Emergenza Corononavirus. Giovanni, Infermiere: “sono alla soglia della pensione, ma resto in prima linea contro il Covid-19”.
Egr. Direttore,
due mesi fa a mio figlio, preoccupato per l’avanzata del virus e per il mio lavoro in ospedale, dissi che mio nonno aveva combattuto sul Carso per liberare Trento e Trieste dalla dominazione austriaca. Gli dissi che, se avessi dovuto combattere anch’io una guerra, l’avrei fatto seguendo l’esempio suo e di tanti italiani che hanno combattuto in tutte le guerre per darci un futuro migliore.
La guerra c’è stata, è tutt’ora in corso ed ha avuto già tanti, troppi caduti. Anche i nostri nonni combatterono con mezzi non sempre adeguati, con generali che a volte sbagliavano strategia e, come si sa, in tutte le vicende umane, compresa la guerra, c’è chi ci rimette o muore e chi ne trae profitto.
Ora che il mio collega Francesco è morto tutto ciò non mi basta più. Mi interrogo sulle motivazioni più profonde che mi sostengono ancora in questa guerra. Come Francesco anch’io ho un disabile in casa, sono a un anno dalla pensione, ho la schiena a pezzi e fra malattia e congedi vari potrei tirarmi indietro, ma come Francesco non lo farò.
Da credente so e ne faccio esperienza ogni giorno che qualsiasi circostanza che mi è dato di vivere, anche la più dura, è una grazia, è una occasione per essere più umano e più cosciente di quello che sono.
A mia moglie, a mio figlio nel fiore degli anni, a mia figlia disabile non serve un cadavere ambulante inconsapevole di ciò che veramente è. Serve loro una persona viva spiritualmente che testimoni che la vita può avere un senso umano.
Lascio soldi e carriere a chi vuole trarre profitto da tutto, ma io per meno di tanto non posso e non voglio vivere.
Giovanni Di Bartolomeo, Infermiere OPI Pescara
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