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L’Infermiere e la morte: come affrontare un decesso?

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L'Infermiere e la morte: come affrontare un decesso?

“Siamo infermieri e nessuno ci insegna come affrontare il decesso è scritto nelle teorie, nei libri, ma è totalmente differente.” Citando il dizionario Treccani, la morte è la cessazione di tutte le funzioni vitali, di un uomo, un animale e di qualsiasi organismo vivente o elemento costitutivo di esso.

Chi è infermiere lo sa che la morte farà parte del nostro lavoro, sempre. Allora come approcciarsi è possibile rimanere impassibili davanti a questo evento? 
 
Ho iniziato a lavorare nel settore sanitario nel 2010, ero soccorritore, in ambulanza poi dopo una volta diventato autista di 118 è stato totalmente diverso, era una continua corsa contro il tempo, ogni turno cercavamo di anticipare la morte. 
 
Certe volte eravamo primi ed altre, ahimè secondi, una corsa che nessuno vorrebbe perdere, inizi a maledire il traffico, maledici te stesso perché forse potevi correre di più, ma la verità alla fine del turno era una sola, tu hai provato a correre e a fare del tuo meglio, ma la lei, la morte era già lì ed ha vinto. 
 
Questo è quello che mi ha accompagnato per quasi 6 anni, da autista, prima  e  da infermiere dopo, stando su strada si ha a che fare con molteplici dinamiche, incidenti stradali e domestici, accidenti neurologici, arresti cardiaci, omicidi/suicidi. 
Perché per natura l’anziano finisce i suoi giorni e il giovane continua per i propri, ma quando la natura si capovolge è complicato, diventa tragico quando devi dire ad una mamma che il figlio venticinquenne, non è sopravvissuto all’incidente, aveva il casco, non correva, “colpa” soltanto di una fatalità, il conducente dell’auto non ha segnalato l’intenzione di svoltare… 
 
Chi lavora sul territorio, sa che deve far fronte a molteplici dinamiche e che 1 minuto può fare la differenza, tra la vita e la morte. 
 
Ad Ottobre 2016 ho iniziato a lavorare in Ospedale, in Oncologia di preciso, in quell’anno ho imparato tanto, dal punto di vista clinico, ma ancora di più dal punto di vista umano.
 
Lavorare in Oncologia è un’esperienza strana, perché ti rende felice e triste allo stesso tempo. 
 
Felice perché sai di essere al fianco del paziente che inizierà un percorso duro e lui sa di poter contare su di te; triste perché quando vedi che quel paziente non ce l’ha fatta, ti ripeti che tu c’eri al suo fianco, l’hai supportato, l’hai aiutato, ma il rammarico resta. 
Gabriel García Márquez scrisse:
 
“Ognuno è padrone della propria morte e l’unica cosa che possiamo fare, arrivato il momento è aiutarlo a morire senza paura né dolore.”
 
In questi casi possiamo fare solo questo, accompagnarlo alla fine dei suoi giorni e cercare di alleviare tutte le sue sofferenze.
 
Come accennato prima, l’infermiere si accosta alla morte in ogni circostanza, basti pensare agli infermieri che lavorano, sul territorio, agli infermieri in pronto soccorso, rianimazione e terapia intensiva, sala operatoria, oncologia e anche agli infermieri pediatrici, che lavorano con neonati o bambini, che tante volte non capiscono quello che sta o potrebbe accadere.

Questo carico emotivo, viene sempre superato?

Citando ancora una volta il dizionario Treccani, l’empatia è la capacità di porsi nella situazione dell’altra persona o più esattamente comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro.

L’infermiere è la prima persona che il paziente incontra una volta giunto in ospedale, si noi siamo quelli che vi rompiamo le scatole, con mille domande, le allergie, il consenso e tanto altro ancora 🙂

Essere dotato di empatia, fa si che il rapporto infermiere – paziente, si basi sulla fiducia, il paziente oltre a sapere di aver avanti un professionista, deve sapere anche che noi riusciamo a capire la sua attuale situazione.

Una domanda però sorge spontanea, nel momento in cui quel paziente arriva alla fine dei suoi giorni e noi siamo stati, lì al suo fianco, la nostra empatia può diventare un’arma a doppio taglio?

Per esperienza personale, almeno per me lo è stato, pur sapendo che si stava avviando ad essere un paziente terminale, non lo accetti e ti poni delle domande, domande a cui ovviamente non puoi dare risposte.

Quando si arriva a quel momento, l’unica cosa che possiamo fare e accompagnarlo con dignità e rispetto, principi fondamentali, a mio avviso, della nostra professione.

Come ho scritto all’inizio, siamo infermieri, assistiamo il paziente, rincuoriamo la famiglia, ci mettiamo nei panni loro per capire la situazione e cercare di fare del nostro meglio.
Ma certe volte, certi vestiti, vanno così stretti che possono soffocarti.

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