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Infermieri: il demansionamento è parte del nostro DNA professionale

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Infermieri il demansionamento è parte del nostro DNA professionale.

Caro direttore,

voglio esprimere in questa lettera tutta la mia amara rassegnazione chiamata demansionamento. Oggi mi sembra di essere Don Chisciotte che urla nel vuoto e combatte contro i muluni al vento. Ascolto altre voci lontane ma lontane. Eppure io come Infermiere sono nato nel demansionamento. Ricordo, come se fosse ora, quel lontano 1990 quando stavo per entrare nel mondo infermieristico, dove mi attraeva il fonendoscopio al collo, l’esecuzione del prelievo ematico e l’iniezione intramuscolare.

In quell’anno la regione Lombardia offriva un’assegno mensile di 800 mila lire agli allievi (oggi studenti in infermieristica) del primo anno. Io giovane pugliese di 20 anni che parto dal Gargano con tanti sogni verso Milano. Ebbene il mio primo reparto fu’ una medicina situata al 5 piano dell’allora Ente Ospedaliero S.Carlo Borromeo di Milano. In quel reparto trovai tutto il demansionamento.

Noi futuri infermieri eravamo impiegati a:

  • radere le barbe ai pazienti;
  • tagliare le unghie;
  • lavare le dentiere;
  • dare gli omogenizzanti;
  • fare i letti;
  • cambiare pannoloni;
  • ed altre attività domestico-alberghiere.

Rimasi scosso e cominciai a ricredermi sulla mia futura professione, ma andai avanti.

Siamo nel 1990; nel 1994 col D.M. 739 nasceva il nostro profilo dove l’infermiere è:

  • garante dell’assistenza al paziente;
  • formula una propria diagnosi infermieristica;
  • cerca soluzioni ai bisogni del paziente avvalendosi dell’aiuto del personale di supporto.

Ma se non erro già nel febbraio del 1985 un giudice in una sentenza della Cassazione scriveva che non competeva all’infermiere rispondere ai campanelli, riassettare i letti, pulire i comodini portare padelle e pappagalli e altri animali domestici.

Come Milano era ed è all’avanguardia proprio a Milano i futuri infermieri negli anni 90 si ritrovavano a comportarsi non solo da Oss, ma da badanti.

Come facciamo ad estirpare questo male se noi infermieri 50enni siamo nati nel demansionamento e continuiamo a dire che “si è sempre fatto così“. Di chi è la colpa? Dei nostri dirigenti di allora?

Un giorno un paziente mi chiese, dopo aver fatto il letto e dopo avergli posizionato un catetere venoso periferico (CVP): “ma sai fare tutto, sai fare anche l’infermiere!”

Le mie speranze, e con questo concludo, sono rivolte ai giovani che si laureano in Infermieristica affinché portino avanti le nostre rivendicazioni; solo così si permetterà all’infermiere di individuare i bisogni del paziente, di fare diagnosi, di risolvere i problemi dei pazienti e di avere un rapporto di 1 a 6 e tutte le cose di cui si discute quotidianamente su AssoCareNews.it.

Cari saluti dalla Puglia.

Giovanni Grumo, Infermiere, OPI Foggia

* * *

Grazie Giovanni,

ci hai dato l’opportunità per conoscere un tuo spaccato di vita e di formazione che non conoscevamo. Quanto da te esposto, purtroppo, lo si nota in tutte le strutture ospedaliere italiana. Vi è un naturale gap tra chi proviene dalle vecchie scuole per Infermieri e chi ha frequentato l’università e si è laureato in Infermieristica. Ciò, ovviamente, con le dovute eccezioni che esistono in ambedue i settori della nostra professione. Fai bene a sognare e a sperare che con l’avvento delle nuove generazioni qualcosa cambi. Non siamo fiduciosi che tanto cambierà e che sta già cambiando. Quando scendo in Puglia ti scrivo per un caffè, così ne parliamo anche a voce. Continua a seguirci su www.assocarenews.it.

Angelo Riky Del Vecchio, Direttore AssoCareNews.it

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