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Per il prof. Galli (“Sacco”) con le varianti ci saranno più ospedalizzazioni tra i giovani.

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“Avevo questi timori, ora ci sono due studi a confermarlo. Sarei stato un incosciente se avessi detto che c’è un’aumentata letalità e ospedalizzazione con la variante inglese, senza evidenze scientifiche”.

Oggi queste evidenze ci sono e possiamo dirlo grazie ai due studi: quello dell’Eurosurveillance, la rivista scientifica del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, a cui hanno partecipato anche gli studiosi italiani dell’Istituto superiore di sanità, ma anche lo studio di Robert Challen dell’Università di Exter, pubblicato su British Medical Journal. Entrambe ci dicono che le tre varianti, in particolare la B.1.1.7, ovvero la ‘variante del Kent’, producono maggiori ricoveri nelle fasce di età più giovani della popolazione”.

Lo riferisce all’agenzia Dire Massimo Galli, direttore di malattie infettive dell’Ospedale Sacco: “Dalla match analysis si evince che c’è un rischio maggiore di 2.3, 3.3 e 2.2 rispettivamente per le varianti inglese, sudafricana e brasiliana. In sostanza è dalle 2 alle 3volte più facile finire in ospedale con queste mutazioni del virus SarS-CoV-2 rispetto alle persone non colpite da queste varianti, ma sappiamo ormai che la variante del Kent è altamente prevalente in Europa e i due studi, con le loro analisi di coorti differenti, evidenziano che a finire in ospedale sono proprio le due classi di età 40-59 anni e 20-39 anni – spiega Galli, che aggiunge: anche la sudafricana produce maggiori ricoveri in area medica.

È 3,5 volte più alto il rischio per i gruppi 40-59 e 60-79 tra i coetanei non VOC (ovvero non colpiti da variante considerate preoccupanti, dette appunto VOC); e anche per I ricoveri in terapia intensiva è significativamente maggiore tra i 40-59 anni. Così come con la sudafricana è tra 3 e 13% maggiore la possibilità di finire ricoverati per i gruppi di età 20-39, 40-59, 60-79″.

Dati, questi, che oggi sono disponibili ma che in assenza dei quali diversi studiosi ed esponenti politici si sono esposti affermando che non c’erano ulteriori rischi né pericolosità dalle tre nuove varianti, se non per un’elevata contagiosità, dimostrata incontrovertibilmente dall’incidenza dei casi e in parte dall’RT. “Questo è il motivo per cui vado dicendo da diversi mesi che bisogna stare molto attenti, non perché’ voglio fare la Cassandra – tuona il professor Galli, che però ammette di aver evitato di gettare un allarme più circostanziato fin quando i dati non sono stati così chiari. “Dallo studio di Challen, che ha messo a confronto due coorti, 50mila persone con la variante inglese ed altrettante non colpite dalla mutazione B.1.1.7: emerge un aumentato rischio di mortalità di 1.64, che rimane tale confrontando anche per carica virale.

Questo ci induce a credere che se non siamo davvero molto attenti possiamo aspettarci nelle fasce di non vaccinati un problema molto serio – avvisa il virologo. “Voglio rimanere ottimista giustificabile solo con la speranza che le vaccinazioni tolgano fiato al virus nel breve termine. Per il momento però il virus è ancora in grado di togliere il fiato a noi”. Un affresco che lascia spazio a pochi dubbi e necessita di molta speranza, tanto che Galli aggiunge: “Non ho ritenuto corretto tirar fuori questi timori ma adesso dobbiamo dirlo: gli infetti con alcune variabili hanno un decorso peggiore e anche un tasso maggiore di letalità”, afferma Galli.

Rispetto a come comportarsi alla luce di questi nuovi dati, il primario dell’Ospedale Sacco lo dice senza giri di parole, intervenendo anche sul caso delle migliaia di tifosi accorsi in Piazza Duomo a Milano per festeggiare lo scudetto all’Inter: “Questo vuol dire che non dobbiamo andare in piazza con i bandieroni, come prima cosa, e lo dico da interista di terza generazione. L’incoscienza non ha colori – sferza – e poi bisognava fare un appello alle persone, ricordando che non sarebbe stato tollerato una grande manifestazione, non è questo il momento”, sferza Galli.

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