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Paure delle Mamme? Cari fisici, nessun timore, c’è una legge sulla radioprotezione.

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Le norme italiane sulla radioprotezione proteggono le mamme e i loro feti. Niente paura e i fisici facciano il loro lavoro con scienza e coscienza.

Gradirei intervenire nel merito dell’articolo [1] pubblicato dalla Associazione Italiana di Fisica Medica, per il quale, come in altre occasioni occorse in passato per altri organismi, vorrei far notare delle “imprecisioni”, che a dir poco stupiscono, proprio per la provenienza da autorevole fonte; non vorrei, infatti, che si scada in una ricorrenza universalmente impiegata e di fatto già nota alla cultura popolare della terra delle mie origini, la Puglia: «Fattә u nomә e vinnә u mirrә acitә» (“Fatti un nome e vendi anche il vino aceto”: è facile che lo comprino, perché si fidano).

Quindi, pur non disponendo del citato – ma non allegato documento – di «raccomandazioni per le donne in gravidanza», iniziamo subito con la necessaria disambiguazione generale: salvo rarissime ed irrefutabili, comprovate necessità, che in ogni caso debbano essere singolarmente valutate dal medico radiologo che, assumendosene piena responsabilità, soprintenda alla eventuale prestazione sanitaria radiologica, durante lo stato di gravidanza non si devono eseguire esami radiologici; non essendo essi annoverabili tra i «normali esami periodici della gravidanza», laddove quindi non si possa nemmeno ordinariamente, propriamente parlare di «rischi delle radiazioni in gravidanza» , ma del rischio generale dalle radiazioni di tipo medico-sanitario; ciò è peraltro previsto in linea generale da ben 5 differenti passaggi della normativa che inquadra e caratterizza la protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche: il d. lgs. 187/00, modificato dalla Legge 39/2002.

Quindi, premettendo peraltro – errore imperdonabile per dei fisici – che la TAC (tomografia assiale computerizzata) NON è un esame a bassa dose, l’unica rassicurazione che in generale va data alle donne in dolce attesa è che, ordinariamente, non devono essere sottoposte ad esami radiologici – di alcun tipo; laddove possibile sarebbe persino auspicabile non si rechino affatto nei reparti di radiologia, ovvero, laddove inevitabile, comunque non debbano entrare o sostare nelle zone “sorvegliate” (adiacenti le diagnostiche) e  “controllate” (all’interno delle diagnostiche), ove si possono superare le dosi annuali massime, rispettivamente per la popolazione e per i professionisti di area.

Per quanto invece riguardi l’affermazione che «Il rischio correlato alle radiazioni ionizzanti utilizzate in diagnostica è estremamente basso ed i benefici superano di gran lunga i rischi» , sebbene la seconda parte della stessa abbia certamente, ma in via del tutto generale, la sua pleonastica condizione di esistenza (se i benefici non fossero assai più consistenti dei rischi, semplicemente l’utilizzo della metodica non risulterebbe vantaggioso, quindi esperibile) la prima, altrettanto certamente ed in una modalità assai analoga a quella già a suo tempo contestata ad un parimenti importante altro ente pubblico [2], tratta l’argomento in modo tanto semplicistico quanto errato: la vera scienza e la vera giurisprudenza hanno già da tempo caratterizzato (quindi abbandonando ogni proposito “ipotizzante”) il più correttamente definito “rischio radiologico”: a parte un criterio generalizzato di proporzionalità diretta tra dose di radiazioni e rischi (tanto più elevata è la prima, tanto più lo sono i secondi), ove peraltro ulteriore distinzione andrebbe fatta tra danno di tipo somatico (eventuale malattia) e di tipo genetico (danno al dna e conseguente c.d. “malattia ereditaria”, ossia eventuali danni somato-funzionali alle generazioni future), gli effetti negativi sulla salute che l’esposizione alle radiazioni ionizzanti comporti sono definiti come:

  • “STOCASTICI” ossia probabilistici (cioè che potranno, come non potranno, occorrere): quelli collegati ad esposizioni al di sotto di particolari valori, definiti, appunto, quali “soglia” – questo è il caso della quasi totalità degli esami radiologici convenzionali;

e

  • “DETERMINISTICI” ossia NON probabilistici (cioè che accadranno necessariamente): quelli collegati ad esposizioni al di sopra degli stessi particolari valori – questo è il tipico caso delle sedute di radioterapia che comportano alcuni danni – per il più recuperabili (come le radiodermiti o come i c.d. “danni cellulari riparabili”) –  che sono messi nel debito conto, ad es. , nel bilancio della possibilità di debellare una massa neoplastica (tumorale).

In generale andrebbe detto, senza peraltro improvvidamente scomodare diverse estreme fattispecie, quali i bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaky (che niente hanno a che fare con il c.d. “uso pacifico dell’energia nucleare”), che il rischio zero non esista: è per questo motivo che è importante NON esporre il prodotto del concepimento – ad elevata radiosensibilità, soprattutto nelle prime fasi del suo sviluppo  – a qualsiasi agente radiogeno artificiale, quali le radiazioni utilizzate in ambito diagnostico sanitario.

Anche se in passato, per assenza di valide alternative, alcune metodiche erano pure praticate (esame radiologico del feto negli stadi finali del suo sviluppo), oggi con l’avvento di metodi alternativi – primo fra tutti l’ecografia – alla quale si associa certamente anche la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), si può ben ottemperare a quanto previsto dalla su citata norma:

«tenendo conto dell’efficacia, dei vantaggi e dei rischi di tecniche alternative disponibili, che si propongono lo stesso obiettivo, ma che NON comportano un’esposizione, ovvero comportano una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti».

Vale anche la pena di far notare che asserzioni a carattere negativo, quali «le dosi di radiazione utilizzate nella diagnostica per immagini non sono associate a danni misurabili» avrebbero quale corrispondente (pure antipatico a molti) che nulla si può affermare se un fenomeno non lo si è misurato (ossia studiato) o se, proprio per le caratteristiche di difficoltà oggettiva (valutazione del danno cellulare o del dna) ed elevata variabilità di eventi altamente influenzati da fenomeni di statistica eventualità, non si è attualmente in grado di studiarlo.

Come spesso accade anche in campo scientifico (purtroppo), ad una più onesta e leale affermazione di ignoranza si è più propensi optare con un numero di possibili (e spesso improbabili) tesi a volte anche più numerose degli stessi eventuali intervistati: farà certamente chic e sarà di “appeal”, ma è semplicemente disonesto.

Per quanto alle affermazioni:

  • «con poche eccezioni, l’esposizione alle radiazioni di una radiografia, di un’acquisizione TC, o di un esame di medicina nucleare espongono a una dose molto più bassa rispetto a quella che potrebbe indurre un danno fetale»,

e

  • «nessuno studio sull’uomo fornisce prove dirette di un eccesso di malattie ereditarie associato alle radiazioni»”…

Premesso che qualsivoglia caso di malattia ereditaria – anche uno solo –  non sarà mai “eccedente”: bisognerebbe empaticamente mettersi nei panni dell’ammalato; e che le Tac – si ribadisce – siano esami ad alto dosaggio: ad es. una Tac torace equivale a circa 250 radiografie del torace [3], semplicemente, non riscontrano corrispondenze nella citata fonte dottrinaria [4] «Annals of the ICRP – Publication 103»; nella medesima, invece, nel merito degli effetti delle radiazioni nell’embrione e nel feto, si riscontrano differenti passaggi:

  • «Prima di qualsiasi procedura che utilizza radiazioni ionizzanti, è importante determinare se una paziente è incinta. La fattibilità e le prestazioni delle esposizioni mediche durante la gravidanza richiedono una considerazione specifica a causa della sensibilità alle radiazioni dell’embrione / feto in via di sviluppo.»
  • «Le dosi prenatali dalle procedure diagnostiche più correttamente eseguite non presentano un rischio misurabile di morte prenatale o postnatale, danni allo sviluppo inclusa malformazione o compromissione dello sviluppo mentale sull’incidenza di queste entità. Si presume che il rischio di cancro a vita a seguito dell’esposizione in utero sia simile a quello che segue l’irradiazione nella prima infanzia. Dosi più elevate come quelle coinvolte nelle procedure terapeutiche hanno il potenziale di provocare danni allo sviluppo.»
  • «La paziente incinta ha il diritto di conoscere l’entità e il tipo di potenziali effetti da radiazione che potrebbero derivare dall’esposizione in utero. Quasi sempre, se un esame di radiologia diagnostica è indicato dal punto di vista medico, il rischio per la madre di non eseguire la procedura è maggiore del rischio di potenziali danni all’embrione / feto. Tuttavia, alcune procedure e alcuni radiofarmaci utilizzati nella medicina nucleare (ad esempio i radioiodidi) possono comportare un aumento dei rischi per l’embrione / feto
  • «L’interruzione della gravidanza a causa dell’esposizione alle radiazioni è una decisione individuale influenzata da molti fattori. Dosi assorbite inferiori a 100 mGy nell’embrione / feto non devono essere considerate una ragione per interrompere una gravidanza. A dosi embrionali / fetali al di sopra di questo livello, la paziente incinta deve ricevere informazioni sufficienti per poter prendere decisioni informate in base a circostanze individuali, tra cui l’entità della dose embrionale / fetale stimata ed i conseguenti rischi di gravi danni all’embrione in via di sviluppo / feto e rischi di cancro in età avanzata.»

Paragrafi che, ineludibilmente, viste le alterne formule di certezza e di incertezza utilizzate in un testo dalle ambizioni scientifiche: «Si presume» ; «Quasi sempre» ; «sia simile» … etc. , inducono ad invocare, anzitutto un concetto a suo tempo esposto dal famoso scrittore e biochimico sovietico, naturalizzato statunitense – Isaac Asimov

«Se la conoscenza può creare dei problemi, non è con l’ignoranza che possiamo risolverli»

e, passando dalla dottrina alla – gerarchicamente sovra-ordinata – normativa:

sia il comma 2 dell’art. 32 Cost.:

  • «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;

sia il comma 1-ter dell’art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241:

  • «I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge.»

Per quanto al riferimento dei principi di giustificazione ed ottimizzazione – rispettivamente artt. 3 e 4 del citato decreto (peraltro in via di aggiornamento in questi giorni), anche qui, invocando una semplificazione e sintesi divulgativa si finisce però con il fornire una informazione non corretta, ove nessuno dei due principi siano sinonimi di garanzia alcuna, essendo i due criteri atti al raggiungimento (ma non sempre perseguibile, anche a causa di errati convincimenti, appunto) rispettivamente di appropriatezza ed efficacia: andando per ordine il primo sarebbe così esprimibile:

«Strumento normativo atto a perseguire una riduzione del numero di esami radiologici inappropriati, nei  casi in cui la esecuzione degli stessi non risolva, corregga o aggiunga valore al sospetto diagnostico del clinico e/o né sia utile a modificare la gestione clinica del paziente, tenuto conto sia della esposizione a rischio di danno da radiazioni ionizzanti, sia dell’efficacia, dei vantaggi e dei rischi di tecniche alternative disponibili, che si propongano lo stesso obiettivo, ma che non comportino un’esposizione, ovvero comportino una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.»

Per quanto al secondo, espresso dalla stessa invocata norma sulla radioprotezione, come segue:

«Tutte le dosi dovute a esposizioni mediche per scopi radiologici di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione delle procedure radioterapeutiche, devono essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento dell’informazione diagnostica richiesta, tenendo conto di fattori economici e sociali; il principio di ottimizzazione riguarda la scelta delle attrezzature, la produzione adeguata di un’informazione diagnostica appropriata o del risultato terapeutico, la delega degli aspetti pratici, nonché i programmi per la garanzia di qualità, inclusi il controllo della qualità, l’esame e la valutazione delle dosi o delle attività somministrate al paziente.

… Ai fini dell’ottimizzazione dell’esecuzione degli esami radiodiagnostici si deve tenere conto dei livelli

diagnostici di riferimento (LDR) secondo le linee guida indicate nell’allegato II.»

Più in generale, da una pratica quotidiana che non ha mai visto il coinvolgimento di alcun fisico, risulta alquanto evidente che, malgrado ogni cautela preventiva possibile, in caso ad es. di mancata collaborazione del paziente (caso tipico: movimenti incongrui, soprattutto di soggetti particolari come quelli ansiosi; caso meno tipico: malfunzionamenti tecnici, anche da incidente, ad es. improvvisa interruzione dell’energia elettrica) non si sarà in grado di “garantire” la dose minima teoricamente programmabile.

Sempre dalla esperienza sul campo deriva la tracciabile (quindi verificabile) constatazione che nella stragrande maggioranza dei casi incontrati, l’esame prescritto a donna gravida poteva essere ampiamente rimandato dopo l’evento nascita: anche questa eventualità è una decisione che deve essere intrapresa di concerto tra professionisti radiologi e paziente.

Per finire (ma si potrebbe andare ancora avanti) il paternalistico consiglio a tutte le donne in gravidanza di «recarsi serenamente nei propri ospedali per eseguire i controlli radiologici se necessari, anche in questo tempo di emergenza sanitaria», stanti i vari STOP istituzionali alle attività ambulatoriali, in modo da limitare eventuali possibilità di contagio (proprio il 10,8 % delle infezioni si sono verificate in tale ambito [5]), sospensioni ancora vigenti in gran parte delle regioni d’Italia, risulta semplicemente irricevibile.

Vale anche la pena chiarire che nei servizi di radiologia, radioterapia e medicina nucleare, a parte i medici ed i tecnici radiologi, a parte gli infermieri e gli oss/ota, che davvero «continuano a lavorare per garantire l’assistenza sanitaria a tutti», dei fisici non è dato sapere di grandi (ma nemmeno di piccole) frequenze di effettiva presenza atte a fornire favoleggiati servizi assistenziali (della c.d. “stima della dose al feto” che sarebbe preventiva, oggettivamente non se n’è mai avuta documentazione; per quanto riguardi invece le procedure operative, di solito si utilizzano metodi diretti o indiretti di rilevamento, che si avvalgono rispettivamente di rivelatori dosimetrici o di calcoli matematici ex post, sulla base dei valori di dose effettivamente erogati: ma i fisici, a tutt’oggi, non vedono MAI il paziente) procedure che, si ribadisce ancora, non sono da effettuare se non in casi rari, eccezionali e valutati più che accuratamente in primis dai medici e dai tecnici radiologi.

Purtroppo in campo radiologico stanno occorrendo, e sempre più frequentemente, diverse “invasioni di campo” per il tramite di pure capillare pseudo-informazione, che evidentemente sottende ben altri interessi: tipico e ricorrente quello della tomo-sintesi della mammella, ove in realtà in campo preventivo secondario, quindi in assenza di situazioni cliniche, valgano in senologia – come in ogni altro ambito di diagnostica per immagini – tutte le raccomandazioni di radioprotezione E NULLA ALTRO.

Pure le ditte produttrici possono dormire sonni tranquilli: i mammografi di nuova generazione saranno ugualmente venduti: ma del loro utilizzo più appropriato devono occuparsi i tecnici ed i medici radiologi.

Restando in ambito senologico, ma in riferimento ai propositi dei fisici di risposta ad alcune delle domande più ricorrenti, invece che presentare quelle (assunte) delle utenti, piace menzionare la ricorrente replica (autentica) ad un semplice quesito di interrogazione del paziente, proposto – proprio sub c. 2 art. 32 Cost. – alle utenti di un servizio pubblico di senologia:

  • Domanda: «signora, dalla sua documentazione si evince che lei lo scorso anno ha accettato di essere sottoposta a tomo-sintesi della mammella; preferisce anche quest’anno optare per la medesima pratica, oppure vuole eseguire la mammografia standard 2d?»
  • Risposta: «Cos’è la tomo-sintesi? L’anno scorso non me lo hanno spiegato!».

Al di là del rimarcare la imperante stortura dei consensi “firmati” e non “informati”, non è necessario aggiungere ulteriori commenti…

Al di là di tutto ciò, ove le responsabilità di certi trasversali andazzi siano pure addebitabili a TSRM ed a medici radiologi alquanto riottosi (ma le normative spesso vengono ovunque aggirate in modo più o meno abile), quello che però desta particolare sdegno è lo sfruttare anche il corrente fenomeno pandemico a scopi diversi dalla mera difesa della salute pubblica; ciò pare quanto meno poco deontologico ed assai meno morale.

Ritornando all’adagio popolare in incipit, bisogna che i destinatari di ogni servizio sanitario scoprano una “astuzia”, una “contromisura”, che altro non è che l’esercizio di un mero sancito diritto, pure previsto al livello dottrinario – il c.d. «empowerment del paziente», di cui si è occupata anche l’Organizzazione Mondiale per la Sanità [6] – per non farsi più vendere vino aceto al costo del vino.

La forza della vita non si fermerà mai, ma purtroppo anche quella dell’immaginazione, soprattutto quella del suo lato “oscuro”.

[1]https://www.sanitainformazione.it/serveundottore/gravidanza-e-maternita/gravidanza-rischi-radiazioni-covid-19/

[2]https://www.assocarenews.it/primo-piano/pazienti/patologie/cancro-al-seno-occorre-dira-la-verita-e-lavorare-per-prevenirlo

[3]https://www.insalutenews.it/in-salute/una-tac-equivale-a-250-radiografie-oggi-i-pazienti-possono-conoscere-la-quantita-di-radiazioni-somministrate/

[4]https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/ANIB_37_2-4

[5] Fonte: sky TG24

[6]https://apps.who.int/iris/handle/10665/107275

Dott. Calogero Spada
Dott. Calogero Spada
Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (Bari, 1992), perfezionato in Neuroradiologia (Bari, 2001), Laureato Magistrale (Pavia, 2015), Master II liv. in Direzione e Management (Casamassima – BA, 2017) e di I liv. in Coordinamento (Castellanza – VA, 2011); dal 2017 guest blogger e web writer in sanità.
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