Nelle ultime settimane il confronto sul tema vaccini si è nuovamente inasprito, tornando di moda dopo aver sopìto come brace a riposo. Gli eventi degli ultimi giorni hanno però riacceso la fiamma generando un vero e proprio incendio.
Il pretesto, tutt’altro che inconsistente, è stato il lancio sul mercato di una nuova versione di una famosa bambola che da generazioni fa giocare i bambini italiani. Solo che in questa versione riveste il ruolo di bambino che si ammala di morbillo e per curarlo basta strofinarlo con una cremina e un panno.
E indovinate un pò? Polemiche, polemiche e polemiche. Supportate da provocazioni, offese ed i soliti toni incivili che caratterizzano il confronto sdoganato dai social networks ma che arriva anche sulla carta stampata.
A prescindere da come si possa pensare in merito, occorre convenire su di un concetto chiave sollevato in questo disputandum: è davvero così pedagogicamente e culturalmente educativo banalizzare lo stato di malattia?
Appare come una piuttosto ovvia verità come le malattie siano cose serie che condizionano il presente e a volte il futuro delle persone e ne possano determinare disabilità o morte. Qualunque esse siano.
Sul tema pro/contro vaccini il carico emotivo sta palesemente condizionando negativamente il raggiungimento di un dialogo che tende a convergere verso una quanto più possibile presa di coscienza comune delle parti. I tentativi ci sono ma troppo spesso vengono travolti dalla rabbia, dall’arroganza, dall’altezzosità. Da quel piedistallo di assoluta verità da cui continuamente qualcuno parla alla folla, senza averne spesso l’autorità. Come il folle che rovescia una cassetta della frutta al mercato e si mette a proclamare passaggi religiosi.
E’ davvero questo il ruolo che vogliamo ricoprire in questo importantissimo confronto?
La stessa misura operativa viene descritta sia come un intervento di sanità pubblica sia come un’imposizione della politica delle lobby. E talvolta se viene applicata poi viene sconfermata da organi giudiziari.
In questo stato di confusione chi ci rimette sono i bambini, tra i soggetti più indifesi e al contempo futuro stesso della società.
Non si può parlare a chi non ascolta, ma la ricerca di una comunicazione sana rappresenta un obbligo morale.