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Sanremo2018, Quello che gli infermieri non dicono

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Essere infermieri è una sfida quotidiana che non tutti riescono a vedere

Forse mancherà un pó il profumo di fiori di una Sanremo ’87 vestita a festa per uno dei tanti festival indimenticabili, quando bastavano ancora le istituzioni musicali italiane ad unirci.
Forse è questo che ci manca, ma non soltanto. Perché mentre l’Italia si prepara a questa edizione del Festival di Sanremo, quello che ci manca e che a volte dovremmo scrivere è spesso quello che gli infermieri non dicono.

Ordine degli infermieri.

Nome forse ancora troppo forte per sentirselo proprio, mentre sopportiamo tutte le responsabilità che abbiamo saputo meritare e che in parte altri non vogliono o non reputano prestigiose. Lo abbiamo aspettato per undici anni, quando per legge ci spettava dal 2006. Adesso è una realtà che dovremo onorare giorno dopo giorno. 

Ed è un impegno che a molti spaventa ma non ci si puó credere che non ci sentiamo all’altezza di vivere finalmente da protagonisti quello che siamo. Di occupare quei posti davanti a classi universitarie, per formare infermieri di domani con le conoscenze infermieristiche e non con troppo limitate nozioni di clinica. Di occupare quei posti ai tavoli che ci competono. Testamento biologico, piani organizzativi, percorsi assistenziali. Nessuna orchestra sostituirebbe le parti dei violini affidandole alle trombe. La nostra parte deve essere, appunto, nostra. Perfettamente concertata ma nostra.

Atlantide reggeva il cielo, noi reggiamo reparti, ambulatori, territori. Spesso troppo impegnati a farlo per reclamare quanto nostro. E mentre subiamo moti d’orgoglio anacronistici e impegniamo tempo a litigare neppure noi siamo al riparo da quella categoria di chi si cambia nome, che si fa chiamare infermiere ma infermiere non è. Molto meno frequentemente di altre professioni ma qualsiasi numero di casi uguale o superiore a 1 va oltre il limite sopportabile. L’abusivismo uccide la professione svalorizzandola. Ma del resto qual’è il nostro valore? Abbiamo una certezza di compenso forse che ci attesti?
Il moderno mercato di beni e servizi é patologicamente offuscato dal concetto per il quale il valore economico rappresenta la qualità dell’offerta. I nostri anziani usavano definire un bene in base alla qualità, noi sbaviamo dietro al cartellino del prezzo, frastornati dalla febbricitante massa di acquirenti che ci convoglia. Ma noi infermieri siamo rimasti alla qualità di cosa offriamo. E ne siamo cosí assorti da spesso tralasciare la questione economica, relegandola alla mera dimensione stipendiaria, a fronte delle nostre spese e ambizioni economiche. Purtroppo peró, in questo gioco che non abbiamo impostato noi, è fondamentale stabilire il nostro prezzo per poter attestare la qualità del nostro servizio.
Ma del resto esiste ancora chi afferma che le prestazioni sono da quantificare in minutaggio netto quindi abbiamo poco da stupirci.

Mobbing, demansionamenti, personale sotto numero ogni giorno in diretta dai nostri servizi sanitari. Presidi inadeguati, turni massacranti, abusi se ci sintonizziamo su alcuni servizi privati.

Ed è difficile spiegare certe giornate amare, che tornati a casa viviamo il dramma di un carico emotivo a volte troppo pesante per rendere quello che spetterebbe a chi è così forte nell’affrontare la debolezza servita in mille pasti solitari a casa, con la TV accesa a distrarre la mancanza di una presenza impegnata nei panni di una casacca.

Quello che gli infermieri non dicono é anche tantissimo altro, troppo affannati a compiere ogni giorno la nostra missione singola e collettiva.
Troppo impegnati a litigare piuttosto che a partecipare. Le società scientifiche a un passo, ma invece che saltarci dentro c’è chi preferisce perdersi in litigi più o meno validi. L’unione fa la forza, la condivisione di intenti è l’unica via di crescita costante.

Quello che gli infermieri non dicono è che ogni giorno impegnano un pezzo di sé nel prendersi cura, senza chiedere molto.
Senza pretendere molto.
Senza spesso ottenere niente.
Ma senza potersi permettere di smettere di crederci.

 

Dott. Marco Tapinassi
Dott. Marco Tapinassi
Vice-Direttore e Giornalista iscritto all'albo. Collaboro con diverse testate e quotidiani online ed ho all'attivo oltre 5000 articoli pubblicati. Studio la lingua albanese, sono un divoratore di serie tv e amo il cinema. Non perdo nemmeno un tè con il mio bianconiglio.
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