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martedì, Aprile 16, 2024
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Mangiacavalli (FNOPI): “a piccoli passi gli Infermieri vinceranno tutte le loro battaglie professionali e culturali”.

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Parla Barbara Mangiacavalli (presidente FNOPI): “a piccoli passi e con l’unità nel prossimo quadriennio gli Infermieri vinceranno le loro battaglie professionali”.

Ripartono con le interviste del Direttore Angelo Riky Del Vecchio ai personaggi e ai rappresentanti delle istituzioni infermieristiche e sanitarie italiane e straniere. Oggi è la volta di Barbara Mangiacavalli, presidente appena rieletta alla guida della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI).

A lei abbiamo posto alcune domande per capire quale saranno le indicazioni e le scelte programmatiche per la professione nel quadriennio 2021-2024: tra nuove competenze e rapporto con gli OSS, libera professione per i colleghi dipendenti, rilancio dell’assistenza territoriale in emergenza urgenza, Pandemia Covid e campagna vaccinale. Ecco come e cosa ha risposto.

Per la terza volta consecutiva è stata eletta alla guida degli Infermieri e degli Infermieri Pediatrici italiani. Un risultato ottenuto a seguito di anni di battaglie e di riconoscimenti ottenuti per la professione. Cosa vuole realizzare per la categoria nei prossimi quattro anni?

FNOPI: Mangiacavalli rieletta presidente, Cicia sarà il suo vice. Gli auguri di AssoCareNews.it.

Stiamo costruendo a poco a poco una nuova immagine degli infermieri, molto più reale di quella che finora ha caratterizzato la nostra professione, perché un po’ alla volta ci stiamo scrollando di dosso vecchi retaggi e immagini ormai obsolete e stiamo affermando l’aspetto intellettuale, scientifico e umano della professione infermieristica.

Finora abbiamo gettato una serie di basi, di fondamenta su cui costruire una professione solida e diversa da quella che era oltre trenta anni fa e che, con la sinergia di sindacati e associazioni, potrà portare a quei riconoscimenti anche economici che indubbiamente spettano agli infermieri.

Anche il 2021 dovrà essere un anno di avanzamento della professione infermieristica:

  • 
Infermiere specializzato;
  • infermiere prescrittore;
  • infermiere gestore e coordinatore di percorsi assistenziali soprattutto sul territorio;
  • infermiere aperto al mix professionale per soddisfare i bisogni degli assistiti;
  • infermiere incentivato con nuovi sbocchi di carriera e percorsi premianti.


Sono i cardini del futuro della professione individuati in un documento messo a punto dalla FNOPI, grazie a un Advisory Board composto da personalità di rilievo del Ssn, organizzato con l’obiettivo di individuare le prossime sfide del comparto e comprendere in che modo la professione infermieristica possa contribuire a potenziare e ammodernare il Servizio sanitario nazionale e rendere più forte la ripresa e la resilienza del Paese, inviato al Presidente del Consiglio, al ministro della Salute, alle Regioni e al Parlamento.

Detto questo, come ho già avuto modo di indicare, le realizzazioni a cui nel quadriennio il nuovo Comitato centrale vuole puntare con l’aiuto degli ordini, ma anche di tutta la categoria professionale, sono sostanzialmente sei:

  • rendere stabile e attuale il concetto di specificità infermieristica e affiancato a questo, quello dell’allentamento dell’esclusività per la nostra professione che non deve essere legato solo all’emergenza, ma deve dare spazio agli infermieri perché possano, con un’organizzazione del lavoro ottimale, operare a tutto campo nell’assistenza dentro e soprattutto, viste le attuali evidenti carenze, fuori dell’ospedale;
  • realizzare una revisione e sviluppo qualitativo e quantitativo dei programmi dei percorsi di base e post base;
  • valorizzare l’identità professionale con interventi sugli studi per il dimensionamento degli organici di personale infermieristico nel medio periodo;
  • consolidare l’azione politica professionale a tutti i livelli per la prosecuzione dell’impegno nei tavoli istituzionali;
  • rafforzare la rete di collaborazione con le forme di associazione comunitaria quali Osservatori e le Consulte dei pazienti e dei cittadini e delle Associazioni e Società Scientifiche;
  • sostenere e accompagnare gli Ordini Provinciali e le Commissioni di albo infermieri e infermieri pediatrici nella piena applicazione della legge 3/2018 e nel ruolo di rappresentanza politico.

La Pandemia Covid ha messo in ginocchio la Professione Infermieristica in Italia e nel mondo. All’impegno della categoria non è corrisposto finora un vero riconoscimento da parte dei Governi e della Politica. Da tempo la FNOPI, d’intesa con i sindacati e con i principali sodalizi di categoria, sta chiedendo serie riforme: dalla formazione universitaria agli aumenti stipendiali, dal riconoscimento delle nuove competenze a nuovi ruoli dirigenziali, dall’accesso libero alla laurea magistrale alle specializzazioni, non dimenticando la revisione dei dottorati di ricerca e la libera professione intra ex extra-moenia. Crede che il 2021 possa essere l’anno della svolta?

Come ho già accennato, se non si potrà ottenere tutto subito nel 2021, questi quattro anni dovranno sicuramente rappresentare per molti aspetti che Lei descrive una vera svolta nella professione infermieristica.

Indubbiamente la pandemia ha messo in evidenza l’importanza e il vero ruolo della nostra professione, ma spesso la memoria è corta e dopo grandi applausi si tende a far uscire di scena quelli che fino a quel momento ne sono stati i protagonisti.

Ecco: questo non deve accadere. Gli infermieri hanno dimostrato ciò che sanno fare e che valgono dal punto di vista clinico, assistenziale e umano e non possono, non vogliono e non devono uscire di scena perché in questo modo si darebbe spazio ancora una volta a vecchi privilegi acquisiti in altri tempi e a visioni obsolete dell’assistenza sanitaria.

Non si può guardare all’Europa e al resto del mondo solo quando fa comodo, è necessario vedere e ascoltare quella che è ormai riconosciuta come l’organizzazione ottimale dell’assistenza di prossimità, parola che molti pronunciano, ma di cui pochi sanno il vero significato e ancora meno come metterla in pratica.
Eppure, sarebbe semplice. L’OCSE nel suo recente rapporto di febbraio 2021 sull’assistenza di base e su un modello efficiente per i Paesi dell’organizzazione, parla chiaro. L’efficienza dell’assistenza sanitaria di base in futuro dipenderà anche dall’uso di team basati sulla comunità dei professionisti.

Tra questi gli infermieri secondo il rapporto possiedono competenze trasversali importantissime e conoscenze pertinenti le loro comunità.

I sistemi sanitari dell’OCSE – dice ancora il rapporto – hanno necessità di sfruttare appieno le capacità di questi team basati sulla comunità istituendo una formazione ad hoc, garantendo che la legislazione sia adeguata e non inutilmente restrittiva e i nuovi ruoli che l’OCSE delinea per gli infermieri sono di coordinatori dell’assistenza, pianificatori dell’assistenza e gestori del percorso dei pazienti. Ruoli che vengono progressivamente introdotti per concentrarsi sulla fornitura di cure continue in diverse specialità.

Queste funzioni di coordinamento spesso si estendono oltre i tradizionali confini dell’assistenza sanitaria e includono stretti rapporti di lavoro con i servizi sociali, i servizi e i team di assistenza a lungo termine. Attualmente, molte di queste nuove funzioni sono svolte ampliando l’ambito della pratica degli operatori sanitari esistenti, ad esempio, appunto, gli infermieri – afferma il rapporto – che assumono la guida nella pianificazione del paziente e nel coordinamento dell’assistenza, promuovendo allo stesso tempo una vita sana e prevenendo e gestendo la malattia.

In questo senso non solo il 2021, ma anche gli altri a venire, dovranno rappresentare una vera svolta per la professione per la quale finora abbiamo gettato basi che dovrebbero essere evidenti per tutti.

Da qualche giorno è in essere una dura polemica della Professione Infermieristica nei confronti della delibera di giunta n. 305/2021 della Regione Veneto, che attribuisce funzioni di fatto sanitarie agli OSS. Sulla stessa scia si starebbero muovendo anche altre Regioni, tra cui Puglia, Liguria, Piemonte ed Emilia-Romagna. Non trova che sia giunto il momento di fare chiarezza sull’argomento e spiegare cosa sta accadendo in Italia ai danni degli Infermieri e degli stessi Assistiti con la scusa di applicare quanto sancito dall’Accordo Stato-Regioni del 16 gennaio 2003?

Gli OSS diventano Infermieri in Veneto grazie ad una delibera della Regione. Ed è polemica.

Sulla questione OSS assisto ad una semplificazione del problema che non è più tollerabile. La carenza di personale la denunciamo da anni e ora che nell’emergenza non solo è evidente, ma sta assumendo dimensioni pericolose per l’assistenza stessa, si cerca di correre ai ripari con soluzioni tampone che però non risolvono i problemi, ma semmai possono crearne altri.

Che sia necessario uno skill mix tra professionisti è una delle cose che affermiamo da tempo ormai, ma questo deve essere tra professionisti in grado di erogare livelli di assistenza che garantiscano la salute dei cittadini e che abbiano una formazione davvero adeguata ai compiti che devono svolgere. 
Non abbiamo ovviamente nulla contro gli OSS che, anzi, sono un supporto essenziale nell’assistenza ai malati. Ma da qui a decidere che poche ore di formazione possano sostituire anni di università e di tirocinio e possano abilitare a prendersi cura nel senso clinico di una persona, ce ne passa.

Di tutto ciò ne sono coscienti gli stessi OSS, dal momento che le associazioni che li rappresentano rifiutano percorsi “abbreviati” e responsabilità che non darebbero altro segnale se non quello di qualcosa di “rimediato all’ultimo momento” e perfino di pericolo per gli stessi pazienti e per gli operatori che sarebbero investiti di responsabilità a cui non sono stati formati.

Ed è per questo che la Federazione impugnerà ogni scelta che vada prima di tutto nel senso opposto a quello della tutela della salute, ma anche della professionalità infermieristica che è nostro compito tutelare. 
I riconoscimenti che praticamente tutte le associazioni dei cittadini-pazienti fanno agli infermieri dovrebbero far comprendere bene che si sta parlando di una professione singolare, infungibile con altre figure non altrettanto formate e, soprattutto, che questi atteggiamenti non aiutano ad assistere e curare, ma semmai generano confusione e danni alle persone, Anche alla loro salute.
 Agli infermieri oltre al danno di immagine che ormai è quasi una costante nell’immaginario di molti – e lo dico con triste ironia –, il danno vero che si crea è quello rispetto al rapporto con i pazienti e gli assistiti che devono fidarsi di noi per quel che noi siamo e non certo per quello che sarebbero costretti a vedere in altri. A questo si aggiunge l’aspetto più deteriore di questa linea di condotta che è quello dell’indebolimento evidente della tutela della salute di cui proprio gli infermieri dovrebbero essere responsabili, ma che in un caos generato da una confusione di ruoli è difficile governare. 
La questione delle attività degli OSS non attiene in realtà né agli OSS né agli infermieri, ma a che tipo di risposte di salute vogliamo garantire ad i cittadini, ed è questo che mi preoccupa di più. Il nostro è un paese che non ha mai investito adeguatamente sull’assistenza, sia infermieristica che di supporto e questi sono i risultati: soluzioni immediate che non hanno radici nel passato e non guardano al futuro.

Così come configurata, questa è una sconfitta per tutti, ma soprattutto per il nostro sistema salute. Come infermieri abbiamo e stiamo lottando perché le nostre competenze siano libere di esprimersi secondo logiche di appropriatezza clinica ed organizzativa a vantaggio del Paese. Dobbiamo essere coerenti e vedere come opportunità l’espansione di tutti quando però il perimetro si amplia per tutti e non solo per una parte, avendo ben salda la nostra disciplina infermieristica. Ben ho in mente anche come un maggior numero di OSS possa sgravare noi infermieri da attività non peculiari della professione ma questo ragionamento va posto in un progetto complesso e non banalizzato come sta accadendo. Banalizzato da chi propone soluzioni tampone non per raggiungere un obiettivo di sistema qualitativo ma quantitativo , banalizzato dalla nostra comunità professionale che non deve legarsi ad un atto tecnico come patrimonio esclusivo della professione ma chiedere piuttosto quale livello di responsabilità e decisionale io esercito come professione autonoma rispetto al personale di supporto a cui attribuisco gli atti per raggiungere e certificare gli esisti di salute della persona a me affidata. Dobbiamo tutti compiere lo sforzo di guardare agli esiti di salute e sto assistendo invece  – a tutti i livelli – ad un dibattito legato solo al mero atto prestazionale. Questo non è il Sistema Sanitario che serve ad i cittadini. I nostri cittadini non hanno bisogno solo di una prestazione. L’impegno che metterò su questa visione, a salvaguardia sì della professione infermieristica, ma soprattutto dei nostri assistiti, è massimo. E deve essere massimo da parte di tutti.


Tornando alla Libera Professione per gli Infermieri Dipendenti. Qual è il motivo reale che spinge secondo lei la Politica a non dare spazio alla nostra categoria in questo ambito?

Ci sono diversi aspetti su questo fronte. Il primo è il dettato – e di conseguenza il rispetto – di una legge, il Dlgs 165/2001, voluta per evitare che i servizi pubblici – tutti, non solo quelli sanitari – potessero essere indeboliti da fughe all’esterno dove venti anni fa sicuramente le condizioni, almeno economiche, erano probabilmente più favorevoli.

Ovviamente creare una “crepa” nell’organizzazione generale è come mettere una diga nelle condizioni prima o poi di cedere del tutto.

Per questo il nostro percorso procede a piccoli passi. Per questo si guarda con riluttanza ad “allargare la crepa” nella diga dell’esclusività. Ma non per questo non stiamo cercando di far allargare l’allentamento dell’esclusività voluto per la campagna vaccinale anche all’assistenza sul territorio, dove l’ideale sarebbe quello di avere infermieri dedicati, che la politica di formazione e fabbisogno nelle Università, sempre “al risparmio” di posti a bando, finora non ha permesso di ottenere. Abbiamo ben detto che se solo negli ultimi anni avessero ascoltato le richieste di fabbisogno espresse dagli ordini provinciali che hanno il polso delle necessità sul territorio, ora ci sarebbero almeno 15mila infermieri in più in servizio. Il problema non sarebbe stato probabilmente del tutto risolto, ma sicuramente non avrebbe raggiunto i livelli attuali.

Così, dando spazio alla possibilità per gli infermieri dipendenti di esercitare anche un minimo di la libera professione – ovviamente regolamentata e monitorata – all’esterno delle strutture da cui dipendono, senza vincoli di esclusiva, si potrebbe quanto meno aiutare il territorio, dove spesso i nostri liberi professionisti sono soli, a migliorare l’assistenza e in qualche modo alleviare la carenza di personale oggi esistente che sta mostrando proprio nella pandemia tutto il suo peso determinante per l’organizzazione dei servizi.
La politica secondo me non vuole “non dare spazio” alla nostra categoria, ma ha difficoltà a farlo proprio per non creare quella crepa nel sistema a cui prima accennavo e perché, proprio in quanto politica, ha paura degli “assalti” di richieste analoghe di altre professioni in cui in realtà non ci sono carenze evidenti e delle quali molte, senza esclusiva, andrebbero verso una privatizzazione eccessiva lasciando scoperti alcuni servizi indubbiamente essenziali nel Ssn per la tutela della salute dei cittadini.

Come sempre è un problema di pesi e contrappesi. Servono soluzioni che non si fermino al riconoscimento solo formale e sulla carta della specificità della nostra professione – e vorrei dire che serve per gli infermieri un’area specifica analoga a quella oggi esistente per la dirigenza -, ma reali e operative. Senza, è difficile che la politica possa fare i passi giusti per il miglioramento dell’assistenza.

Il nuovo Comitato Centrale della FNOPI è rappresentativo di diverse aree culturali, politiche e sindacali del settore Infermieristico. Anche dal punto di vista geografico l’Italia Infermieristica sembra piuttosto rappresentata, con una perfetta rappresentanza tra Nord e Sud, Centro e Isole. Eppure, lei in prima persona è stata accusata da un quotidiano sanitario di non aver rispettato le richieste del Meridione. Come risponde a queste critiche?

Solidarietà alla Presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli per gli attacchi interessati di una rivista sanitaria.

Le critiche fanno parte di un gioco delle parti legato alle ambizioni elettive di singoli che non può essere alimentato o risolto con le polemiche. Come ha sottolineato anche Lei siamo stati attenti a dare a tutti lo stesso spazio e le stesse prerogative, ma far immaginare che la scelta sia stata quella di pochi è ingiusto e poco corretto. Purtroppo, qualcuno forse si aspettava di più e subito, ma le cose sono state decise così e non mi sembra che ci siano falle nell’organizzazione che è stata realizzata.


Rispondere alle critiche sarebbe facile ma alimenterebbe inutili e dannose polemiche. Probabilmente fermandosi a ragionare, le evidenze si possono comprendere da sole, ma non è questo ciò che vuole fare il nuovo Comitato centrale. Quello che c’è da fare è sotto gli occhi di tutti e che si stia già facendo è evidente non solo nelle interlocuzioni con la politica e le istituzioni, ma anche dalla presentazione di emendamenti all’iter dei decreti all’esame del Parlamento su cui la FNOPI sta procedendo del tutto sola, senza supporti. E non per sua scelta, ma per necessità della professione e per il rispetto della professionalità degli iscritti agli ordini.

Lasciamo da parte le polemiche sterili che vogliono dimostrare solo assunti senza basi logiche: tra il dire e il fare davvero non c’è il mare come dice il proverbio, ma la nostra professione, il suo sviluppo, la sua crescita e soprattutto ci sono le persone che negli infermieri cercano supporto, assistenza, che si affidano a noi e non cercano davvero professionisti divisi da polemiche che con la loro salute non ha nulla a che fare.

Parliamo di campagna vaccinale anti-Covid. Gli Infermieri, attraverso la FNOPI, si sono messi a disposizione della Nazione per accelerare i processi di immunizzazione. Eppure, la risposta del Governo sembra essere stata timida (il congelamento del vincolo di esclusività per i dipendenti è sembrato un contentino). Come mai secondo lei noi Infermieri continuiamo ad essere trattati da professionisti di serie B anche in piena Pandemia?

Non lo vedrei come un trattamento di serie B, ma, come accennavo prima, come una mancata comprensione di ciò che realmente è la nostra professione.

Questo accade per un mix di fattori, tra cui l’evidente mancanza di conoscenza dei percorsi assistenziali in cui sono proprio gli infermieri a compiere il percorso più lungo e spesso difficile accanto al paziente. Ma è anche il “velo” che spesso altre professioni stendono sulla nostra, per evitare come accade all’estero, che agli infermieri, se adeguatamente formati e preparati, siano assegnati ruoli e compiti a cui ambiscono in molti.

È vero, ha ragione quando dice che le concessioni fatte alla nostra professione sembrano quasi un “contentino”. Ma in realtà vorrei vederle come un inizio, come il frutto di un lavoro difficile e pesante di interlocuzione con altre istituzioni di cui spesso poco appare all’esterno. Anche quella che è solo la punta dell’iceberg con un risultato che può apparire soft, ha alla base il grosso del lavoro, ben più evidente e pesante che un po’ alla volta deve uscire – e uscirà – allo scoperto.

Ne sono un esempio gli emendamenti che abbiamo fatto presentare in questo giorni al decreto legge Sostegni e che puntano stabilizzare l’allentamento dell’esclusiva non solo legandola all’attività vaccinale e mettono paletti chiari attorno alla nostra professione e alle sue specificità e caratteristiche cliniche, culturali, formative e umane, in modo che non si possano più fare fughe in avanti affidando ruoli o compiti impropri ad altre professioni e non si possa far più finta di nulla rispetto a quelle che sono le caratteristiche e le prerogative della professione infermieristica.

In questo senso stiamo sicuramente assumendo un ruolo di prima linea e di battistrada al quale è inevitabile che altre professioni si vorranno agganciare per sfruttare quella “crepa” che abbiamo creato nel sistema. Quello che vorremmo è non preoccupare chi teme allargamenti eccessivi della “crepa ed evitare che si creino situazioni caotiche che poi rischiano di portare a un nulla di fatto, negativo sicuramente per noi, ma anche per tutti gli altri.

La SIIET ha chiesto, assieme ad altre società scientifiche, la riorganizzazione del Sistema di Emergenza Territoriale, proponendo nuovi ambiti di responsabilità e di manovra per gli Infermieri specialisti ed esperti nell’emergenza-urgenza. La FNOPI come si pone rispetto alla Position Paper presentata nei giorni scorsi dalla Società Italiana Infermieri di Emergenza Territoriale?

SIIET: ecco il Position Paper degli Infermieri di Emergenza Territoriale.

La Fnopi già a suo tempo ha abbracciato una posizione simile e quindi non può che essere soddisfatta perché una Società scientifica delinea gli ambiti corretti, le linee guida, le buone pratiche, di un’attività professionale.

È esattamente il ruolo che all’inizio di questa intervista ho descritto per questo tipo di associazioni. Svolgerlo così fa bene alla professione e ai professionisti. Sarebbe semmai necessario che le nostre società scientifiche fossero ascoltate non solo nel momento in cui vanno definite responsabilità, ma anche sull’organizzazione del lavoro.
Del position SIIET sicuramente il concetto guida è che gli infermieri hanno una sfera di competenza, che non tocca minimamente quella altrui, ma anzi si unisce e deve essere definita una volta per tutte anche ritoccando alcune norme ormai non più attuali e superate dai fatti. Questo è necessario per offrire la migliore assistenza alla cittadinanza.
Una riforma di questa portata, su un argomento così centrale per l’assistenza che deve essere garantita ai cittadini, dovrebbe guardare di più ai loro bisogni, meno ad altre tipologie di interesse che nulla hanno a che vedere con questi; essere il frutto di una totale convergenza di tutti gli attori coinvolti; valorizzare e sistematizzare le innovazioni intercorse negli anni, da quelle professionali a quelle organizzative, anche in alcune realtà regionali; guardare a riferimenti e orientamenti internazionali; essere sempre in linea con le evidenze scientifiche e organizzative disponibili e più aggiornate.
le prestazioni del Sistema 118 non devono essere necessariamente medicalizzate né si può ipotizzare una qualunque penalizzazione di ruolo e di capacità professionale per la figura dell’infermiere. A ciascuno il suo ruolo e la sua professionalità, secondo meccanismi e interazioni virtuose che riconoscano il ruolo, la funzione e la crescita professionale delle famiglie professionali, anche considerando le prerogative proprie delle singole professioni.
Per quanto ci riguarda non vuole esserci alcuna invasione di campo per ciò che attiene compiti e ruoli propri di altre professionalità, ma il giusto e corretto riconoscimento del nostro status giuridico di professionisti sanitari e con le competenze previste dal nostro profilo professionale; perché sostenuto dall’ordinamento giuridico nazionale ed europeo oltre che da linee guida internazionali e da specifici protocolli. Infermieri e medici del servizio di emergenza 118 operano in integrazione e, quando le situazioni evidenziano particolari complessità, in sinergia con i medici dell’emergenza urgenza.
Il position SIIET tutto questo lo articola in una proposta organica che va dalla formazione all’interazione e interoperabilità con le altre professioni.

E ferma restando la disponibilità al confronto e all’interoperabilità dei ruoli della nostra professione, direi che si tratta di un esempio di quella sinergia tra attori della stessa professione che descrivevo prima

Attualmente in Italia la disoccupazione nel campo infermieristico resta prossimo allo zero percentuale. Secondo i dati di AssoCareNews.it, tuttavia, il 12% degli Infermieri è ancora precario ed è in attività soprattutto nel Servizio pubblico con contratti di lavoro a tempo determinato. Da tempo la FNOPI sta chiedendo l’assunzione dei colleghi precari e l’innesto nella professione, attraverso le università italiana, di un maggior numero di colleghi. Anche in questo caso la Politica ha risposto fino a singhiozzo o con misure tampone. Non crede che sia giunto il momento di una seria campagna di sensibilizzazione in materia per convincere il Governo e i Governanti (anche in previsione della Riforma Brunetta) a trovare soluzioni atte a risolvere la questione una volta per tutte?

Quello del precariato non è un problema solo infermieristico, è evidente. E i governi che si sono succeduti negli ultimi anni ne sono stati consapevoli, mettendo spesso all’ordine del giorno politiche e sistemi di stabilizzazione che tuttavia non sempre hanno dato i risultati attesi.

Nella nostra professione sono i numeri che giocano anche un ruolo importante, perché essendo una delle più consistenti e anche giovani direi paradossalmente – perché anche gli infermieri invecchiano – del Pubblico impiego i lavori flessibili (il precariato per dirla in linguaggio sindacale) sono più presenti che in altre professioni.

Il tempo determinato è l’utilizzo più improprio che si fa del personale e, quindi, anche degli infermieri e non c’è dubbio che queste figure vadano stabilizzate secondo regole e scaglioni precisi. Perché se a volte questa forma di contratto può servire a dare lavoro subito a professionisti necessari per l’assistenza, poi questi professionisti che non sono “usa e getta”, vanno stabilizzati e assegnati a compiti e ruoli che altro non fanno se non accrescere la qualità del Servizio sanitario nazionale, soprattutto sul territorio e nell’assistenza ai pazienti più fragili.
Non sappiamo se dopo la prima ci sarà un’altra “riforma Brunetta” vera e propria, ma non c’è dubbio che seguiremo le strade accanto ai sindacati per ridurre questa forma di contrattualizzazione e rendere stabili gli organici infermieristici. Anche in vista della necessità che per gli infermieri si parli di dirigenza e specializzazioni con cui il termine “precario” è dissonante.

C’è un’altra forma di lavoro poi che va rimodulata, il tempo parziale. Va rimodulato perché la nostra professione è a forte prevalenza femminile e il part time è spesso una caratteristica di chi si divide – le donne appunto – tra la gestione della professione e quella della famiglia. Ma non può e non deve restare un modo per non valorizzare appieno (anche economicamente) chi in realtà rappresenta grande parte dell’assistenza erogata.

Anche qui vale il principio di un passo alla volta, è chiaro, ma probabilmente in questo caso è necessario analizzare quali sono i prossimi passi di una revisione della Pubblica Amministrazione che la Funzione Pubblica ha annunciato di voler mettere in atto per potersi inserire ad hoc e interagire nel giusto modo.
La Federazione ovviamente c’è e i passi che andranno fatti, come sempre, si faranno tutti.

Parlando di noi operatori della stampa sanitaria. Oggi i principali quotidiani e blog infermieristici hanno raggiunto quote altissime in termini di lettori e di consensi, con milioni di utenti che ogni mese leggono i contenuti realizzati da varie redazioni. Il successo delle testate non corrisponde però ad un vero riconoscimento da parte della FNOPI, che nel 2019 aveva proposto la costituzione di una apposita Consulta della Stampa di settore. Non crede che sia giunto il momento per rilanciare tale iniziativa anche per regolamentare il settore?

Il problema non è di rilanciare l’iniziativa: come abbiamo avuto modo di dire a suo tempo l’unione fa la forza e proprio perché la stampa di settore ha queste quote molto alte in termini di lettori e consensi, indubbiamente alla professione avrebbe fatto un gran bene che le varie anime potessero avere, almeno per le notizie a carattere nazionale, non ovviamente veline su cui scrivere, ma una forma di coordinamento generale per poter essere utili tutte allo stesso modo alla categoria.

Ripeto: nessuna velina e nessuna intromissione in quella che deve essere libertà di stampa e opinione, ma una visione comunque e concordata delle necessità della professione per non lasciare spazio a fake news o fraintendimenti che al contrario potrebbero nuocerle.

Lo dice lo stesso” Testo unico dei doveri del giornalista” in vigore proprio dal 1° gennaio 2021 che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo (dei giornalisti, n.d.r.) inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.

Massimo rispetto quindi, anche se in molti casi queste regole sono state portate al limite oltre il quale sarebbero disattese. Ma ai diritti si affiancano i doveri, tra cui, appunto, quello di essere veicolo di informazione corretta per chi ha scelto la nostra professione, con indicazioni e principi che su argomenti fondanti non potrebbero e non dovrebbero che essere condivisi.

Purtroppo, però dall’idea iniziale molti si sono discostati e molti addirittura allontanati in modo evidente e così quella che poteva essere un’opportunità si è rivelata un boomerang.

Non si deve e non si vuole regolamentare nulla, è ovvio.

L‘informazione ha e deve avere la sua libertà di espressione, ma quando da questa nascono principi e/o idee che possono modificare l’atteggiamento professionale, una forma di interazione-confronto può essere utile non alla Federazione o alle stesse riviste, ma a chi le legge e ne trae informazione e insegnamento.

Rilanciare un’iniziativa del genere avrebbe sicuramente i suoi lati positivi, ma rischia ancora una volta di scontrarsi con scelte e volontà legate spesso a personalismi che, se esasperati, potrebbero mettere a repentaglio la stessa informazione.

Il Comitato centrale sta portando avanti tra le mille difficoltà che naturalmente si pongono sulla strada di ogni innovazione, numerose iniziative per la professione e se abbiamo coscienza del bene che potrebbe fare alla categoria un’informazione corretta per alcuni versi, per altri, visti gli ostacoli paradossalmente interni da superare, è un’iniziativa ben presente, ma che sta scontando le difficoltà che ho descritto prima ed è rimasta in fondo alla lista.

La Pandemia Covid ha portato molti colleghi ad ammalarsi e a morire. Finora si contano una novantina di decessi tra gli Infermieri. Crede che queste morti si potessero evitare?

Nella prima fase ho già avuto modo di dire che la sorpresa con cui il virus ha colto tutti impreparati nell’affrontare un’emergenza di questo livello con effetti e diffusione che non potevano essere noti a nessuno, ha sicuramente giocato un ruolo predominante. Affiancata poi dalla carenza assoluta e ben nota di indicazioni e linee guida e dall’assenza evidente di buone pratiche, ma, soprattutto, dalla mancanza di dispositivi di protezione individuali che spesso ha fatto la differenza anche tra la vita e la morte dei nostri professionisti.

In questo senso era difficile da evitare, come mostra la sua diffusione pandemica. Ma semmai si poteva contenere meglio se proprio le professioni sanitarie fossero state ascoltate prima e non fossero state sacrificate – soprattutto numericamente – nel nome dell’economia.

Soprattutto sul territorio che si è rivelato il vero “problema nel problema” in particolare legato alle RSA e alle strutture per anziani.

Questo non solo per la carenza in questo caso decisiva di DPI, ma anche di personale.

Probabilmente la pandemia non si sarebbe potuta evitare, ma sicuramente non si sarebbe dovuto correre ai ripari richiamando pensionati, mettendo in campo neolaureati o costituendo task force, sicuramente uliti, ma in corsa per far fronte proprio alla carenza di organici come è avvenuto nella prima fase della pandemia.

Appena l’emergenza sarà terminata si dovrà necessariamente rivedere la consistenza degli organici: prima del COVID, al tavolo dei fabbisogni ogni anno abbiamo chiesto di riservare alle lauree infermieristica circa il 15-20% dei posti in più rispetto a quelli chiesti dalle Regioni (sempre al ribasso prima dell’attuale situazione e solo ora anche loro al rialzo) e a quelli stabiliti dal ministero dell’Università.

Ora dopo l’esperienza COVID appare chiara la richiesta, soprattutto per il territorio dove si sono visti purtroppo gli effetti della mancanza di professionisti in grado di assistere i cittadini ad esempio gli anziani nelle RSA, dove la mortalità con COVD-19 è aumentata quasi del 50% rispetto alle rilevazioni dello stesso periodo dello scorso anno, con una concentrazione maggiore soprattutto al Nord e in particolare in Lombardia ed in Emilia Romagna dove i decessi legati a COVID in queste strutture sono stati nella prima fase – ma per la seconda, prima che arrivasse il vaccino, non va meglio – tra il 54 e il 57 per cento di quelli totali.

Molto si sarebbe potuto evitare quindi, è vero, ma la professionalità e l’abnegazione dei nostri professionisti che non hanno mai lasciato solo nessuno non li hanno fatti certo risparmiare nonostante tutto e i risultati purtroppo sono evidenti: a oggi 85 morti sul lavoro e oltre 109mila contagiati di cui molti sappiamo bene che avranno strascichi seri e sequele anche invalidanti per molto, molto tempo.

Lo sappiamo bene e per questo la FNOPI ha costituito il fondo #noiconglinfermieri che finora ha erogato quasi tre milioni di euro ai nostri colleghi più colpiti e alle famiglie di quelli che non ci sono più. Un fondo importante con il quale la professione aiuta la professione e che nulla ha o può avere a che fare con premi e retribuzioni per l’attività professionale svolta, come alcuni hanno interpretato e invece di manifestare solidarietà hanno mostrato disappunto perché i fondi prendevano quelle destinazioni e non altre.

Ma è bene esserne certi: sarà la volta anche delle retribuzioni e con l’appoggio e l’aiuto dei sindacati il prossimo contratto dovrà essere una base di crescita.

Ora proviamo a guardare al 2021 con serenità e con l’auspicio che possa essere un anno dove ci si possa lasciare alle spalle un problema di salute che ha toccato tutti noi.

Ma nel lasciarselo alle spalle dobbiamo anche imparare molto da ciò che abbiamo vissuto e stiamo ancora, purtroppo, vivendo – e sono certa che noi infermieri abbiamo fatto tesoro dell’esperienza vissuta e che stiamo vivendo -, perché come diceva la nostra fondatrice Florence Nightingale la storia ha sempre qualcosa da dire a chi la vuole ascoltare.

Per concludere come mi sono già espressa in un editoriale alla nostra rivista L’Infermiere e per riassumere un po’ tutto il senso di questa intervista direi con una frase celebre di Albert Einstein “Continua a piantare i tuoi semi, perché non saprai mai quali cresceranno: forse lo faranno tutti”. Noi piantiamo e pianteremo ogni seme necessario e possibile, con la volontà che tutti davvero crescano per la nostra professione, ricordando che “un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio” (Lao Tse, fondatore del Taoismo).

Grazie presidente e buon lavoro.

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Infermieri non solo manager, ma specialisti clinici. Mangiacavalli lo ribadisce ad incontro UIL Fpl.

Dott. Angelo Riky Del Vecchio
Dott. Angelo Riky Del Vecchiohttp://www.angelorikydelvecchio.com
Nato in Puglia, vive e lavora in Puglia, Giornalista, Infermiere e Scrittore. Già direttore responsabile di Nurse24.it, attuale direttore responsabile del quotidiano sanitario nazionale AssoCareNews.it. Ha al suo attivo oltre 15.000 articoli pubblicati su varie testate e 18 volumi editi in cartaceo e in digitale.
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