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TSRM: quel decreto sulla radio-protezione fa ancora discutere!

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I perché di una disapplicazione normativa (parte prima).

La legge per la protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche (d.lgs. 187/2000), norma non ancora aggiornata alla successiva direttiva europea 2013/59 (scadenza: 6 febbraio 2018), è un decreto che per i suoi contenuti ed applicabilità ha fatto e fa ancora molto discutere. In attesa del suo aggiornamento, a quasi un ventennio dalla sua emanazione, si vuole dare una pur parziale analisi retrospettiva circa i motivi di una disapplicazione normativa tanto puntuale quanto incomprensibile, che ha alfine restituito la medesima norma, tra quelle recenti a carattere sanitario, come quella di forse maggiore difficoltà applicativa, alla luce non soltanto delle polemiche indotte (soprattutto in termini sociologici), ma anche dei casi giudiziari che ha innescato, anch’essi a tutt’oggi di assai controversa interpretazione.

Anzitutto va evidenziato un dato centrale: a parte le specifiche del disposto normativo, composto da 15 articoli più 6 allegati, il comma 1 dell’articolo 6 recita:

«Il Ministero della sanità adotta linee guida per le procedure inerenti le pratiche radiologiche clinicamente sperimentate nonché raccomandazioni ai prescriventi  relative ai criteri di riferimento, ivi comprese le dosi, per le esposizioni mediche che consentono di caratterizzare la prestazione sanitaria connessa con la pratica; tali linee guida sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale».

Dette “linee guida” – denominazione peraltro impropria, se non proprio sconveniente, perché confonde mere integrazioni normative ed indicazioni di “interpretazione autentica” con le genericamente intese (e soprattutto non obbligatorie) linee guida –  non vedranno la luce che il 09 novembre 2015, pubblicate in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie generale n. 261 , quindi a ben 15 anni dalla edizione della norma – 26 maggio 2000 – anche se gli effetti della stessa erano post datati (altra eccezione a carattere “precauzionale”) al 1 gennaio successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (07 luglio 2000).

Tra le numerose «raccomandazioni ai prescriventi» spicca la seguente: 

«Al fine di poter immediatamente dirimere eventuali dubbi sulla giustificazione   dell’esame richiesto, deve essere prevista una procedura operativa che assicuri il rapido consulto, anche telefonico, fra Medico radiologo e medico specialista del reparto».

Pure i commenti più frequenti, anche odierni, che i TSRM si sentono trasversalmente rispondere dagli stessi medici, alla richiesta di tale giustificazione (art. 3), anche tramite tale semplice consulto telefonico, (frasi vere) sono:  

«Ma da quando?»    «Ignoro cosa sia la giustificazione dell’esame; certamente è una cosa “vostra”, dei radiologi, che non ci riguarda …».

Quindi è legittimo domandarsi il perché di un tale ritardo di “armonizzazione normativa” , nonché della sua assai stentata assimilazione?

La risposta è tanto semplice quanto disarmante: è uno dei più tipici casi di collettiva, vera o presunta “ignoranza della legge”: lo dimostra lo stesso “trigger” , costituito dai noti casi giudiziari Toscani di Marlia, Barga e Castelnuovo Garfagnana del 2013, che “solleciterà” il suo pur previsto ma assai tardivo completamento; segno evidente di come e per quanto tempo, all’interno di un intervento normativo di normale inteso mutamento, nessuno cambiò nulla, ma anche che nessuno (istituzioni incluse) “si accorse” di nulla (situazione per lo più di diffuso comodo, che ancora oggi spiega una diffusa “resistenza al cambiamento” specifica): praticamente la norma è passata semplicemente «inosservata», in ogni accezione dell’aggettivo; per motivi sia tecnici (discussi in questo primo contributo) che sociologici (discussi nel secondo ed ultimo, unitamente alle dovute conclusioni).

Per quanto ai primi, quindi, ciò dipese anzitutto da alcune caratteristiche riferibili ai poco collaudati meccanismi di genesi normativa introdotti dall’epocale passaggio di appartenenza alla Unione Europea: infatti nel dare esecuzione (la c.d. “ratifica”) ai trattati, ossia nel conseguire l’obbligatorio risultato da raggiungere (che nel caso specifico, non va né dimenticato né confuso: è la radioprotezione) si può agire in due differenti modi:

  1. Dando piena e completa esecuzione alle clausole della direttiva (detto in parole più semplici: copia e incolla);
  2. Modificando ed adeguando le stesse clausole della direttiva all’ordinamento nel quale si deve dare esecuzione alla stessa (detto in parole più semplici: verificare proattivamente le condizioni normative nazionali, in ordine ad una implementazione, c.d. “armonizzata”).

L’Italia, vittima della stessa propria (peraltro storica) carenza di personalità politica internazionale, è evidente, utilizzò la prima modalità, implementando una norma che, tra le altre cose, condurrà alla tutt’ora mai risolta, spiraliforme questione della traduzione del termine «practitioner» : in Italia inteso quale medico specialista (radiologo), e del conseguente indirizzo delle relative funzioni (tra cui quella “nodale” della giustificazione degli esami radiologici), di fatto dirottando quindi verso questi anche la prerogativa, tipica  ed ancora sussistente dei TSRM, di esecuzione di esami “su prescrizione medica”; spiraliforme perché, se da una parte, ha evidentemente ragione la FNO TSRM PSTRP, che stigmatizza una differenza intraeuropea sul significato del termine, ove «fatta eccezione per la Grecia, in tutte le traduzioni nelle lingue romanze, è stato tradotto con professionista o professionista sanitario abilitato; in italiano con medico specialista» (Recepimento direttiva 2013/59/Euratom Documento di posizionamento – marzo 2018), quindi nell’intento di recuperare la pure importante fetta di autonomia professionale “estorta” ai TSRM dal d. lgs. 187/00, dall’altra sono pure veri altri due fatti anche tra loro in contraddizione, che aggiungono confusione al caos:

  1. nella lingua inglese, lingua di generale riferimento, dal periodo vittoriano in poi anche per i trattati e norme internazionali, il medesimo termine è storicamente utilizzato per identificare il corrispondente italiano di “medico di medicina generale” (general practitioner), il quale pure ha un ruolo nella specifica fattispecie, ma assai diverso: ossia quello del generico prescrivente di prestazioni radiologiche ambulatoriali;
  2. la constatazione che dette funzioni del practitioner , proprio in Inghilterra, vengano effettivamente esperite dal «Technologist» ossia dall’omologo dell’italiano TSRM.

Fino a poco tempo fa ha costituito un altro dei “motivi tecnici”, la mancata evoluzione, più volte intentata (anche dai governi “Monti” e “Letta”), dell’art. 348 c.p. riguardo l’esercizio abusivo di una professione, che se da una parte, nel caso delle attività sanitarie è ritenuto «ontologicamente più grave» (Commissione Giustizia del Senato – 2013), dall’altra, con la previgente (irrisoria) sanzione pecuniaria (multa da € 103 a € 516) alternativa alla reclusione  (fino a sei mesi), aveva un effettivo potere dissuasivo praticamente nullo.

La legge 11.01.2018, n. 3 (“Lorenzin”) ha opportunamente ricalibrato, come anche prevedevano i precedenti disegni di legge, l’apparato sanzionatorio, rendendo assai più “salato” il conto per l’esercente abusivo (reclusione da sei mesi a tre anni;  multa da € 10.000 a € 50.000; pubblicazione della sentenza,  confisca delle cose e interdizione da uno a tre anni dalla professione); adesso va però ancora “assimilata” tale incombente e più concreta minaccia, che nel caso della legge sulla radioprotezione riguarda soprattutto il TSRM (casus belli docet) in eventualità di esperimento di illegittima giustificazione ed ottimizzazione autonoma degli esami radiologici, esclusi i casi delle «pratiche standardizzate» aziendali (anche dette “giustificazioni di secondo livello”). Ovviamente il tutto va conciliato con l’apparato sanzionatorio specifico del d. lgs. 187/00.

Anche il  corrente e fallimentare sistema ECM, ha dato il suo contributo “tecnico” negativo: ferma una prevista (dallo stesso d. lgs.) “revisione quinquennale” della formazione (art. 7), stranamente rivolta esclusivamente ai professionisti dedicati, che hanno la radioprotezione quale argomento di studio già nei caratterizzanti programmi formativi universitari, con l’attuale sistema da “creditificio” (tanto carente nei contenuti quanto discretamente “truffaldino” nel processo di valutazione – deve dare motivo di esistenza di se stesso) si è conseguito un unico risultato: la percezione (di grande sottovalutazione), che i temi del d. lgs. 187/00 , fossero una mera “formalità” da ateneo o da aula didattica, che poco o niente avessero a che fare con la pratica professionale.

Infine, ma non per importanza, non va affatto dimenticato che, all’interno di dette linee guida del 2015, operando un discrimine, ossia “listando” le pratiche radiologiche operabili senza giustificazione (appendice 1), si è conferito un colpo mortale non tanto alle metodiche delle “grandi macchine” (Tac), ma a tutta la branca della radiologia decentrata, complicando enormemente il processo valutativo dei pazienti prescelti dai clinici per esami di corsia in ambito ospedaliero (il medico radiologo non va al letto del paziente), e decretando un forte limite allo sviluppo di tutta la radiologia domiciliare, attività che rientra nell’ambito dei percorsi di sviluppo dei servizi territoriali e della Telemedicina.

Ma probabilmente l’aspetto più importante in una valutazione di tipo tecnico, riguarda proprio i processi di giustificazione (art.3) ed ottimizzazione (art.4): la mancata puntuale spiegazione, anche nella seguente integrazione normativa, su come operarne la attuazione pratica, sulla relativa matrice delle responsabilità (ossia una puntuale scomposizione gerarchica delle stesse), nonché sulla relativa “tracciabilità”, soltanto del tutto recentemente riconosciuta come “necessaria”, ha consentito la loro pressoché totale negligente mancata applicazione, e reso essi stessi tutt’ora come una problematica di fatto comodamente snobbabile, superata dal ritenere sostanzialmente interessante la mera esecuzione dell’esame, senza alcuno di questi intesi “inutili fronzoli”.

I perché di una disapplicazione normativa (parte seconda)

Nel primo contributo sono stati trattati oltre al preambolo iniziale, i motivi tecnici del parziale fallimento del d. lgs. 187/00.

Per quanto ai secondi (i motivi sociologici) sono da rimarcare differenti posizioni abbastanza contraddittorie, nonché opportuniste, dei medici radiologi e dei medici specialisti in generale, cui non si può non fare precedere un fondamentale motivo a premessa: la mai risolta questione dell’arcinoto “comma 566” della legge n. 190/2014 c.d. di “stabilità 2015” ; comma più volte motteggiato con un adagio di indiscussa e versatile efficacia: «l’assalto alla diligenza» (della FNOMCeO) o inteso come perpetuato da o per (assai) presunti «apprendisti stregoni» (della Anao Assomed) – all’interno di una sostanziale contraddittorietà dello stesso agire del Presidente del Consiglio dell’epoca, che se da una parte ha voluto inserire una norma che nelle intenzioni doveva rivoluzionare la Sanità Italiana, avvicinandola al più avanzato modello Britannico (peraltro evitando presunte attuali o future carenze di soli medici – non si può vivere per sempre con la “pletora medica” sessantottina, magari anche per gran parte impegnata in attività di scarsa attinenza medica), dall’altra si è fatto primo promotore di un’altra iniziativa che condurrà su ben altra sponda: la assai discutibile, per merito, metodo e tempistica, sentenza n. 54/2015 della Corte Costituzionale; mossa Presidenziale a “zig zag” che “legittimerà” i seguenti comportamenti:

quelli dei medici radiologi: che, malgrado numerose incongruenze normative, tra cui:

  1. la elevata, ma non formalmente (né tantomeno economicamente) riconosciuta competenza dei TSRM, che ordinariamente costituisce essenziale ed insostituibile pilastro della professionalità degli stessi medici radiologi(fondamento però tanto apprezzato informalmente – e di fatto anche strumentalizzato –  quanto avversato ufficialmente: vedi gli “apprendisti stregoni”);
  2. la preoccupante e grave commistione di ruoli che la norma induce: infatti assai curiosamente, è anche previsto normativamente che i medici radiologi si sostituiscano, sistematicamente od occasionalmente, al TSRM pur non avendone né titolo, né reali abilità specifiche;
  3. il contenuto di una pletora di proprie pubblicazioni al riguardo: ad es. la continua rivisitazione dell’atto medico radiologico, a fronte di una assenza – grave mancanza della FNO TSRM PSTRP – di edizione di un proprio “atto tecnico radiologico”;
  4. il consolidamento da più di 3 anni dell’impianto normativo della radioprotezione (“linee guida” incluse),

da una parte mantengono un atteggiamento egemone, subordinando sempre e ad ogni costo le figure cui però si riferiscono in continuazione nella pratica professionale ordinaria; ma dall’altra vorrebbero anche sottrarsi alle condotte professionali attese dal combinato disposto dei decreti legislativo e ministeriale (in particolare nei mai ben compresi processi di giustificazione ed ottimizzazione).

Quelli degli specialisti non radiologi: la loro posizione di “comodo convergente” è stigmatizzabile su due fronti: quelli di una dominanza medica da manuale, sia generale sia specifica: la seconda è ovviamente diretta ai professionisti non medici, ancora ritenuti a tutto tondo (viste anche le sperequazioni economiche, oggetto anche questo di sottile quanto disprezzabile, trasversale “derisione” sociale) professionisti “minori” o “inferiori”, a prescindere ormai dal numero di anni di studio (il “gap” si va sempre più riducendo, ma anche di questo sembra non si accorgano), la cui discriminazione è operata con sottile sotterfugio, quasi con leziosità, concretizzata nell’insistenza a volersi relazionare con loro per la richiesta di determinate prestazioni, ossia con un comportamento ordinario pre-d.lgs.187/00; il tranello è presto svelato: da una parte si evita il più “difficile” ma obbligatorio confronto con il proprio omologo, dall’altra si approfitta di una comoda induzione di inferiorità (o presunta superiorità – perché sussistono divergenze anche al tal riguardo in seno ai TSRM) nell’approfittare di poter “C O M A N D A R E” la esecuzione di qualcosa, per lo più dissimulando di sapere (ma anche effettivamente ignorando) che non è più sufficiente il solo atto prescrittivo (in genere la notizia è appresa con plastico sbigottimento, reale o sceneggiato).

La dominanza medica generale è operata (assai stranamente) verso gli stessi medici radiologi – motivo per cui si evita a tutti i costi il confronto – per una ragione che risulta di evidente ostacolo: se da una parte è chiaro che il processo di giustificazione prevede anche la visita del paziente da parte dello specialista radiologo (che peraltro, per gli stessi motivi di resilienza al confronto, ha poca voglia di effettuare), dall’altra i clinici ritengono, ad es. nel caso particolare (anch’esso, al pari di ogni procedura Tac, “extra linee guida”) della radiologia in corsia (si riporta una frase di uno di essi) che: «… nessun radiologo, senza preparazione clinica sia in grado di modificare una decisione presa in scienza e coscienza sulla trasportabilità di un paziente, anche se venisse di persona al letto del paziente», laddove si commettono ben tre errori grossolani:

  1. il primo: sulla presunta impreparazione dei medici radiologi (si ribellino se possono e vogliono);
  2. il secondo: sul c.d. “criterio della trasportabilità”, che è stato ampiamente da tempo superato, sia dal fatto che attualmente siano estremamente rare, se non inesistenti, le tipicamente lamentate circostanze (dal medesimo clinico) di: «quando il paziente deve essere portato su ascensori scomodi e lungo sotterranei freddi, con infusioni magari in pompa ed O2 terapia», sia dalla definizione più propria di “eseguibilità dell’esame rx in ambito di diagnostica radiologica”, che supera, e di molto, tale presunto criterio, peraltro non scritto da nessuna parte, di detta “trasportabilità”;
  3. il terzo: che l’intento normativo è di consentire una differente valutazione specialistica del medico radiologo (che pure deve averne consapevolezza), che può anche condurre alla risoluzione del quesito diagnostico mediante metodiche alternative (in un obiettivo generalizzato di radioprotezione, appunto) all’utilizzo della procedura radiologica richiesta, qualsivoglia essa sia.

Pur tuttavia il risultato è quello di due “contendenti” che reciprocamente rifiutano il confronto, sostanzialmente per evitare lo scontro, mentre il rapporto con il paziente resta saldamente in capo al professionista non medico … ossia la differenza tra la medicina delle scartoffie e quella di una esperta pragmaticità …cui prodest?

Conclusioni

Uno dei motivi di fondo – istituzionali –  di questa strana storia è un legiferare, quello Italiano, incerto in campo internazionale, cioè eccessivamente reverente verso l’Europa, incompleto per decenni ed addirittura incompetente in campo nazionale: anzitutto rispetto alla normativa professionale preesistente (soprattutto nel rispetto di una professione, quella del TSRM, che ha più di cento anni di tradizione); in secondo luogo per il denominare i contenuti del collegato decreto ministeriale come “linee guida” , che ha finito con il delegittimarle da subito, costituendo uno dei più classici “errore su altro errore” normativo; imperizia comprovata anche in riferimento alla grande importanza normativa: sia primaria (l’oggetto, che ricordiamo ancora, essere la radioprotezione, non la creazione di presupposti da class-action) sia secondaria (gli ineludibili equilibri professionali e sociologici sottesi). 

Uno dei motivi di fondo – attinente la classe professionale principalmente implicata – i TSRM – è l’incapacità di passare da un pur comprensivo stato emotivo ad uno più razionale: il più che legittimo disegno di recuperare i temi della autonomia professionale perduta non possono non passare – paradossalmente, come anche indicato dal documento di “posizionamento” dell’Ordine medesimo – che dal rispetto anche polemico e maniacale della norma stessa, che per di più ha la fondamentale funzione tutelare; solo tale corretto abitus potrà maggiormente mettere in evidenza ogni limite ed ogni sua fallacie, prima fra tutte la incoerenza medica a voler detenere sotto un profilo formale, ma pressoché illegittimamente, competenze esperite con sicurezza professionale e senza soluzione di continuità (perché già precedentemente statuite) dai TSRM (il che invertirebbe il tema del “colpo di mano” invocato per il comma 566 …).

Fin tanto che – in primario esempio – il processo di giustificazione non sarà normativamente di nuovo trasferito dal binomio: medico prescrivente-medico radiologo, al binomio: medico prescrivente-TSRM (come avviene in Inghilterra e nel resto dell’Europa, Grecia esclusa), ogni testardo tentativo “contra legem” di recupero di autonomia professionale, si tramuta in un “suicidio professionale”: sia tramite l’arma di esercizio abusivo della professione secondo Lorenzin, sia tramite quella di una intestina diatriba (su una appropriazione forzata di titolarità); pertanto e rispettivamente: ogni buon motivo di contraddittorio e di rivendicazione è strumentale alla evoluzione normativa, non alla infrazione di quella attuale, ed ogni lotta intestina si tramuta in una inutile ed assai pericolosa “guerra di cipolle”.

Per quanto alle possibilità di denuncia delle inadempienze, bisogna superare il fuorviante mito del “complesso di Don Chisciotte”, per giungere ad una interpretazione poco “Italiana” ma molto “Europea” di piena assunzione della responsabilità professionale in senso stretto, ove la segnalazione di comportamenti illeciti nella Pubblica Amministrazione (e non solo) è un diritto/dovere pure troppo prosaicizzato in una miriade di codici, ma assai poco adempiuto e dove il c.d. “Whistleblowing” è una norma di legge (L. 179/2017) che non può anch’essa passare «inosservata» da tutti e dove, infine, i motivi di socializzazione all’interno delle situazioni di lavoro spesso rappresentano l’indorata pillola di bugie che ci raccontiamo e che ci facciamo raccontare per fuggire da una realtà che non ci piace e che pensiamo di non poter/dover cambiare; se ha ancora senso vivere in un sistema ancora denominato “repubblica” ossia «res publica» –    letteralmente “cosa del popolo” –  allora l’interesse ad un corretto funzionamento della stessa è comune e di tutti, nessuno escluso, indipendentemente dal ruolo rivestito ma anche proporzionalmente allo stesso; infine se tali atteggiamenti tutti insieme si traducano in un tanto temuto “blocco delle attività”: beh … tanto meglio: si blocca tutto senza nemmeno dover scioperare! Quando si parla di comportamenti virtuosi, bisogna includere anche gli effetti collaterali degli stessi.

Per quanto all’ente rappresentativo nazionale, pur concordando con la posizione più volte ribadita, ad esempio anche nel più recente caso del decreto 10 agosto 2018 – «Determinazione degli standard di sicurezza e impiego per le apparecchiature a risonanza magnetica», anche in assenza di un pur dovuto ricorso contro un decreto ministeriale dai contenuti assai ingiusti, perché posti sulla base del c.d. “modello matrioska”, posizione cioè di «invito a tutti i TTSSRM, ovunque operanti, a rendere conforme il loro agire quotidiano alle disposizioni normative», la stessa Federazione degli ordini deve indirizzare la medesima sensibilizzazione verso le istituzioni tutte (aziende ospedaliere incluse) e verso i corrispondenti organismi rappresentativi professionali dei medici: affinché l’onere pratico di una applicazione normativa non ricada sui soli TSRM, che all’atto di richieste di comportamenti di coerenza vengono guardati come degli alienati. 

Uno dei motivi di fondo, infine, della ipocrisia della classe medica italiana è di non riconoscere almeno tre elementi determinanti in ordine ad una evoluzione normativa in linea con le specifiche competenze, con le reali esigenze operative e con l’evoluzione tecnologico/organizzativa in sanità:

  1. Risulterebbe del tutto inutile l’istituzione di un profilo di laurea triennale/magistrale se poi per esperire funzioni specifiche (già a suo tempo proprie) si debba dipendere da altro profilo professionale; le competenze o si possiedono oppure non si possiedono: non è possibile né esperire, né giudicare né tanto meno rivendicare titolarità su atti di cui non si disponga di specifica competenza e viceversa;
  2. Risulta effettivamente impossibile negli attuali sistemi sanitari complessi per i medici radiologi attendere a tutte le funzioni cui caparbiamente intendono restare in titolo (vedi l’atto medico radiologico ne: “Il nuovo medico radiologo” – FNOMCeO 18/10/2018): è intellettualmente fisiologica una diversificazione delle posizioni e gerarchie, parallela allo stratificarsi ed alla «complessazione» delle conoscenze, e soprattutto dei ruoli e funzioni.
  3. Se NON si vuole concedere una tale evoluzione professionale dei TSRM (a fronte di una umiliante involuzione normativamente coartata) allora bisognerebbe effettivamente attendere a tutte le funzioni di cui si rivendica titolarità (a cominciare dalle reali valutazioni obiettive del paziente e di ogni altra condizione tecnica oltreché clinica), senza quindi astutamente approfittare solo informalmente della altrui reale evoluzione stessa.

In breve, e più in generale, se tutta la classe medica Italiana riconoscesse e agevolasse, invece che ostacolarla, una piena attuazione del comma 566 della legge n. 190/2014, e per contro disconoscesse la sentenza della Corte Costituzionale n. 54/2015, opererebbe un atto di onestà professionale, intellettuale e deontologica; parafrasando Neil Armstrong, sarebbe un “giant leep” cui la Sanità Italiana ha da lungo tempo bisogno. 

In particolare per la diagnostica per immagini: una corretta applicazione della legge sulla radioprotezione, qualsivoglia siano i decisori, è finalizzata ad un corretto uso e alla disincentivazione del corrente e grave abuso generalizzato delle pratiche radiologiche tout court: in particolare proprio la seconda di queste finalità deve costituire il motivo di maggiore riflessione trasversale: bisogna decidersi una volta per tutte: vogliamo una sanità di “quantità”, probabilmente anche dannosa (anche se appetibile economicamente – ma si tratterebbe anche di autentica frode), o vogliamo valorizzarne una di maggiore “qualità” e virtù?

Dott. Calogero Spada
Dott. Calogero Spada
Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (Bari, 1992), perfezionato in Neuroradiologia (Bari, 2001), Laureato Magistrale (Pavia, 2015), Master II liv. in Direzione e Management (Casamassima – BA, 2017) e di I liv. in Coordinamento (Castellanza – VA, 2011); dal 2017 guest blogger e web writer in sanità.
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