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Marta, Infermiera: “ho tentato il suicidio, mi ha salvato un collega; troppi morti per Coronavirus, non ce la faccio più”.

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La lettera di Marta, Infermiera, sembra già letta in passato, ma è tutta nuova. Avevamo già parlato in passato del fenomeno suicidi tra i professionisti sanitari e socio-sanitari. Oggi ritorniamo a trattare l’argomento.

Carissimo Direttore di AssoCareNews.it,

oggi mi sono imbattuta in un vostro servizio sul suicidio di una Operatrice Socio Sanitaria e mi ci sono trovata per intero in questa storia. Poi leggevo commenti offensivi nei vostri confronti su Facebook e mi sono resa conta di quanta imbecillagine c’è in giro tra i nostri colleghi.

Il fenomeno dei suicidi tra gli Infermieri, gli OSS, i Medici e gli altri Professionisti della Salute esiste e spesso viene celato perché non si ha il coraggio di parlarne.

Vi racconto la mia storia e l’epilogo positivo che mi è capitato. Preannuncio che dopo l’estate ero caduta in una forte condizione depressiva. Ero sicuramente sotto stress, forse in burnout. Non lo so, so solo che senza l’aiuto di uno Psicologo e di un collega ora non sarei qui a scrivere questa mail.

Faccio l’Infermiera da ormai 20 anni, 15 dei quali passati in Terapia Intensiva e Rianimazione.

Ad ottobre 2020 ho tentato il suicidio. Non riuscivo a dormire da notti, mi sentivo in colpa per i tanti morti nel mio reparti, tutti deceduti per Covid-19. Bambini, adulti, anziani, il Coronavirus non ha risparmiato nessuno. In pochi ce l’hanno fatta e chi ce l’ha fatta vivrà per sempre questo incubo infermale.

Una sera di ottobre, come dicevo, ho tentato di farla finita. Avevo un forte desiderio di uccidermi, di chiudere gli occhi e di non alzarmi mai più, di troncare con tutti quei lutti, tutte quelle lacrime, tutti quegli uomini e quelle donne morti per un male invisibile, che era nell’aria, che poteva colpire ciascuno di noi.

Ho chiesto più volte aiuto alla mia azienda sanitaria, mi hanno più volte risposto che non c’era tempo per la depressione e che gli Infermieri, come tutti gli altri colleghi di altre discipline, dovevano sacrificarsi per il bene comune.

Per mesi non ho riposato, saltati riposi e mai fatto ferie. Ho chiesto aiuto anche ad alcuni colleghi, ma stavano quasi tutti peggio di me e negavano che forse quello di cui soffrivo io era ed è un male talmente comune, che quasi sembra normalità

Prima della fine della scorsa estate non avevo mai pensato alla morte, al suicidio, a farla finita. Pensavo che queste cose appartenessero solo ai malati di mente, ai pazienti psichiatrici. Poi all’improvviso mi sono resa conto che non era e non è così: la depressione può colpire chiunque e il burnout è più subdolo di quanto possiamo immaginare.

Sono viva grazie alla prontezza di un collega che aveva capito tutto, che aveva immaginato quello che stavo per fare.

Prima di prendere quelle pillole di Gardenale, rubate ovviamente in Unità Operativa, ho esitato e ho scritto un messaggio di addio ai miei colleghi. Si trattava di una cosa semplice: “ciao, mi è piaciuto tanto lavorare con te, ti apprezzo”.

Carlo, il mio collega, non appena ha ricevuto il messaggio su WhatsApp si è precipitato a casa mia, abitava qui di fronte, ha sfondato la porta di casa e ha allertato il Servizio Emergenza Territoriale.

Per farla breve mi hanno salvata per il rotto della cuffia. Bravi tutti, ma devo dire grazie allo Psicologo che mi segue, lui si che ha capito di cosa soffro: Disturbo Post Traumatico da Stress.

Buon lavoro Direttore.

Marta, Infermiera

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