Oggi nella rubrica “SPORT E’/E INCLUSIONE” curata dal nostro Felice LA RICCIA si parla di Tommaso, un bambino di 6 anni che fino all’età di 18 mesi non presentava alcun problema che potesse far preoccupare i suoi genitori.
Momento dal quale sono iniziati i primi sintomi di “regressione”, Tommaso, infatti, invece di crescere “psico-comportalmente”, regrediva: sillabava a fatica, rifiutava il cibo solido, saltellava nervosamente e le stereotipie erano sempre più evidenti.
I genitori così decidevano di rivolgersi alla pediatra di libera scelta che a sua volta li indirizzava da una neuropsichiatra infantile che dopo vari accertamenti strumentali (esame audiometrico, RM, elettroencefalogramma) i cui esiti risultavano tutti negativi, diagnosticava che i problemi di Tommaso non erano di natura neurologica ma cognitivo-comportamentale giungendo alla conclusione, intorno al terzo anno di vita, che il bambino era affetto dal disturbo dello spettro autistico.
Da qui l’inizio di un vero e proprio calvario, con ripetuti incontri (a volte negati) con medici, psicologi, terapisti, tour dei vari ospedali della provincia e centri di riabilitazione, al termine del quale Tommaso veniva assegnato ad un centro specializzato in logopedia, psicomotricità e pratica del metodo ABA.
Tommaso migliorava giorno dopo giorno, ma il “vero salto di qualità” lo faceva alla “scoperta dell’acqua”, cominciando ad immergersi in piscina dove grazie al metodo TMA sembrava rinascere.
La TMA, Terapia Multisistemica in Acqua, Metodo “Caputo Ippolito” infatti è una terapia che utilizza l’acqua come attivatore emozionale, sensoriale, motorio, capace di spingere il soggetto con disturbi della comunicazione, relazione, autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo ad una relazione significativa.
Il contatto con l’acqua stimolava in lui la voglia di esprimersi verbalmente ed emotivamente più del solito, cosa che prima non avveniva, oltre ad un maggiore appetito e ad uno stato d’animo più tranquillo e meno agitato, con contestuale aumento dei tempi di attenzione e dei contatti corporei.
Oltre a questi evidenti benefici, come il riconoscimento del sentimento della paura, ma anche della felicità, Tommaso ha imparato a nuotare e rispettare la turnazione imposta dal suo istruttore, oltre che all’aumento della condivisione del gioco, responsabile della diminuzione delle stereotipie.
In definitiva, questo approccio allo sport, seppur praticato in un “ambiente” prettamente ludico, permette di “usare” l’acqua come attivatore emozionale, sensoriale, motorio, capace di spingere il soggetto con disturbi della comunicazione e autismo a una relazione significativa, permette di entrare in contatto con bambini che presentano difficoltà sociali e poca motivazione e ad apprendere e modificare quindi i loro schemi comportamentali disfunzionali.
“Morale della favola”: ora Tommy non vuole più uscire dall’acqua… ?