena agiscono mezzi terapeutici contro il dolore non solo farmacologici (esogena) e fisici ma anche mentali come la memoria e le suggestioni.

La percezione del dolore interagisce con il sistema nervoso, con quello immunitario, con la cultura, la società e con l’ambiente che circonda l’individuo.  Il dolore come tutti i fenomeni emotivi (gioia e tristezza) non è misurabile in modo obiettivo ma solo in modo soggettivo ed approssimativo.

Negli anni 70’ sono state create delle scale di misurazione affidabili per valutare l’intensità e la qualità.  Queste scale si dividono in semantiche ed analogiche:

  • SEMANTICHE: presentano aggettivi come nullo, lieve, medio e grave.
  • ANALOGICHE: la più usata la VAS (Visual Analogic Scale).

È possibile valutare anche le tre dimensioni qualitative del dolore (cognitiva, valutativa, affettiva e sensoriale). Il più diffuso è quello conosciuto con l’acronimo MPQ (McGill Pain Questionnaire) nel quale il paziente deve individuare gli aggettivi che più corrispondono alle caratteristiche del proprio dolore.

Un nuovo questionario è il MAPS (Multidimensional Affect and Pain Scale) di Clark del 96’. La ricerca attualmente orienta i proprio studi molto sulla percezione del dolore e sui meccanismi di modulazione. La modulazione della percezione riconosce anche eventi mentali come l’attenzione, la distrazione e la suggestione, esempi sono: il placebo, il dolore annunciato e psicogeno.

Come afferma Buytendijk, medico antropologo: “il dolore passa … l’aver sofferto mai”, gli infermieri hanno sviluppato competenze e professionalità per alleviare il dolore, rafforzando con il paziente un approccio assistenziale basato sul concetto di “malattia senza dolore”.

Il nuovo Codice Deontologico degli Infermieri all’art. 18 afferma “L’Infermiere previene, rileva e documenta il dolore dell’assistito durante il percorso di cura. Si adopera, applicando le buone pratiche per la gestione del dolore e dei sintomi a esso correlati, nel rispetto delle volontà della persona.”.

L’infermiere, quindi, ha sia la competenza nella prevenzione e valutazione del dolore, sia il compito di coinvolgere altri professionisti per la cura del dolore.

Il ruolo dell’infermiere è stato, recentemente, riconosciuto dall’articolo 5 comma 2 della Legge 38/2010 come una figura professionale competente ed essenziale nel campo della terapia del dolore e delle cure palliative. Accompagna infatti la persona assistita nelle diverse fasi della vita, accompagna il cittadino dalla nascita, durante il percorso della vita sino alla morte.

Un ulteriore elemento che mostra l’importanza del concetto della “malattia senza dolore”, per la professione infermieristica, è quanto inserito nel patto infermiere-cittadino: “Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a starti vicino quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano, mi impegno ad ascoltarti con attenzione e disponibilità quando hai bisogno”.

Possiamo affermare che il paziente riveste “nel suo dolore” una doppia veste, quella di paziente affetto da sindrome dolorosa e quella di primo collaboratore, essenziale per una giusta gestione del dolore. Spesso la persona assistita è convinta che un certo grado di sofferenza debba far parte del suo iter terapeutico e subisce la realtà.

L’infermiere innanzitutto deve riuscire a far cambiare le convinzioni del malato al fine di poter dare sollievo al suo dolore.  In conclusione, bisogna pensare che la gestione del dolore durante la malattia diventi parte strutturale della presa in carico e parte dei principali esiti (outcome) dell’assistenza sanitaria e l’infermiere è impegnato a evitare che vi siano ritardi nell’applicazione di questo diritto.

Bibliografia

  1. Panerai A, Tiengo M. 2013, Le basi farmacologiche della terapia del dolore, Edi Ermes, Milano.
  2. Tiengo M. (2000)  Il dolore e la mente, Spriger, Milano.
  3. Tiengo M. (2001) La percezione del dolore: ruolo dei lobi frontali, Springer, Milano._________________________

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