Muore al pronto soccorso dopo 9 ore di attesa: in mano il cellulare per chiamare la nipote. Sanno di amore e dolore le parole con cui Luciana Ferrone squaderna con delicatezza impietosa una storia che tutti sanno già. Ma che nessuno vuole raccontarsi.
È la storia di come un uomo malato, educato, dignitoso possa restare a morire, da solo, su una barella di pronto soccorso.
Nove ore in attesa di una cura. Luciana Ferrone, imprenditrice, presidente della commissione imprenditoria femminile della Camera di commercio Chieti-Pescara, vicepresidente nazionale Cna Fita, trasforma ogni passo non fatto in un lungo post su Facebook, chiarendo «Nessuna accusa a nessuno».
E sottintendendo quello che poi dice a voce
«Un esame di coscienza, oggi, dobbiamo pur farlo: il rispetto per la vita non esiste più, abbiamo perso il senso civico d’appartenenza e l’umanità. Sono indignata. E mi dispiace, mio zio si fidava di me e io non sono riuscita ad aiutarlo».
Lo zio è Bruno D’Attanasio, uno storico imprenditore pescarese, un self made man d’altri tempi e con altri valori.
Ferrone racconta che l’ambulanza lo porta in ospedale alle 5,45 con febbre alta ed episodi di vomito. Codice giallo. «Lo raggiungo in pronto soccorso alle ore 8 del mattino, riesco ad entrare, – scrive l’imprenditrice nel suo post – lo trovo sudato, non sembra avere la febbre, ha sete, gli do dell’acqua, mi dice aiutami, nessuno mi guarda, mi sento male.
Provo a chiedere ad un infermiere
mi dicono fra 4 persone tocca a lui. Protesto debolmente: signora è un cardiopatico, fate presto.
Lui resta in silenzio, attento, mi dice di nuovo cerca di fare qualcosa, sento che sta arrivando la fine. Dopo un po’ mi fanno uscire: non può restare signora. Protesto: è debole, gli sto accanto non do disturbo».
Alle 11,15 lei esce e prova a dare dall’esterno un aiuto allo zio. Lui, racconta ancora Ferrone, «mi telefona la prima volta alle 11,47, ancora con il suo grido di aiuto sommesso e pacato sei sicura che mi visitano? Io sto sempre molto male e qui non viene nessuno.
Cerco di dirgli che andrà tutto bene e che presto si prenderanno cura di lui. Dopo di questa tante chiamate al mio telefono, alle 14,02 l’ultima invocazione di aiuto: non mi hanno ancora visitato, sono passate tante mezz’ora e qui da me non è venuto nessuno.
Poi il silenzio
sono terminate le sue telefonate, mi reco verso il pronto soccorso e mentre ero per strada mi avvisano che è morto».
Bruno è morto con il telefono in mano tentando di fare la decima telefonata a sua nipote.
«Capisco che aveva 90 anni – aggiunge Ferrone – ma almeno avrebbe meritato di non morire solo».
Sulla vicenda, diventata virale, sono intervenuti i consiglieri regionali del Pd Silvio Paolucci e Antonio Blasioli, che hanno già chiesto che la conferenza dei capigruppo si riunisca sul tema in via urgente:
«L’assessore Verì venga a riferire cos’è successo e come intende risolvere i gravi problemi che toccano i reparti di emergenza di Pescara, di Chieti e degli altri presidi abruzzesi finiti in cronaca per le denunce dei pazienti».
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