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giovedì, Marzo 28, 2024
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Coronavirus. Elisa, da Infermiera a Paziente Covid-19: “ecco come è cambiata la mia vita”.

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Emergenza Coronavirus. Elisa, Infermiera: “assistivo Pazienti Covid-19, ora sono io la Paziente, ecco come è cambiata la mia vita”.

«Ebbene sì, da qualche giorno ho cambiato punto di vista. Sono dall’altra parte della trincea, della prima linea. Ho abbandonato tuta e visiera per pigiama e occhialini per l’ossigeno. Ebbene sì, sono anche io nelle statistiche della protezione civile delle 18 tra i positivi per Covid-19 ancora non guariti. Diagnosi “polmonite COVID19”. Inizia così la lunga e toccante testimonianza di Sara Calzuola, infermiera perugina che lavora nell’ospedale S.Maria di Reggio Emilia, in questo momento ricoverata nello stesso reparto dove fino a qualche giorno fa prestava servizio, in prima linea contro il Coronavirus.

Fa strano «Fa strano, molto strano – racconta su Facebook – perché difficilmente mi ammalo (neanche il raffreddore), fa strano perché se sento ora un campanello suonare vorrei alzarmi ed andare a rispondere ma non posso farlo. Fa strano farsi fare dai tuoi colleghi, con cui hai lavoro fino a una settimana fa, l’emoganalisi arteriosa (vi dico che non è poi così divertente). Fa strano perché hai 31anni, nessuna patologia cronica ed ora ti ritrovi a prendere più farmaci di tua nonna che ha quasi 90anni. Fa strano perché a volte senza ossigeno non respiro poi così tanto bene. Ecco fa strano trovarsi per un gioco del destino un po’ beffardo dall’altra parte del corridoio».

Febbre, tosse e perdi l’olfatto «È tutto imprevedibile, veloce – dice Sara -. Vai al lavoro, ti disinfetti tutta, ti vesti e ti svesti con attenzione ma forse non lo sei stata al 101% ed alcuni giorni dopo inizi ad accusare i primi sintomi lievi. Arriva la febbre e la tosse, dolori diffusi e poi scompaiono odori e sapori, perdi l’appetito e ti affatichi con poco. I tuoi colleghi ti tengono sotto controllo da casa e ti vietano i minimi sforzi e tu dici “cavolo già sono in isolamento domiciliare neanche libertà di fare quello che voglio” ma non c’è problema perché ora per come sono messa non riuscirei a fare quello che voglio. Loro sono preoccupati perché a casa sei sola e non saprebbero come aiutarti se ne avessi bisogno. Allora non ti rimane che dare ascolto ai loro consigli. Li fai contenti e soprattutto tranquilli. Loro ora sono la tua famiglia più vicina. Quella di sangue ti segue dalle video chiamate a 300 km di distanza con un po’ di apprensione (un po’ = molta apprensione …io non sono madre e quindi non posso capire, così mi hanno detto)».

L’arrivo in ospedale «Seppur tu sia diligente, ascolti e non ti sforzi – prosegue l’infermiera perugina -, arriva il giorno che respiri peggio e tu lo sai cosa vuol dire. Conosci quei valori che compaiono sul saturimetro. Li hai studiati e li hai visti sui monitor dei tuoi pazienti in questi giorni. Inizi a pensare che forse da sola non riesci più e come tutti i giorni invii il bollettino medico alla tua amica dottoressa che ti segue come una sorella maggiore e ti dice che c’è poca scelta, il tempo di lasciare i bimbi con qualcuno e verrà a prenderti per accompagnarti in pronto soccorso. Avevamo fatto un patto in settimana, se i valori sarebbero scesi rispetto alla norma non potevo dire nulla ma avrei accettato tutto e così è stato. Arrivo in pronto soccorso, al triage riconosco l’infermiere, ci guardiamo, lui ha già capito, controlla subito gli atti respiratori che faccio in 1minuto…non sono pochi, misura la febbre ma per fortuna quella è scesa. Mi dice “ora ti prendo una carrozzina e ti accompagno io dentro” ed io “no no nessuna carrozzina, fatemi almeno camminare sono un’infermiera, riesco a camminare vi prego”. “Non adesso, ora non sei un’infermiera o meglio sei un’infermiera paziente”. Tranquilli “paziente” sta come sostantivo non come aggettivo… SBAM!!! Ecco la verità! Ecco gli eroi che fine fanno! Mi ritrovo in una stanza isolata da tutti gli altri presenti in PS non perché ho ricevuto un trattamento di favore ma solo perché io ero già positiva cconclamata e gli altri erano solo sospetti. Sono queste le procedure. Inizia così la mia solitudine targata Covid-19».

La solitudine in reparto La visita, poi Tac e la diagnosi: “Polmonite ti ricoveriamo”. «Medicina Cardiovascolare letto 24. Mi accolgono le mie colleghe, mi mancavano troppo e quindi mi sono trovata una buona scusa per venirle a trovare. Ora con l’ossigeno va meglio. L’emogasanalisi questo dice ed io mi fido di lui…soprattutto dopo il dolore per farlo ci mancherebbe se non mi fidassi. Certo i passi che faccio sono pochi, solo all’interno della stanza, meglio se con l’ossigeno, proseguo la terapia con le mie compresse colorate e il sorriso delle mie colleghe e delle mie dottoresse. Oggi se non ci fosse stata questa pandemia avrei forse lavorato, sarei stata di turno come lo sono stata per Natale e la notte del 31 dicembre. Noi non conosciamo giorno o notte, domeniche o giorni feriali. A volte può essere un peso, ma l’ho scelto io. È stata la mia scelta di vita e per ottenere ciò che ho oggi ho fatto sacrifici. Ho studiato, mi sono impegnata, ho lasciato la mia famiglia, la mia città e mi sono trasferita a 300 km di distanza, ho girato l’Italia per il posto fisso. Ho festeggiato quando ho messo la firma della vita un anno fa».

Non siamo eroi «Non siamo eroi, e non eravamo fannulloni prima – sottolinea Sara -. Siamo persone, uomini e donne, professionisti che rischiamo 365 giorni l’anno. Rischiamo di ammalarci sempre, di essere aggrediti sempre. Non solo oggi. Ma continuiamo per la nostra strada. Arriveremo alla fine perché tutto andrà bene. Noi ne usciremo provati e a pezzi. I segni sul volto delle mascherine o le lesioni sul naso guariranno ma la nostra mente, i nostri occhi e il nostro cuore non cancelleranno mai cosa hanno visto e provato».

L’appello Sara scrive la sera di Pasqua. «È risurrezione. È rinascita. Ci faremo trovare pronti anche noi alla fine di tutto ciò. Però vi chiedo solo di continuare a portare pazienza anche se non siete pazienti come me, di continuare a fare qualche sacrificio (alcuni di noi fanno sacrifici non paragonabili sappiatelo). Il #iorestoacasa non è una punizione ma è ciò che vi salva, ora. Non pensate che se i dati migliorano siamo salvi, non corriamo il rischio di buttare nel cesso tutto quello fatto fino ad ora solo per festeggiare Pasquetta al mare o con gli amici di una vita. Arriverà anche quel momento se saremo capaci ora di rispettare le regole. Tutti! I pochi che le rispettano non possono avere il peso di salvare tutti! Ognuno faccia la sua parte. I miei colleghi e i miei dottori lo stanno facendo. Io spero di tornarla a fare il prima possibile. Da un letto di ospedale è ancora più difficile stare con le mani in mano. Sarà bello festeggiare tutti insieme alla fine. La fine ci sarà! Deve esserci!».

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