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Volpe (OPI Taranto): “l’Infermiere figura fondamentale sul territorio al fianco dei Medici di Famiglia”.

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Parla Pierpaolo Volpe (presidente OPI Taranto): “l’Infermiere di comunità figura fondamentale sul territorio al fianco dei Medici di Famiglia”.

La necessità di una figura infermieristica di riferimento per la persona anziana e/o fragile (e la sua famiglia) sul territorio, accanto al medico di medicina generale, è stata riconosciuta fondamentale anche dal legislatore. Sono circa due milioni e mezzo gli anziani non autosufficienti in Italia che vivono a casa, dei quali l’80% è ultra-sessantacinquenne.

Si stima che oltre un quinto delle persone con 65 anni presenta limitazioni funzionali gravi da necessitare assistenza personale a casa o in strutture residenziali quali residenze sanitarie assistenziali (RSA), residenze protette e altre analoghe.

Le limitazioni a compiere una o più attività della vita quotidiana richiedono un’assistenza continuativa e di lungo termine da parte di altre persone per essere compensate, e per porre l’anziano assistito nella condizione di poter continuare a vivere una vita dignitosa, con una qualità di vita accettabile. La professione infermieristica ha da tempo raccolto questa sfida. Ha proposto un modello di assistenza al domicilio che ha come centro la persona anziana o fragile o disabile con il proprio nucleo familiare, assistito dall’infermiere di famiglia e di comunità (IFeC).

Secondo l’Oms il “nuovo infermiere” è colui che aiuta gli individui ad adattarsi a malattia e disabilità cronica trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio della persona assistita e della sua famiglia. L’obiettivo è mantenere, e migliorare nel tempo, l’equilibrio e lo stato di salute della famiglia, nella comunità, aiutandola a evitare o gestire le minacce alla salute. Oggetto dell’assistenza dell’Infermiere di famiglia è l’intera comunità, di cui la famiglia rappresenta l’unità di base. In tal senso l’infermiere di famiglia svolge il suo ruolo nel contesto comunitario di cui fanno parte la rete dei servizi sanitari e sociosanitari, le scuole, le associazioni e i vari punti di aggregazione.

Su questo argomento è stato intervistato il Presidente dell’ Ordine degli infermieri di Taranto il Dottor Pierpaolo Volpe. Si sono poste le seguenti domande.

Signor Presidente si sta parlando molto in questo periodo di una nuova figura professionale “ l’ infermiere di comunità e di famiglia”. Lei cosa ne pensa ?

“L’ infermiere di famiglia e di comunità rappresenta la svolta della professione infermieristica. E’ una nuova figura che assorbe tutto quello che sono le competenze degli infermieri e le pone in essere , cioè trasforma il corpus infermieristico in qualcosa di concreto a 360 gradi. Non è una figura prestazionale, ma rappresenta una figura che si occupa della presa in carico del paziente in maniera olistica , si occupa di bisogni ,di interfacciarsi con la rete sociale ed è una figura autonoma secondo quello che è previsto dalla legge 251 del 2000. Quindi, tutto quello che è lo specifico infermieristico può essere letto all’ interno di questa nuova figura che è prevista anche nel nuovo piano Nazionale di riprese e di resilienzia come discontinuità rispetto al passato e un allontanamento da una visione ospedalocentrica della Sanità, verso quindi una figura che è di prossimità , cioè in cui non sarà più il paziente , la persona assistita ad andare nelle strutture sanitarie, ma saranno le strutture sanitarie, quindi i professionisti infermieri a prestare attività al domicilio del paziente. Bisogna sgombrare il campo ! Alcuni modelli che sono stati proposti in alcune realtà sono lontani da quello che è la position statement della Federazione perchè l’ infermiere di famiglia e di comunità non è un infermiere ADI , ma bensì si occupa della presa in carico in maniera globale e olistica del paziente . Pertanto, non ha nulla a che vedere con l’ aspetto prestazionale. Il concetto da tenere bene in mente quindi è quello della presa in carico”.

Secondo Lei siamo preparati in Italia mentalmente ?

“Attualmente no e la visione odierna è offuscata soprattutto da un’azione importante dei medici . Noi siamo un po’ ingabbiati da tutti i lati , verso l’alto dalla professione medica, dai lati dalle altre professioni e dal basso dagli OSS, ma in maniera ingiustificata perchè noi come professionisti infermieri vogliamo svolgere solo quello che ci compete e credo che sia opportuno prevedere un piccolo ampliamento delle competenze per le figure di supporto a patto però che la professione infermieristica si evolva verso lo sviluppo delle competenze specialistiche . Ognuno deve fare il suo, gli altri professionisti siano essi professionisti della riabilitazione ma anche i medici non devono temere lo sviluppo della professione infermieristica perchè ognuno deve agire nell’ ambito delle proprie competenze secondo quanto previsto dallo specifico professionale , dalle leggi istitutivi dei profili professionali e dai propri codici deontologici. Non siamo pronti perchè viviamo in un Paese che ha paura del cambiamento. Lo vediamo ora con il nuovo Piano Nazionale delle riprese di resilienza, un’assistenza di prossimità, l’assistenza a domicilio del paziente, un abbandono della carica visione ospedalocentrico della sanità. Si ha paura di cambiare per esempio sotto l’ aspetto del medico di famiglia, si ha paura della dipendenza e invece noi dovremmo puntare proprio a questo, ad essere noi come infermieri di famiglia e di comunità alla stessa stregua del medico cioè agire in convenzioni con le ASL ed essere totalmente autonomi perchè questo è quello che prevede il disposto normativo della legge 251 del 2000”.

Non crede che sia opportuno far fare dei corsi di formazione appropriati?

“La formazione deve essere specialistica. La Federazione sta già pensando ad una revisione anche degli ordinamenti didattici. Sta pensando di rivedere il sistema della laurea specialistica che non può essere solo manageriale ma deve essere appunto specialistica e per quanto riguarda gli infermieri di famiglia e di comunità, lì si può pensare ad un percorso formativo complementare come quello del master di primo livello, ma eventualmente anche ad una formazione più specialistica con un master di secondo livello per chi ha conseguito la laurea magistrale, ma nel caso nostro, forse non abbiamo il tempo. Noi come Regione Puglia dobbiamo partire subito, si può ipotizzare l’ infermiere di famiglia e di comunità accanto alla visione dell’ infermiere specialist poichè è previsto dal contratto collettivo nazionale del lavoro della sanità pubblica che lo specialist deve aver conseguito il master , quindi accanto alla figura dello specialist possiamo avere quello dell’ infermiere esperto cioè di colui che ha delle competenze certificate attraverso lo svolgimento di corsi regionali che certificano l’abilità e quindi le capacità nell’ espletare una determinata attività. Possiamo prevedere quindi gli infermieri che hanno già o stanno acquisendo un master per esempio in infermieri di famiglia o di comunità o in cure primarie ma in questo potremmo individuare anche figure che si stanno approcciando magari in qualche regione, dove sta bandendo o sta per bandire corsi regionali per la figura dell’infermiere esperto , ma io non ho certezza di questo. Noi a livello regionale con la regione Puglia, come Ordine della Puglia, abbiamo già aperto una interlocuzione per questa figura. C’è anche ampia disponibilità da parte della Regione Puglia , ma certamente abbiamo convenuto sul fatto che non c’è tempo e che dobbiamo partire con questa figura che è già insingibile dal punto di vista normativo e non possiamo certamente attendere i tempi del conseguimento di un master. Non tanto per il conseguimento del master, ma dell’ istituzione da parte dell’università di un nuovo master che comunque ci farebbe perdere almeno un paio di anni”.

Pensa che in questo modo verranno ridotti gli accessi inappropriati nel pronto soccorso?

“Io credo proprio di si. La presa in carico del paziente in maniera globale , della persona assistita in maniera globale, fa sì che quelli che siano gli accessi inpropri possono essere ridotti. Stessa cosa può essere fatta con fast track e quindi con una visione e una rivisitazione del modello organizzativo del pronto soccorso. Ovunque c’è l’infermiere, si può realizzare un miglioramento dell’assistenza al paziente e quindi anche per riberbero un beneficio sulla sanità territoriale. L’infermiere di famiglia e di comunità agirebbe quasi anche come bad manager, quindi come colui che valuterebbe in maniera indiretta l’appropriatezza di un determinato accesso al pronto soccorso, perchè dico una figura , certamente non può essere un bad manager ma in maniera indiretta fungerebbe da triage per prevenire accessi impropri, perchè ovviamente il paziente tante volte non potendo accedere a prestazioni sanitarie fa ricorso alla struttura sanitaria, al pronto soccorso proprio per le lungagini dei tempi di programmazione delle prestazioni ambulatoriali da parte della struttura pubblica e o privata convenzionata”.

L’infermiere di famiglia e di comunità può essere considerato come la massima eccellenza dell’ autonomia professionale?

“Se noi intendiamo la figura dell’ infermiere di famiglia e di comunità secondo quella che è la position statement della Federazione, direi proprio di si perchè il care di questa figura rappresenta l’ eccellenza della professione infermieristica, l’evoluzione massima delle competenze, perchè un infermiere di famiglia e di comunità ha e dovrebbe avere le competenze massime in grado di gestire in maniera olistica sotto tutti gli aspetti sociale, sanitario, assistenziale dei bisogni fino a sfociare eventualmente in quello che consentirebbe lo switch nella sanità e di conseguenza il cambiamento della sanità. L’infermiere prescrittore per esempio è un infermiere che potrebbe prescrivere i presidi. Io mi chiedo, come mai è necessario che ci sia un geriatra, un fisiatra , un neurologo per la prescrizione di un presidio di incontinenza nei confronti di un paziente per esempio che ha un incontinenza urinaria? E’ proprio lì che l’infermiere che ha contatto diretto con quel paziente, quindi un infermiere formato con delle competenze specialistiche, può tranquillamente prescrivere i presidi . Attenzione però, noi ci allontaniamo dalla prescrizione farmacologica in senso puro che ad oggi ad appannaggio della professione medica, ma la prescrizione della protesica e credo , che possa essere tranquillamente ad appannaggio dell’infermiere. E’ l’infermiere che conosce gli ausili, quelli che sono gli strumenti che consentono al paziente di poter raggiungere la massima autonomia possibile”.

In conclusione.

A conclusione dell’intervista si evince pertanto, che la salute non è un bene che si può acquistare, ma è il frutto di un processo di crescita culturale, morale e civile delle persone che, gradualmente, aumentano la propria consapevolezza anche sulle responsabilità individuali e collettive.

Così come ricorda Florence Nightingale: “La vita e la morte, la guarigione o l’invalidità dei pazienti, non dipende in genere da un qualsiasi atto grandioso e isolato, ma dall’instancabile e accurato compimento del dovere pratico di ogni momento”.

Grazie presidente!

Dott.ssa Monica Cardellicchio
Dott.ssa Monica Cardellicchiohttps://www.assocarenews.it/
Laurea magistrale in Scienze Infermieristiche ed Osteriche Master di I livello in Management e coordinamento delle professioni sanitarie Master di I livello in Wound Care basato su prove di efficacia Master di II livello in Management delle Aziende Sanitarie Professore a contratto presso il Policlinico di Bari della Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Osteriche e della Laurea in Infermieristica . Segretaria della Commissione dell' albo dell' OPI di Taranto
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