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Insetti volanti in ospedale: cosa succede quando finiscono in ambienti sigillati?

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In Inghilterra si studia il fenomeno e si corre ai ripari. I loro esoscheletri contengono batteri molto pericolosi per l’uomo.

Non è molto frequente imbattersi in un insetto volante negli ambienti sigillati (o presunti tali) degli ospedali, ma la loro sporadica presenza in quei corridoi è sufficiente a farne potenziali vettori di patogeni: uno studio condotto negli ospedali inglesi ha trovato tracce di batteri potenzialmente pericolosi per l’uomo in 9 insetti su 10 tra quelli raccolti in corsia con l’aiuto di piccole trappole appiccicose, elettroniche o agli ultravioletti.

Nell’arco di un anno e mezzo, i ricercatori della Aston Universityhanno raccolto circa 20.000 creature, principalmente mosche (il 76%) ma anche falene, afidi, cicaline, formiche volanti ed api, entrati dalle finestre in 7 ospedali del National Health Service (NHS) inglese.

Gli insetti sono stati catturati in vari reparti, inclusi un’unità neonatale ed un’area per la preparazione dei pasti.

Oltre la metà degli animali ospitava ceppi di batteri resistenti ad almeno una classe di antibiotici, mentre quasi il 20% presentava superbatteri resistenti a diverse categorie di antibiotici.

Tra gli 86 ceppi batterici isolati negli esoscheletri degli insetti, il 41% apparteneva alla famiglia degli Enterobacteriaceae (E.coli Salmonella); il 24% alla stessa famiglia del B. cereus, un batterio che causa intossicazioni alimentari, e il 19% a quella degli Staffilococchi, responsabili di infezioni della pelle, ascessi ed infezioni respiratorie.

Secondo i ricercatori, il dato più interessante è la prevalenza di batteri antibiotico-resistenti nella maggior parte degli insetti analizzati: un monito vivente degli effetti dell’utilizzo sconsiderato di antibiotici – anche negli ospedali.

A preoccupare non sono tanto gli insetti, ma le caratteristiche dei patogeni che da essi “prendono un passaggio”.

Il rischio che le infezioni difficili da curare si trasmettano all’uomo attraverso le mosche ospedaliere è infatti minimo e dipende dalla quantità di materiale batterico ospitato e dalle superfici su cui l’insetto si posa.

In ogni caso, lo studio sottolinea la necessità di misure che tutelino i pazienti dagli incontri ravvicinati con questi vettori, che potrebbero compiere anche il percorso inverso, e veicolare i patogeni dall’ambiente ospedaliero (dove come è noto, prosperano), verso l’esterno.

I principali veicoli di infezione negli ospedali non sono comunque le mosche, ma le mani: secondo uno studio di recente pubblicazione il 14% dei pazienti ospedalieri aveva batteri antibiotico-resistenti sulle mani o nelle narici all’inizio del ricovero, e in quasi un terzo dei casi questi stessi batteri venivano diffusi alle superfici toccate.

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