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venerdì, Marzo 29, 2024
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TSRM: verso la Legge sulla Radioprotezione. I due principi del riordino.

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Si va spediti verso la realizzazione di un apposito Disegno di Legge (DDL) sulla Radioprotezione. Esultano i TSRM. Ecco i due principi del riordino.

È risultata assai gradita la recente circostanza di incontro con un Senatore della Commissione Sanità, ove mi è stato richiesto un parere su alcuni temi specialistici in ordine alla composizione di un d.d.l. di riordino della sanità. A tale cortese apertura non si può non replicare puntualmente e doviziosamente: in ambito radiologico il tema spinoso e nodale è quello del superamento della famigerata norma sulla radioprotezione – recepimento della direttiva 97/43/Euratom del Consiglio, del 30 giugno 1997, riguardante la protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a esposizioni mediche, già abrogante la direttiva 84/466/Euratom.

A quasi vent’anni, quindi, dalla emanazione (ed otto mesi di ritardo dalla sua sostituzione) del d. lgs. 187/2000, precetto che avrebbe dovuto fortemente migliorare, rendendo più regolare e meno indiscriminato l’utilizzo delle radiazioni ionizzanti in ambito diagnostico medico (l’impianto innovativo, in ordine ad una radioprotezione “tout court” , essenzialmente si basa sui temi di giustificazione ed ottimizzazione, cui rispettivamente agli artt. 3 e 4), vanno ricordate le inefficienze del dispositivo normativo, nato, giusto caso, sotto una guida ministeriale medico-centrica (quarto ed ultimo governo della XIII legislatura).

Inadeguatezze che si sostanziano anzitutto nel mai da nessuno denunciato o recriminato (?) gravissimo ritardo – di ben 15 anni – per la composizione delle Disposizioni Ministeriali (atto n. 15A08299 [1] ) per le procedure inerenti le c.d. «pratiche radiologiche clinicamente sperimentate», nonché per le «raccomandazioni ai prescriventi relative ai criteri di riferimento», poi assai frettolosamente compilate, ed incomprensibilmente già denominate “linee guida”, soltanto sulla scìa mediatica ed emotiva determinata dagli assai discutibili e controversi casi giudiziari toscani di “Marlia” e “Barga” (aprile e luglio 2013), ove, premettendo la giusta perplessità sul raggiunto giudizio di “insussistenza fattuale” in un momento in cui, appunto, ancora non esistevano le c.d. “linee guida” cui all’art.6, per opinione abbastanza condivisa del senno di poi, sarebbe stato addirittura preferibile un dispositivo di condanna (che quanto meno avrebbe evidenziato le inefficienze), vista anche la inconsistenza del sistema punitivo dell’esercizio abusivo di una professione, così come previsto dal previgente dispositivo pre-legge Lorenzin, con reclusione fino a sei mesi o ben più agevole multa sostituiva da euro 103 a euro 516 (quasi una tassa annuale).

Il primo dei motivi è basato, da una parte, sulle storiche, insincere “distanze” tanto sistematicamente quanto ingiustificatamente prese dai medici radiologi, che nella stragrande maggioranza dei casi non adempiono a funzioni pure tipicamente attestate e viepiù avocate: esame della richiesta di prestazione, inquadramento clinico ed anamnesi con valutazione di eventuali esami precedenti, giustificazione e consenso informato (alzino la mano quanti abbiano incontrato un medico radiologo che effettui sistematicamente e non soltanto occasionalmente tali operazioni in un qualsivoglia servizio di radiologia, soprattutto di tipologia generale/tradizionale); dall’altra, da una diffusa e/o simulata, sostanziale ignoranza collettiva su cui si basa tutto l’impianto normativo: ignoranza sulle identità che DI FATTO e sulla base di autorizzazioni accademiche e legali, si relazionano (da oltre mezzo secolo) con i pazienti: infatti la relazione prevalente con i destinatari dell’atto diagnostico (che parallelamente alla definizione di “atto medico radiologico”, meriterebbe di essere identificato e caratterizzato quale “atto tecnico radiologico”, argomento che ancora si dispera possa interessare la Federazione degli Ordini delle Professioni Sanitarie Tecniche FNO TSRM PSTRP), è a carico del tecnico sanitario di radiologia medica (TSRM); è pertanto a lui che bisognerebbe riferirsi – come già accade in altre nazioni europee: GB davanti a tutte – quindi non in veste di “delegato a vita” (peraltro anche irregolare, viste le caratteristiche legali dell’atto medesimo, che secondo l’assoluta maggioranza della giurisprudenza deve essere «scritto e certificato» [2] ) – per una valutazione di appropriatezza sia clinica che tecnica.

In ordine a ciò, un potenziamento certamente attendibile (e del tutto possibile, visto il richiesto titolo di laurea triennale universitaria) delle competenze della figura professionale non-medica, possono essere anche ricercate nel miglioramento del processo formativo cui all’art.7, che deve essere completamente modificato dalla ridondante, inefficace e di fatto controproducente (per cui anche detestata) formula attuale, ove una formale prassi “creditificia” (da cui è necessario slegarsi) divori la sostanza: prassi che prevede, a normativa invariata, una inutile ripetizione quinquennale di temi già noti, per di più indirizzata ad operatori già detentori di formazione specialistica, che diversamente dagli altri operatori e professionisti (medici e non) che comunque ordinariamente intervengano nei processi di diagnostica per immagini (soprattutto infermieri, pure ritenuti ugualmente “delegabili”, ove agevolmente si intenda sussista un torto da una parte, ed un pressappochismo, dall’altra) non soltanto hanno già affrontato a tempo debito i medesimi argomenti (fisica generale e delle radiazioni, radioterapia, elementi di radiobiologia, radioprotezione e controlli di qualità, etc. ), ma che necessitano, proprio per l’espletamento delle funzioni cagionate dal “buco funzionale” creato dai medici radiologi, di una formazione di più adeguato livello, anche comprendente l’approfondimento di base, ed il pur agile approccio delle tematiche specifiche (laddove pure non già conseguite, anche con vari master) in ordine alla implementazione delle complete competenze richieste dai temi di novella del d. lgs. 187/00.

Il secondo motivo (corrispondente al vero “vulnus” normativo) è quello della effettiva efficacia del d. lgs. : risulta anzitutto contemporaneamente paradigmatica ed irrisolvibile una, sceneggiata o reale che sia, inconsapevolezza della stessa classe medica (non necessariamente corrispondente a quella dei soli medici radiologi), proprio sui temi innovativi dell’atto normativo; oscurantismo sistematicamente svelato all’atto della richiesta di una traduzione concreta degli stessi: i temi di riscontro sono tanto sistematici, per la completa assenza di strumenti atti alla certificazione e tracciabilità, anche del solo processo di giustificazione, quanto esclusivamente di tipo sociologico (!?!), allorquando i pochi TSRM che «pretendano» (sub circolare 49/2015 FNCTSRM) una traduzione concreta di una innovazione di fatto mai realizzata, riscuotano un trattamento che in alcuni casi degenera anche in atteggiamenti intimidatori, di violenza personale e di ritorsione (anche con la deprecabile, ma assai comune, strumentalizzazione del dispositivo disciplinare), condotte esercitate a varissimo titolo ed intensità dalla dirigenza (addirittura non medica).

Lo scenario che i dirigenti, nelle migliori ipotesi, disegnano è quello di una interpretazione interamente di comodo della normativa, che invece risulta (anche piuttosto insperatamente) assai chiara ed intelligibile: da una parte rapidamente intendono che la giustificazione individuale di ogni esame radiologico, la sua ottimizzazione e la responsabilità clinica siano a carico del medico specialista radiologo; meno lesta la comprensione delle conseguenze di tali prerogative, spesso soltanto declinate svuotando le stesse dei propri significanti, cui il primario è una visita di ogni paziente, atto (delegabile o non) ritenuto però dai medici radiologi non necessario e di carattere del tutto ridondante, visto un giudizio di un collega prescrivente che bisogna accuratamente evitare (per viltà o per ritenuta incompetenza degli stessi committenti) di confutare, motivo di fondo per cui anche nelle evenienze di urgenza-emergenza la semplice richiesta di consulto telefonico con il prescrivente (pure previsto dalle direttive ministeriali), sostitutivo della visita al paziente e validante l’atto di giustificazione, è puntualmente (e spesso assai sgarbatamente) ricusata: una risposta scritta ufficiale di un primario radiologo è stata la seguente: «si ricorda che qualsiasi procedura nuova procedura deve essere una procedura Aziendale, approntata da un tavolo tecnico e successivamente approvata dalla Direzione Sanitaria e dalla Direzione di Presidio e dalla Direzione Sitra. Al momento che io sappia della procedura proposta non ve né è notizia.» ove non si è inteso che detta “procedura proposta” fosse corrispondente al mero richiamo normativo.

Altro tema misconosciuto è quello della integrale clamorosa dimenticanza, in fase di compilazione del noto (e pure già obsoleto all’atto della pubblicazione) “elenco esaustivo” , della radiologia domiciliare/radiologia portatile. Anche rimanendo esclusivamente in campo ospedaliero (perché in ambito domiciliare sarebbe necessario e sufficiente che nella equipe della unità mobile figuri un medico radiologo), se è vero che gran parte delle procedure al letto del paziente sono formalmente richieste in regime di ricovero in urgenza-emergenza (fattispecie cui le direttive ministeriali identificano un unico responsabile, senza nemmeno citare il TSRM), sulla scia di un costante “stato di necessità” ed esigenza di rapido disbrigo (motivo delle concomitanti frenesie dei prescriventi – vere o sceneggiate, da una parte, e della autentica frustrazione dei TSRM, dall’altra), è altrettanto vero che la gran parte di esse (con la quasi totale esclusione dei reparti di terapia intensiva, ove comunque i temi di “falsificazione” e non di “giustificazione” siano di migliore ed assai agile apprendimento continuo) sia costituita da esami eseguibili in diagnostica radiologica (superando di gran lunga il mai formalizzato tema della pretestata, invalida valutazione di non-trasportabilità del paziente), richiesti in tal guisa per i più in-elencabili motivi di comodo, addirittura arrivando a fantasticare aberrazioni del tipo:

«Che la radiografia standard del torace in una proiezione sola AnteroPosteriore è presente nell’elenco esaustivo …»; e che in occasione delle esecuzioni in corsia «la sala di degenza diviene una sala radiologica con caratteristiche particolari».

Tesi (quantomeno d’azzardo) del settembre 2019 di un direttore dipartimentale di servizi diagnostici, cui forse gioverebbe un (vero) aggiornamento.

Molti specialisti della materia – medici legali soprattutto [3] – si sono ripetutamente spesi in analisi che, se da una parte volevano supportare, come poi avvenuta, la tesi di insussistenza fattuale (ossia di assenza di colpevolezza) dei TSRM, dall’altra né hanno impedito il reiterarsi del medesimo evento (Bari, gennaio 2018 e Fermo, luglio 2019), né sono riusciti a risolvere i ridondanti temi che alla bisogna risultano assai utili a consentire – sempre e comunque – al medico radiologo di restare incollato alla poltrona (quando non addirittura anche al letto, per reclamata «liceità di riposo» [4]), malgrado siano anche chiari i temi preposti alla sempre più avallata necessità di trasferimento dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, che certamente hanno contribuito ad una massiccia applicazione dei servizi della telemedicina alla radiologia, ovvero allo sviluppo della tele-radiologia, che in ogni caso non può venire meno a specifiche necessità: assicurare a tutti un’adeguata e qualificata assistenza sanitaria indipendentemente dalla presenza di barriere fisiche, geografiche, sociali e culturali, garantendo un’effettiva equità e disponibilità di accesso alle prestazioni sanitarie [5]. In breve: di migliorare la qualità del servizio sanitario erogato, a fronte di un contenimento dei relativi costi di gestione (costi che escludono una sana escursione del medico radiologo all’interno del nosocomio – di alcuna difficoltà per il TSRM – per recarsi dal paziente).

Temi, quindi, ben lontani dal proposito di snaturare ed evacuare di contenuto le attività a garanzia delle tutele sui pazienti, e che soprattutto nulla hanno a che vedere con un evidente atteggiamento di chi evita, in parallelo esercizio medico difensivo passivo, anche in ambito ospedaliero il contatto con gli utenti/degenti, come se lo stesso costituisca una attività alquanto indebita … o addirittura una mera «perdita di tempo» (come altro internista ha avuto a definire il processo di giustificazione in capo al medico radiologo).

Per nulla fruttuosa è stata la seduta della 14 a Commissione delle Politiche dell’Unione Europea – Ufficio di Presidenza di Mercoledì 13 Febbraio 2019 [6], ove i medici radiologi, pur ammettendo una loro propensione per una attività da loro stessi definita «lettura delle figurine» (intestazione miniaturizzante il tanto decantato “atto medico radiologico” , le cui cognizione e comprensione non hanno mai varcato la soglia delle aule di dottrina SIRM), hanno – in sintesi e buona sostanza – ribadito la supremazia del medico radiologo e la posizione di irregolare delegato a vita – e sostanziale utile idiota – del TSRM.

Riassumendo.

Allorché i medici radiologi non svolgano i compiti loro attribuiti, di fatto vanno ad invalidare sia i presupposti che gli obiettivi della legge, ed espongono i TSRM (laddove non sussista anche la più facile e probabile implicita subornazione) all’esercizio abusivo della professione medica, che di fatto essi stessi ritengono esigibile in automatismo dal TSRM, in tal intendimento provocando una breccia nelle stesse loro argomentazioni dottrinali: perché a quel punto la giustificazione è attuabile de facto dal TSRM.

Morale: piegare le leggi ai propri contraddittori desideri, alla propria autoreferenzialità è un esercizio insolvente nel lungo periodo.

Fintanto che i TSRM non intenderanno essere soggetti ad una sistematica “forzatura” sulle competenze (cui giustificazione ed ottimizzazione sub d. lgs. 187/00, pure costituiscono la mera punta di un sommerso iceberg) e non si opporranno pragmaticamente, denunciando il rifiuto di atti d’ufficio e la subornazione, continueranno a rimandare all’infinito la loro stessa evoluzione professionale.

Il legislatore deve prendere atto, infine, manifestando un concreto interesse ai temi sottostanti la necessità di un sistema normativo equo, efficace e bilanciato, che deve essere visto come priorità sociale, per cui serve anche un corrispondente adeguato, grande cambiamento culturale, del fatto che la medicina modernamente intesa (contrariamente a quanto mostrato in fantascientifiche pubblicità telefoniche [7] ) deve ritornare “sul campo” , con un nuovo binomio di centralità: professionalità – paziente, per il cui esercizio è necessario, in sintonia con il disatteso leitmotiv del comma 566 della l. 23 dicembre 2014, n. 190, il potenziamento e non la genuflessione delle professioni sanitarie non mediche, che nello specifico si traduce assai semplicemente nel trasferimento delle competenze di giustificazione ed ottimizzazione ai TSRM.

[1] GU Serie Generale n.261 del 9/11/2015
[2] Artt. 16 e 17 d. lgs. 81/2008 modificato dal d. lgs. 106/2009
[3] https://journals.seedmedicalpublishers.com/index.php/PMeAL/article/view/1212
[4] http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=74899
[5] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2129_allegato.pdf
[6] http://webtv.senato.it/4621?video_evento=939
[7] https://www.youtube.com/watch?v=ohvA551N3-Y

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Dott. Calogero Spada
Dott. Calogero Spada
Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (Bari, 1992), perfezionato in Neuroradiologia (Bari, 2001), Laureato Magistrale (Pavia, 2015), Master II liv. in Direzione e Management (Casamassima – BA, 2017) e di I liv. in Coordinamento (Castellanza – VA, 2011); dal 2017 guest blogger e web writer in sanità.
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