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Coronavirus. Infermiera spedita in Rianimazione COVID-19. Ha paura: “non so da dove cominciare e mancano DPI”.

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Emergenza Coronavirus. Giovane Infermiera viene mandata in Terapia Intensiva per occuparsi di Pazienti con COVID-19. Ha paura, teme di contagiarsi, prima di lei altri colleghi si sono infettati. Mancano Dispositivi di Protezione Individuale adeguati: “non ho esperienza, aiutatemi, mi sento violentata nella dignità professionale”.

La chiameremo Sara, è una giovane Infermiera ed ha voluto comunicarci tramite una missiva tutto il suo disappunto per la disorganizzazione dell’Azienda sanitaria in cui lavora. Da un giorno all’altro è stata cambiata di reparto e spedita in Terapia Intensiva COVID-19. Lei ha paura, ha frequentato un mini-corso di preparazione di poche ore e da qualche giorno è in servizio in Rianimazione, dove non ha mai lavorato e dove si sono ammalati tanti colleghi di Coronavirus. Ecco la sua lettera.

Carissimo Direttore,

la seguo da tempo e mi fido di lei rispetto al mio anonimato, così come garantito ad altri colleghi su questa testata. Sono una giovane Infermiera e lavoro in AUSL Romagna da qualche tempo. Sono stata “convogliata” senza chiederlo in una Terapia Intensiva con Pazienti affetti da Coronavirus. Quando mi hanno chiamata al telefono non chiedevo alle mie orecchie. Perché io? Perché una delle ultime arrivate? Perché non chiamare colleghi con esperienza nel settore?

Ci ho messo un po’ per realizza, anche perché mi hanno espressamente detto che data l’emergenza non potevo proprio rifiutarmi. Ho iniziato a lavorare in Rianimazione dopo qualche giorno e dopo un corso di formazione durato poche ore sul rischio infettivo e sulla gestione di Pazienti con COVID-19. Ci hanno spiegato le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in materia.

Non so come gestire un paziente in Rianimazione, l’ho studiato sui libri all’Università, ma la mia esperienza lavorativa era ed è di altro tipo.

Io ho obbedito, ma ho paura, ho paura di contagiarmi e di contagiare sia i miei colleghi, sia altri pazienti e i miei cari. Quando torno a casa lo faccio con il terrore addosso.

Ci hanno fornito di Dispositivi di Protezione Individuale, ma li possiamo usare solo in maniera centellinata. Ci hanno dato una tuta protettiva, ci hanno dato mascherine monouso di tipo chirurgico, che non sono adatte alla Terapia Intensiva COVID-19, ci hanno detto di usare quelle FFP3 solo durante l’aspirazione tracheale e di restare a distanza di almeno 1 metro dai Pazienti.

Come facciamo in una rianimazione a restare ad almeno un metro di distanza dall’Assistito? Ci sono continue emergenza cardiache o respiratorie, gli ospiti sono spesso agitati, i Medici continuano a non concentrare in momenti specifici la terapia, dobbiamo continuamente eseguire prelievi di controllo di ogni tipo, igienizzarli, gestirli per altre esigenze assistenziali. In pratica non riusciamo mai a stare ad oltre un metro, siamo sempre vicini al Paziente.

Ho paura che questa situazione non migliorerà, infatti tutti i giorni arrivano nuovi casi, colleghi si ammalano e Pazienti muoiono.

In più dobbiamo rimanere nelle tute per 6-7 ore di fila, senza andare mai in bagno, senza mai bere, senza mangiare, senza cambiare un assorbente.

L’Azienda non ci tratta male, ci sostiene su tutto, abbiamo un Coordinamento Infermieristico che funziona benissimo, ma si percepisce che si sta improvvisando, l’AUSL Romagna si è fatta cogliere impreparata.

Scusatemi ma sto piangendo, lo stress e tanto e tale che non tengo le lacrime. E i segni sul viso sono tanti, in pochi giorni sembro invecchiata di 15 anni.

Grazie e scusatemi per lo sfogo. Torno all’inferno.

Sara, Infermiera al fronte del COVID-19

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