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Il vomito dell’Infermiere e la buona custodia delle responsabilità

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Ecco una breve ma incisiva considerazione di Daniela Pasqua, infermiera e sognatrice.

Il vomito. Sono tre giorni che apro il social network e leggo di questa vicenda del vomito. Schieramenti, linciaggi. Mi pare grottesco, ai limiti del surreale. Mi pare un urlo straziato che ognuno lancia da dietro una trincea.

La questione ha le dimensioni della punta di uno stelo d’erba laddove le problematiche che riguardano la nostra professione e la sostenibilità del nostro sistema sanitario hanno l’imponenza della volta celeste.

Una cosa la so. Se vogliamo professionisti che sappiano ragionare per prove di efficacia e lavorare autonomamente invece che per “si è sempre fatto così” bisogna che il cambiamento esca da dietro le scrivanie (dove fa la polvere!) e raggiunga i luoghi di lavoro. Là dove il gesto è importante. Dove la professione si fa opera concreta e non elucubrazione mentale.

Abbiamo una professione divisa tra lavoratori solerti – spesso prostrati, altre volte inconsapevoli dell’essere intellettuali, disorientati e disgiunti – e un’élite concentrata sul propinare riflessioni a bassa voce, incapaci di incidere il reale, di farsi veicolo di cambiamento, autoreferenziali.

Siamo disuniti perché estremamente eterogenei nelle fondamenta, nella formazione, nello spirito, nella motivazione (o non motivazione).

Come si fa? La convinzione non deve farsi urlo né insulto, mai.

La ricerca della propria identità non deve ledere chi già sta male: la grinta e la tenacia sanno trovare strade estremamente coraggiose e incisive, rispettose di sé e degli altri (anche se non sempre condivise!).

Ma soprattutto, da soli non si va da nessuna parte.

Le parole non devono restare inchiostro, arizogogolate teorie, né proclami ai convegni, ma avere la forza e il carisma di trovare la strada delle corsie e degli ambulatori.

Questo significa che chi sta ai vertici deve fisicamente trovare la stessa strada – tanto per essere chiari. Tornare ad ascoltare tutti senza limitarsi a risolvere il contingente per coltivare, invece, una visione che sappia costruirsi giorno dopo giorno.

Nelle piccole e grandi realtà. Chi guida deve prendere per mano quanti sono già stanchi e provati da una professione che richiede grande investimento fisico, emotivo, psicologico, umano. Ed etico.

Per concludere: ognuno sia custode della propria responsabilità e contribuirà in tal modo alla crescita di tutti.

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