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giovedì, Marzo 28, 2024
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Coronavirus. Anna, Coordinatrice Infermieristica: “sono positiva al COVID-19, mi hanno fatto fare i tamponi ai Pazienti senza scudo”.

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Emergenza Coronavirus. Anna, Coordinatrice Infermieristica comunica che è stata dichiarata positiva al COVID-19: “nonostante le proteste la mia azienda non mi ha fornito gli scudi per proteggermi, non volevo che si infettassero i miei Infermieri e i miei OSS per cui facevo io i tamponi ai Pazienti”.

Riceviamo la nota della collega Anna, Coordinatrice Infermieristica e corrispondente di AssoCareNews.it. Ci comunica ufficialmente che è positiva al Coronavirus. Si è infettata facendo i tamponi ai suoi Pazienti senza Dispositivi di Protezione Individuale, perché la sua azienda non glieli dava e lei si è sacrificata perché non si infettassero i suoi Infermieri e i suoi OSS. Ecco il suo commovente racconto, scritto tutto d’un fiato.

Sono positiva al COVID-19…

Ieri mi sono svegliata come solito per andare al lavoro, come faccio da venti giorni senza fare un riposo. Ma mi sentivo stanca, come se un tir mi fosse passato sopra. Io che l’ultima febbre l’ho avuta nel 2004. Ho pensato sarà l’ora in meno visto il cambio. Mi ha sempre stordita il cambio dell’ora.

Sono rimasta a letto incapace di alzarmi. Mi provo la temperatura ma va bene, il termometro si ferma a 36,9. Dentro di me gia so.

So che giovedi 26 ho fatto il tampone per vari contatti con Pazienti positivi, la risposta mi arriva il 27 e l’esito è negativo.

Ho fatto un tampone martedì 24 ad una paziente che è risultata positiva. Non ho lo scudo facciale per fare i tamponi. La mia azienda non me ne ha mai dato uno.

La paziente tossisce. Ho la mascherina Ffp2, sopra una chirurgica, un paio di occhiali che più che protettivi sembrano occhiali da sole. Non ho camici idrorepellenti, la mia azienda non me li stava dando, allora uso due camici, di quelli verdi sottili che solo a metterli si rompono, di carta velina li chiamo io.

Nel momento che mi tossisce davanti mi fermo e ho capito che sarebbe cambiato qualcosa. Le cose le sento sempre.

Il venerdì sera inizio ad avere un po’ di tosse. Poco, qualche colpetto, anche il sabato ma in tutto cinque sei attacchi in un giorno.

Domenica è diverso, io sono diversa. Fino a mezzogiorno non riesco a mettermi in piedi, riprovo la temperatura e ho qualche linea.

Vivo da sola. Con i miei cani. Mi alzo, faccio il bagno ai cani, pulisco tutta casa, lavatrici e asciugatrici. Preparo tutto come se dovessi chiudere.

Quando ho 37,6 chiamo la mia responsabile e le dico: “ci siamo, ho la febbre”. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, l’ho gridato e l’ho scritto in mail a tutti al lavoro. Chiedevo solo di avere i dispositivi di protezione. Ero io a tamponare i pazienti in reparto. Non ritenevo giusto esporre i miei Infermieri a questo rischio. Se l’azienda era incapace di tutelarci, allora dovevo essere io a tutelare loro. Assumendosi tutti i rischi. O quantomeno provandoci. Non mi hanno mai fornito uno scudo facciale. Eppure tutti sanno che il tampone è fra i momenti più critici. Penso se averlo mi avrebbe protetta di più.

Sono un coordinatore, non faccio altre manovre assistenziali sui pazienti.

Aspetto un po’, volevo aspettare lunedì prima di muovermi. Ma mando un messaggio ad un mio amico infettivologo, persona che stimo fuori misura, impegnato ora a gestire i reparti Covid al Bellaria.

“Ciao luca ho fatto il tampone giovedi esito venerdi negativo. Dal venerdì sera tosse secca ma ogni tanto… da stamattina stanchezza micidiale, male alle ossa e dal pome 37.6… ora io voglio credere a quel tampone ma l’ultima volta che ho avuto febbre è stato nel 2004. Non ho problemi respiratori”.

La sua risposta è chiara “Devi stare a casa. Secondo me hai preso l’infezione. Inizia la terapia (idrossiclorochina e azitromicina) e poi ripeteremo anche il tampone.”

Chiamo il Pronto Soccorso del Maggiore, racconto la storia, si prendono il numero e mi richiamano poco dopo, dicendo di andare.
Mi triaggiano, parametri, mi mettono il braccialetto identificativo. Sono una paziente sospetta Covid.

Mi metto in sala d’attesa, sono un codice verde, non ho fretta, non ho problemi respiratori. So già la mia diagnosi.

Sembra tutto surreale. Infermieri e medici e OSS sotto una tuta bianca, scudo, mascherina. Non li riconosco, sono tutti uguali. Si sono scritti i nomi sulla schiena. Come i calciatori hanno il nome sulla maglia.

Una cosa noto: la gentilezza che hanno nei confronti di tutti. Si rapportano ai pazienti in modo dolce, rassicurante. Eppure sono gli stessi Infermieri che finivano sul giornale perché una con il mal di schiena stava in PS troppo. Allora penso, siamo noi operatori ad essere cambiati? No, noi lavoriamo sempre allo stesso modo. Non sei gentile a mesi alterni quando lavori. E’ la gente che è cambiata, meno arrogante e prepotente nei confronti di chi ora è in prima linea in questa battaglia.

Pensavo di parlare solo con l’infettivologo invece no, mi becco un’EGA (che dolore!) un RX Torace, un tampone. L’infettivologo che conosco mi propone due terapie, Plaquenil e un antivirale a cui sono allergica e pertanto non posso prendere.

Mi chiudono il verbale di PS. Quindici giorni di malattia. La prima cosa che penso è come rientrare se il tampone è negativo (assurdo ma ho sperato che lo fosse). Questa mattina mi mandano il referto. POSITIVO.

Isolamento domiciliare. Io e i miei cani.

Oggi non ho febbre, sto meglio, il malessere è diminuito. Domani sarei pronta per tornare al lavoro. Ma non posso ancora. E mi sento un leone in gabbia a non essere la a dare una mano ai miei Infermieri e ai miei Oss.

#andratuttobene

Un abbraccio,

Anna, Coordinatrice Infermieristica

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