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LGBT: quando l’identità sessuale è un problema sul lavoro!

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LGBT: non essere etero è un problema!

Oltre i “perbenismi” appare purtroppo evidente come per migliaia di professionisti sanitari e medici la propria identità sessuale rappresenti un problema rispetto alla cultura retrograda e pregiudizievole in cui spesso svolgono la propria professione.

AssoCareNews.it ha raggiunto e intervistato in esclusiva il dott. Manlio Converti, psichiatra e grande attivista LGBT che assieme ad altri colleghi ha fondato l’Associazione AMIGAY per combattere proprio questo fenomeno.

Forse condizionati dalla troppo lenta crescita culturale del popolo italiano, risulta molto difficile per medici e professionisti sanitari dichiarare liberamente il proprio orientamento sessuale. Qual’è lo status quo in merito?

Non possediamo dati nel merito, anche perché non abbiamo a disposizione strumenti statistici adeguati in Italia per una simile valutazione. Possiamo dedurre dalle attese in statistica, ce il 3-10% del personale sanitario sia LGBT. Il 3% è il valore delle persone che si dichiarano omosessuali nei Paesi occidentali, mentre il 10% sono le stime delle persone LGBT totali, la maggioranza delle quali, appunto, non fa Coming Out. Facendo due conti, su 400mila infermieri e 250mila medici, dovremmo disporre di circa 20mila professionisti LGBT, che abbiano fatto Coming Out, esattamente quanti sono gli iscritti in USA della GLMA, l’associazione americana a cui ci ispiriamo. Ovviamente tra il dire e il fare. La GLMA esiste dal 1990 circa, noi da meno di un anno, dopo circa dieci anni falliti a cercare di aggregare colleghi e colleghe LGBT. Così però entriamo nel campo dell’esperienza personale. Tra esperienze dirette, telefoniche oppure in rete, posso dire che la maggioranza dei colleghi LGBT è semplicemente terrorizzato/a all’idea di fare Coming Out, soprattutto per le ripercussioni sulla cosiddetta Dignità Professionale, sulla quale gli Ordini Professionali non si sono mai espressi. Il rischio non è solo quello di perdere il lavoro, ma di essere alienati dalla professione, mentre i colleghi e le colleghe anche ferocemente omofobe non sono mai state sanzionate in alcun modo finora in Italia. I pochi colleghi LGBT che lavorano nel campo, hanno fatto carriera come Psicologi, oppure si contano sulle dita di una mano sola. Tutti i colleghi e colleghe che avevano comunque fatto Coming Out o che avevano subito Outing hanno detto che comunque occuparsi di Diritti Sanitari LGBT avrebbe danneggiato la loro carriera.

In questo contesto avete deciso di fondare AMIGAY, quali sono i principali obiettivi che intendete perseguire?

I nostri obiettivi sono gli stessi della GLMA, ovviamente, ma essendo appena nati dobbiamo limitarci a diffondere le informazioni scientifiche evidence based sul Sex Orienteering e Medicina di Genere LGBT attraverso i nostri Corsi di Formazione ed i Media. Un secondo obiettivo è quello di aggregare ed iscrivere tutti i professionisti della sanità LGBT e gayfriendly che possano lavorare o collaborare con AMIGAY. Un terzo obiettivo più a medio termine, sarà quello di collaborare con le istituzioni sanitarie e le associazioni-sindacati del personale sanitario per ottenere documenti e protocolli nel merito della Medicina di Genere LGBT. Infine auspichiamo il cambiamento dell’anagrafica sanitaria, al fine quanto meno di ricerca epidemiologica, per poi arrivare alla valutazione annuale delle attività concrete contro l’omofobia, lesbofobia, transfobia, misoginia sanitaria e al rovescio valutare le attività a favore della specifica integrazione di percorsi di prevenzione, diagnosi e cura in tutti i campi della Medicina dedicati alle persone LGBT.. Anche se negli USA è sentito più che in Italia, per noi sarà importante poter attivare prima o poi un sistema di Mentioning fin dalla scelta delle facoltà sanitarie, per garantire che tutto l’arco della vita professionale sia libera da discriminazioni di genere.

In che modo la vostra associazione riuscirà a scardinare un sistema di pregiudizio che appare veramente forte e radicato?

Per scardinare il pregiudizio la prima arma è la cultura scientifica evidence based, la seconda la pazienza, ma la terza, la più importante, è il Coming Out, da parte di colleghe e colleghi. L’ultimo è l’aggregazione al progetto AMIGAY in modo da realizzare i nostri obiettivi in modo capillare in tutte le realtà sanitarie italiane. Occorre anche il dialogo con le istituzioni, m per fare questo è necessario aumentare di numero.

A suo parere perchè è così difficile accettare la libertà altrui di vivere se stessi senza retaggi culturali ormai fuori contesto e retrogradi?

Il problema dell’omofobia sanitaria dipende proprio dal contesto. Ci insegnano ad essere omofobi, anche perché per il SSN, almeno finché si userà l’ICD 9CM come manuale diagnostico, esisterà una specifica patologia, omosessualità egodistonica, attraverso la quale, in modo ipocrita, si intende che esiste una cura per cambiare l’orientamento sessuale sbagliato. La Fnomceo finché esisterà quella diagnosi non potrà sbilanciarsi sui colleghi e colleghe omofobe e le associazioni-sindacati dei professionisti sanitari pensano che perderebbero consensi a parlare di quest argomenti.

In chiusura, quale messaggi lancerebbe ai tantissimi medici e professionisti sanitari che non si sentono liberi di essere se stessi?

Ai colleghi non posso dire molto. Il Coming Out è un percorso psicologico complesso, che in realtà fanno tutti, anche le persone eterosessuali. Le donne eterosessuali sono quelle che in alcuni contesti ancora soffrono lo stesso problema, ma generalmente non facciamo più caso, anzi incoraggiamo fin dall’infanzia i comportamenti eterosessuali. Nessuno incoraggia minori e adolescenti ad essere liberamente LGBT, anzi viene considerata una perversione. L’effetto, essendo la natura umana incoercibile, è che le persone LGBT subiscono maltrattamenti fin dall’infanzia. Quando si cresce in contesti omofobi e poi nella professione sanitaria si ritrova una cultura che ti insegna che sei un malato di mente da curare, è veramente difficile fare Coming Out. Tuttavia, mie care colleghe e colleghi, è scientificamente provato che se non fate Coming Out, avendone tra l’altro una maggiore responsabilità, come per i vaccini, aumenterete la sofferenza, soprattutto degli adolescenti, ed impedirete con la vostra omertà la conquista necessaria dei Diritti Sanitari e Civili nel nostro Paese. Il Coming Out è un fenomeno Tutto-Nulla. Non potete nascondervi dietro un “ci penserò”, “non è il momento”, perché non c’è nessun percorso che faciliterà l’accoglimento sociale del Coming Out. .Il Coming Out sarà accolto meglio a seconda del contesto di base, ma sarete voi a migliorarlo facendovi avanti, e a peggiorarlo, aspettando o negandovi sempre. Bisogna anche capire che il Coming Out non è un fenomeno individuale. Le persone che accolgono il vostro Coming Out a loro volta dovranno fare Coming Out….rispetto ai loro pregiudizi ma anche rispetto alla propria omosessualità. Potranno tempestarvi di domande o coinvolgervi in un fenomeno sociale simile al lutto, con tutte le sue fasi drammatiche, ma dall’esito positivo. Bisogna anche capire che chi fa Coming Out lo fa in seguito ad un fenomeno psicologico simile ad un lutto, o meglio in attesa di un lutto, il che è ovviamente peggio, perché produce paranoia. Esistono infine situazioni complesse, come quei contesti in cui il legame con un genitore diventa difficile da modificare con il Coming Out, oppure in cui il legame con un partner renda doppia la questione, con il rischio più frequente che chi è più spaventato/a dei due impedisca all’altra/o di fare Coming Out. La verità però è che solo fare Coming Out migliorerà la vostra vita e quella degli altri, incluso i vostri genitori e i vostri partner più riluttanti.

Ringraziamo il dott. Manlio Converti per l’intervista e per l’attività di AMIGAY

Dott. Marco Tapinassi
Dott. Marco Tapinassi
Vice-Direttore e Giornalista iscritto all'albo. Collaboro con diverse testate e quotidiani online ed ho all'attivo oltre 5000 articoli pubblicati. Studio la lingua albanese, sono un divoratore di serie tv e amo il cinema. Non perdo nemmeno un tè con il mio bianconiglio.
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