Omosessualità come disturbo psichiatrico: storia di come si psichiatrizzava chiunque fosse omosessuale.
Un disturbo socio-patico della persona. Così nel 1952 il DSM-I definiva l’orientamento omosessuale, autorizzando di fatto il trattamento psichiatrico basato sulla diagnosi di omosessualità. Questa “possibilità” permetteva di fatto il ricovero forzato in manicomio e la somministrazione di farmaci ed elettroshock.
Nel 1968, grazie al DSM-II invece l’omosessualità era considerata una devianza sessuale al pari della necrofilia, della pedofilia e della zoofilia.
Si è dovuto attendere il 1973 quando l’American Psychiatric Association (APA) si dissociò dal DSM in vigore dichiarandola come un orientamento sessuale e, quindi, un elemento non patologico della psiche personale.
Il mondo stava lentamente intraprendendo un percorso di apertura e di rinuncia alla omologazione delle persone e all’emarginazione delle persone non omologate. Percorso tutt’oggi certamente in atto.
Già nel DSM-III vi fu un passo verso la derubricazione completa: venne classificata l’omosessualità in ego-sintonica, e ego-distonica, considerando la serenità e l’accettazione del proprio orientamento sessuale. Di queste due categoria, soltanto la ego-distonica era presente.
Per osservarne invece l’eliminazione occorre attendere il DSM-IV del 1990. Alla luce del quale, soltanto nel 1993 anche l‘Organizzazione Mondiale della Salute ha deciso di accettare l’omosessualità come un’assoluta NON malattia psichiatrica.
Facendo vincere la ragione.