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Amministratore di sostegno: una risorsa non sempre compresa!

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Amministratore di sostegno: a volte visto come un “ostacolo” ma in realtà è un prezioso alleato!

Il 17 Marzo 2004 è entrata in vigore la Legge 9 gennaio 2004 n. 6 che, nell’apportare modifiche alla disciplina in materia di interdizione e inabilitazione dell’infermo mentale, ha istituito l’amministratore di sostegno. Una figura molto importante, sia negli Enti ospedalieri ma soprattutto nelle Strutture extra-ospedaliere quali RSA e RP.

Purtroppo, ancora oggi è una figura poco valorizzata e bistrattata in quanto non è evidente la reale mansione di supporto dell’Amministratore di Sostegno.

A questo proposito, l’avvocato Andrea Atanasio, facente parte del consiglio direttivo dell’ AGAS (Associazione Genovese Amministratori di Sostegno), risponderà a questi semplici quesiti per renderci più edotti e sciogliendo i dubbi più semplici nei confronti della figura di sostegno a favore dei malati soli e bisognosi.

Cosa è l’ADS?

L’amministrazione di sostegno è un istituto giuridico, introdotto con la legge 9 gennaio 2004 n. 6., redatta principalmente dal Prof Paolo Cendon, ordinario di diritto privato all’Università di Trieste, finalizzato a tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire chiunque si trovi in condizioni di particolare difficoltà e ridotta capacità di autonomia, anche solo temporaneamente.

L’idea di base era appunto quella di avere un nuovo strumento meno invasivo e se vogliamo meno “umiliante” delle vecchie figure dell’interdizione e dell’inabilitazione.

La grande novità è stata appunto quella della duttilità e della modellabilità al caso concreto dei poteri dell’Amministratore di Sostegno e di quello che invece può continuare a fare in autonomia il beneficiario.

Si pensi alle persone più o meno anziane, magari sole, che, pur mantenendo buone capacità di relazione e di comprensione della propria situazione, non sono, per svariati motivi, del tutto autosufficienti, o che trovino delle ovvie difficoltà a districarsi nelle complicazioni burocratiche riguardanti la propria vita quotidiana (pensione, INPS, banche, contratti con badanti, dichiarazioni dei redditi ecc. ecc.).

Si pensi all’invalido che non sia in grado di compiere alcuni atti.

Si pensi al malato psichiatrico che a seguito di adeguata terapia manifesti un buon grado di autonomia.

Tutte queste persone, pur conservando la capacità di agire e di compiere gli atti diretti a soddisfare le esigenze della quotidianità, necessitano di un supporto, l’amministratore di sostegno, che supervisioni e provveda a compiere le azioni necessarie per la gestione dei loro beni in maniera proporzionale a quelli che sono i limiti e le necessità del beneficiario, scongiurando anche che soggetti terzi possano in un qualche modo approfittare delle loro fragilità.

Di base la figura dell’AdS andrebbe cercata nell’ambito famigliare, ma spesso purtroppo accede, che in casi di totale solitudine o in casi di realtà famigliari complesse o disagiate entri in campo la figura dell’AdS “professionista”.

Come viene nominato e quando viene nominato un ADS?

Secondo il combinato degli articoli 406 e 417 del codice civile il ricorso per la nomina dell’Amministratore di Sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado e dagli affini entro il secondo grado e dal pubblico ministero.

Inoltre, i responsabili dei servizi sanitari e sociali, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al Giudice Tutelare ricorso per la nomina di amministratore di sostegno o comunque a darne notizia al pubblico ministero.

A quel punto il Giudice Tutelare provvede alla nomina dell’AdS con decreto motivato immediatamente esecutivo.

Il decreto di apertura dell’Amministrazione di Sostegno (e/o anche l’eventuale chiusura) devono essere comunicati all’Ufficiale di Stato Civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita del beneficiario.

Qual è la mission dell’ Amministratore di Sostegno?

Bisogna fare, innanzi tutto, una distinzione di base, ovvero se l’AdS è un membro della famiglia oppure se l’incarico viene assunto da un professionista.

Nel primo caso, le due figure si vanno ovviamente a sovrapporre; Si pensi, ad esempio, al più classico caso di un figlio che viene nominato AdS del proprio genitore non più totalmente autosufficiente.

Qui la nomina serve semplicemente per una semplificazione delle attività a favore del proprio parente, dando all’Amministratore la titolarità giuridica, che altrimenti non avrebbe, per compiere tutte quelle attività di carattere burocratico amministrativo.

Dalla più semplice come ritirare una raccomandata alla posta, a operare sui conti correnti, al sottoscrivere contratti con eventuali badanti ecc. ecc.

Il tutto lasciando invariato quello che è il rapporto affettivo e parentale.

Nel secondo caso, se da un lato i compiti di carattere amministrativo, sono pressoché gli stessi, l’incarico del Tribunale ad un professionista, presuppone quasi sempre o una situazione di totale solitudine da parte del beneficiario e una situazione famigliare di forte conflittualità interna se non addirittura di percolo per il soggetto.

Il compito dell’AdS è anche quello di protezione del soggetto fragile, nel senso che tutte le decisioni che vengono prese devono essere nel solo ed unico interesse del beneficiario.

In entrambi i casi, sotto il controllo periodico del Giudice Tutelare (che resta il vero elemento di garanzia dell’amministrato), nei confronti del quale l’AdS ha dovere di rendiconto.

Qual è l’attività dell’ AGAS e se sono previste sinergie con altri professionisti in ambito nazionale?

AGAS nasce dall’idea di un gruppo di miei colleghi, che mi permetto di definire “veterani” della materia, che forti dalla profonda esperienza nata dai molti anni di incarichi ricevuti da parte del Tribunale, alcuni di loro addirittura da prima dell’entrata in vigore della legge e quindi da esperienze di incarichi come tutori, decidono di creare l’associazione.

Di base c’è la volontà, da una parte di contribuire il più possibile a creare un livello di professionalità sempre più alto, attraverso l’organizzazione di convegni ed eventi formativi, per tutti quei professionisti che in un qualche modo si vogliono avvicinare ad un settore forse ancora poco conosciuto o a volte sottovalutato, ma nel quale necessitano conoscenze e preparazione ben specifiche; dall’altra la necessità di creare una realtà che possa essere una voce il più uniforme possibile, nel dialogo con tutti gli altri soggetti (Giudice Tutelare, Istituzioni Pubbliche, Servizi sociali, Servizi Sanitari) con i quali l’Ads si trova ad interagire nello svolgimento del suo mandato.

Il suo caso più intricato e quello che le ha dato maggior soddisfazioni?

Sarebbe forse più facile cercare di ricordare i casi semplici. Quando entra in gioco la figura dell’AdS “professionista” è quasi sempre perché la situazione è intricata.

Come ho detto prima, situazioni di solitudine assoluta, grande indigenza o magari al contrario di disponibilità economica accompagnata però da una sopravvenuta incapacità del soggetto nel gestirla correttamente.

Situazioni famigliari o di soggetti terzi che in qualche modo gravitano intorno al soggetto spingendolo a prendere decisioni che non sempre sono nel loro totale interesse.

Il compito diventa quello di mettere ordine e di cercare di creare, attraverso un lavoro di rete in sinergia con la famiglia, i servizi sociali, le istituzioni, una situazione di vita, ovviamente parametrata alle disponibilità del singolo caso, ma sempre e soltanto (scusate se mi ripeto) basato sulle necessità del beneficiario.

I professionisti che vogliono dedicarsi a questo campo, se da una parte, ovviamente, non possono mai scordarsi di essere tali e quindi non perdere di vista le basilari regole deontologiche, devono anche rendersi conto che dall’altra parte c’è un soggetto che comunque presenta delle fragilità e per i quali diventiamo in parte dei punti di riferimento. Dei risvolti umani sono pressoché inevitabili e quando si riescono ad ottenere dei risultati che per un AdS vogliono dire una migliore qualità della vita del proprio assistito non può che esserci soddisfazione.

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