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Il declino dell’empatia: un fenomeno inevitabile?

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Infermieri, OSS e Professionisti sanitari: la relazione di cura moderna porta forzatamente ad un distacco? Possibile evitarlo?

Ci accorgiamo di essere diventati muti di fronte alla sofferenza delle persone che assistiamo, quando, dentro al nostro “camice-corazza”, ben protetti seppur al freddo, ci sembra di udire come lontani e ovattati i suoni all’esterno. Creiamo una distanza: la nostra difesa e la nostra stessa distruzione.

Le professioni sanitarie incorro in questo rischio, lo dicono gli studiosi: più accumuliamo anni di esperienza più i nostri livelli di empatia decrescono. Mettiamo alla prova la nostra capacità innata di metterci nei panni dell’altro; quella stessa capacità che sembra in qualche modo aver influenzato la nostra scelta professionale. La mettiamo talmente alla prova che piano piano decresce, involve, si coagula quasi ad essere satura di tanta sofferenza assistita.

Questa condensazione empatica con cui crediamo di difenderci dal coinvolgimento emotivo, dall’esaurimento psicofisico, dal burnout, in verità ne diviene un prerequisito, nonché sintomo e conseguenza.

Quando l’empatia si riduce, la comunicazione diventa tecnica, le relazioni difficili, il rapporto con il paziente diviene superficiale: chi vive questa situazione sente venir meno il proprio senso di efficacia e di realizzazione professionale; aumentano lo stress, la demotivazione ed il turn over lavorativo.

Prendersi cura del paziente comporta un continuo contatto con la sofferenza, la malattia, la morte, con situazioni caratterizzate da emozioni intense e da relazioni interpersonali difficili e complesse. Per questo la professione infermieristica è riconosciuta come una delle professioni ad elevato “lavoro emozionale”, definito come lo sforzo, la pianificazione, il controllo necessari al professionista per esprimere le emozioni che sono considerate appropriate alla situazione che sta vivendo, di fronte alla quale se non preparato e supportato, può mettere in atto strategie di risposta disfunzionali ed inefficaci.

Quanto spesso l’infermiere si trova a manifestare emozioni non autentiche per cercare di aderire alle aspettative nei suoi confronti? In un lavoro di Zamperini et all. sono stati individuate e classificate diverse situazioni in cui l’infermiere si trova a sperimentare una certa dissonanza emotiva, ossia l’incongruenza tra i sentimenti provati e quelli che deve manifestare dato il ruolo che occupa. Queste circostanze sono state definite “incidenti emozionali” e sembrano coincidere con situazioni di end of life, di morte del paziente, eventi imprevisti (emergenze, complicazioni), manifestazioni di diffidenza e arroganza da parte degli assistiti, immedesimazione con le situazioni di sofferenza dell’altro, così come situazioni di lavoro stressanti e tensione con i colleghi.

L’infermiere impara a mascherare ciò che prova in condizioni di emergenza in cui la propria ansia andrebbe a compromettere l’obiettività necessaria e la capacità di giudizio, nei momenti di sofferenza e tristezza in cui il suo compito è incoraggiare e dare speranza, nella gestione di relazioni difficili in cui deve dimostrare rispetto e accettazione della persona che sta assistendo.

Ci si chiede quali siano le strategie con cui egli gestisce le proprie emozioni e quelle dei pazienti, nei momenti di difficoltà che sono parte inevitabile della malattia e della cura.

Possiamo distinguere una modalità definita di superfice, surface acting, in cui egli tenta di mascherare l’emozione che sta provando, cambiando l’espressione del viso, la postura, il tono della voce, in modo da adeguarsi alle aspettative e al ruolo che ricopre. Esiste inoltre una modalità profonda, definita deep acting, in cui egli previene l’emozione che ritiene essere poco adatta alla situazione, modificandola in una più appropriata.
Nel primo caso, ad esempio, continua a provare un senso di stanchezza ed impotenza, ma esprime un’emozione positiva di accoglienza ed incoraggiamento; nel secondo caso tenta invece di far ricorso alle esperienze passate e alle sue competenze, intervenendo prima che l’emozione negativa abbia il sopravvento trasformandola in una positiva.

Alcuni studi hanno evidenziato che la modalità di superfice, surface acting, è quella che viene messa in atto con più frequenza e la dissonanza emotiva che ne consegue (differenza tra emozione provata e emozione espressa) sembra aumentare i livelli di stress e, a lungo termine, il rischio di esaurimento emotivo e depersonalizzazione.

Tuttavia alcuni autori considerano il lavoro emozionale un costrutto multi-componenziale in cui intervengono anche altre strategie oltre a quelle sopra citate.

Mettere in atto strategie funzionali ed efficaci per gestire il lavoro emozionale, richiede all’infermiere consapevolezza emotiva e capacità empatica. Un approccio empatico è quindi di fondamentale importanza per la professione infermieristica.

L’empatia è riconosciuta da un numero crescente di autori come un processo multidimensionale che coinvolge dimensioni affettive, morali, cognitive, relazionali e comportamentali; essa migliora le relazioni interpersonali, il benessere, la soddisfazione e la compliance del paziente, e ha effetti positivi anche sulla salute del professionista.

Educare all’empatia è possibile: si tratta infatti di una capacità innata che può aumentare con l’esperienza e la formazione specifica. Le attività formative volte a promuoverne lo sviluppo possono essere utili, non solo per contrastare il suo normale declino legato all’età anagrafica e professionale, ma anche per ridurre lo sviluppo del burnout che rende i professionisti meno sensibili ai bisogni del paziente, e più vulnerabili alle malattie legate allo stress.

Alcuni studi evidenziano una correlazione negativa tra burnout ed empatia, suggerendo una relazione diretta tra queste due condizioni psicologiche e confermando che il burnout è connotato da un declino della capacità empatica e che, a sua volta, la scarsa capacità empatica rende le persone più vulnerabili al burnout.

Continuare a sottovalutare l’impatto che il “lavoro emozionale” ha sul professionista, favorire una cultura organizzativa che esorta i sanitari a nascondere e reprimere le proprie emozioni, anziché sostenerli ed educarli a gestirle in modo efficace, continuare a considerare la capacità di prendersi cura come una caratteristica implicita e scontata, contribuirà a rendere il declino dell’empatia nei professionisti sanitari un fenomeno inevitabile, con conseguenze negative sui livelli di professionalità e sulla qualità delle cure.

È più che mai necessario effettuare un cambiamento di prospettiva, al fine di riconoscere l’importanza, la necessità e l’urgenza di iniziare a prendersi cura di chi cura.

Bibliografia

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