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Diventare TSRM: vogliamo una università all’avanguardia o il ritorno al passato remoto?

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È stato pubblicato su un quotidiano francese edito in Italia (Nurse24), il 6 agosto 2019, un articolo dal titolo “Diventare TSRM a Rimini: lezioni interattive ed esami su pazienti reali”. Tecniche desuete fatte passare per fantasmagoriche novità.

Far apparire tecniche drammaticamente desuete come novità fantasmagorica può essere un buon espediente pubblicitario che pur tuttavia non si coniuga con il dovuto controllo del pure dichiarato «allarmante» esubero formativo. Detta pratica «in vivo, in real time», infatti, era quanto già accadeva più di 5 lustri fa nelle scuole professionali regionali (certo la RMN era appena nata e non così capillarmente presente come oggi), ma ciò non toglie che affermare che quanto accada a Rimini sia un fatto rivoluzionario risulti assai fumoso nella sua pretenziosità.

Anzitutto asserire che «l’apprendimento per sterili lezioni frontali» sia una pratica da abbandonare è un qualunquismo che lascia meno tempo di quello che trova: è ormai consolidata, in pressoché ogni dottrina, una complementarietà dei metodi, che pongono in costante confronto l’interattività, l’efficacia e l’incoraggiamento tipici della formazione frontale (o residenziale) con la flessibilità ed il basso costo della formazione FAD (sempre che i contenuti non si riducano ai frequenti abusi di letture di contributi già noti in un evidente generalizzato plagio, che costituisce peraltro un reato perseguibile per legge); il tutto deve essere ovviamente integrato dalla altrettanto ben nota formazione sul campo (FSC), che certamente non è stata inventata né ora e né a Rimini. Le tre metodiche devono trovare infine un loro equilibrio in funzione della tipologia formativa de quo, ove per es. nella area dirigenziale sanitaria la modalità residenziale deve essere in ogni caso superiore al 50% del totale, dedicata alle materie “core” e comprensiva di eventuali “visite aziendali”.

Pertanto, non è certo l’inserimento qua e là di certi neologismi o particolarismi lessicali che può fare la differenza o creare un metodo vantato quale innovativo, anche perché il vero concetto rivoluzionario è superare la ormai abusata formula della «centralità del paziente»(ormai dappertutto intrufolata) con una «centralità della professionalità» che anzitutto fondi le proprie basi sulla definizione e collocazione giuridica del professionista sanitario di qualsiasi classe e professione; tale inquadramento risulta quale condizione identitaria ineludibile ed essenziale senza la quale non si può articolare ogni altro discorso formativo.

Infatti i nodi dello straordinario metodo Riminese non tardano a venire al pettine: anzitutto si asserisce che, quale esame di tirocinio del primo anno, «allo studente viene consegnata la prescrizione medica di pronto soccorso, che arriva direttamente dal medico di pronto soccorso» senza nemmeno citare che dette prestazioni devono essere sottoposte ai processi descritti  normativamente dal d. lgs. 187/00 e collegato decreto ministeriale n. 261 del 09.11.2015; che sancisce che sono compiti obbligatori, riservati al medico radiologo:

  • l’acquisire la cartella clinica, informatizzata o in forma cartacea;
  • la verifica preliminare della trascrizione dei dati anamnestici raccolti dal paziente;
  • l’acquisizione del consenso al ricovero e agli accertamenti ed esami e alle cure da parte dello stesso paziente (o da parte di chi ne fa le veci nei casi previsti),
  • la verifica di completezza della richiesta, comprese tutte le informazioni necessarie, tra cui una chiara formulazione del quesito clinico in funzione del quale l’esame viene richiesto, indispensabile per poter applicare correttamente i PRINCIPI DI GIUSTIFICAZIONE E OTTIMIZZAZIONE e fornire la prestazione di diagnostica per Immagini più appropriata al singolo caso.

In breve, quando si parla di «autonomia professionale», non si può non intendere che in campo radiologico si tocchi un tasto assai particolare e delicato, sul quale non bisogna porre alcun elemento di ambiguità; perché una cosa è l’autonomia pratica – che sembra sia quella in interesse del contributo – ma ben altra risulta essere l’autonomia professionale “totut court”, che per i tecnici di radiologia costituisce un argomento assai “spinoso”, viste le cospicue conseguenze normative discendenti dall’inscansabile e già citato d. lgs. 187/00 e collegato decreto ministeriale 261/2015.

In secondo luogo, proprio tali metodologie «in vivo, in real time» si presentano, oltre che lesive del diritto dei pazienti, sancito dalla Costituzione, di ricevere prestazioni sanitarie da personale competente, che risulti effettivamente esercente l’attività professionale sanitaria in forza di uno o più titoli abilitanti rilasciati/riconosciuti dalla Repubblica Italiana (e non da chi si atteggi «come se fosse veramente già un laureato»), quali pratiche del tutto anacronistiche in un’epoca ove è già forte lo sviluppo, proprio in area medica, delle tecniche di simulazione e di realtà virtuale/aumentata (LINK).

Quanto al citato metodo PBL, pare sia un processo di “problem solving collaborativo”, da realizzare in gruppo e non singolarmente, anche se poi effettivamente le risultanti formative di tale processo siano applicabili, successivamente, dal singolo.

Per quanto alla super-soddisfazione dei discenti, sarebbe bene non infondere facili e illusori entusiasmi: vedersi «capaci di fare da soli un esame radiografico» (o meglio, “di area radiologica”) dovrebbe semplicemente costituire uno dei normali numerosi momenti del percorso formativo (ossia uno dei frequenti piccoli passi verso la creazione di un professionista), non il coronamento di una illusione di facili professionismi.

In sintesi questo metodo spacciato per innovativo rischia di essere una semplice deriva di formazione sul campo (molto simile alla formazione di un tempo, che si dovrebbe effettivamente superare), che peraltro sembra aver  poco e niente a che fare con una complessa preparazione di ambito universitario.

Infine non sarebbe di secondaria importanza essere attenti oltre che ai contenuti, visto che ci si presenta quali organizzatori «di tutta la didattica del corso» universitario, anche ad una forma (in vero almeno un po’ carente) con la quale gli stessi vengono comunicati.

Parafrasando Totò: siamo universitari… o caporali?

Dott. Calogero Spada
Dott. Calogero Spada
Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (Bari, 1992), perfezionato in Neuroradiologia (Bari, 2001), Laureato Magistrale (Pavia, 2015), Master II liv. in Direzione e Management (Casamassima – BA, 2017) e di I liv. in Coordinamento (Castellanza – VA, 2011); dal 2017 guest blogger e web writer in sanità.
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