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venerdì, Marzo 29, 2024
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Infermieri, Oss e Professionisti Sanitari: litigate coi colleghi? Rischiate licenziamento!

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Infermieri, Oss e Professionisti Sanitari: litigare coi colleghi? Rischiate licenziamento!

Anche se avete ragione cercate di stare attenti a non litigare con i vostri colleghi Infermieri, Operatori Socio Sanitari e altri Professionisti della Salute, perché rischiate il licenziamento per giusta causa. Se al litigio si aggiungono urla, spintoni e aggressioni verbali e scritte (anche sui social) il gioco è fatto: vi potete ritenere già a casa con ammonimenti, sospensioni e nei casi più gravi allontanamento dal mondo del lavoro.

Qui di seguito riportiamo un servizio apparso tempo fa su “La Legge per tutti” e ci permette di fare chiarezza su un ambito che spesso è sottovalutato. Ovviamente quanto staremo per leggere vale anche in caso di litigio con i Pazienti, i loro Familiari e ovviamente con i vostri superiori.

Prima regola: evitate di litigare!

In azienda si sta “stretti”. Quando si vive in contatto diretto e quotidiano, quando si condividono luoghi, incarichi, fatiche e responsabilità, si finisce sempre per litigare. Anche quando si tratta di un semplice bisticcio, il confronto è inevitabile. Sono davvero pochi i fortunati lavoratori che possono dire di essere andati d’accordo con i vari colleghi incontrati nel corso della propria carriera professionale. Ora, se il litigio si consuma all’interno della stanza e lì si chiude, probabilmente le conseguenze le avverte solo il fegato. Ma quando le urla si sentono nei corridoi e magari proprio in quel momento sta passando il direttore del personale o lo stesso datore di lavoro, allora possono essere guai seri. Già, perché non solo in caso di insubordinazione e di offese al capo si piange, ma anche di litigi, insulti e risse tra colleghi di lavoro.

Quali sanzioni sono previste in questi casi dalla legge?

La legge c’entra poco, in realtà: è più la giurisprudenza a ritenere licenziabile chi si macchia di gravi conflitti nell’ambiente di lavoro. E ciò non tanto per il tempo e le energie che si sottraggono alle mansioni quotidiane quando per il fatto che, chi vive in azienda, deve avere a cuore solo il bene dell’azienda stessa e non il proprio orgoglio. 

Una recente ordinanza della Cassazione si occupa proprio di questo tema [1] ed è per noi lo spunto per tornare su un argomento sempre attuale. In realtà, se gironzoli su internet e digiti “litigi, insulti e risse tra colleghi di lavoro: quali sanzioni?” ti accorgerai di pronunce tra loro apparentemente contrastati. Alcune sentenze hanno dichiarato legittimo il licenziamento del dipendente irabondo e collerico; altre invece hanno sostenuto che la sanzione espulsiva è eccessiva. In realtà, il principio applicato è sempre lo stesso; a variare sono le vicende concrete e l’intensità dell’alterco. Ma procediamo con ordine e vediamo qual è l’indirizzo della giurisprudenza in merito.

Secondo la recente pronuncia della Cassazione [1] si può licenziare il dipendente che discute con il collega e lo aggredisce per futili motivi. La sanzione espulsiva è proporzionata alla condotta del lavoratore che non si attiene alle «regole del vivere civile». Nel caso di specie, un dipendente era stato incastrato dalla testimonianza diretta di un teste che aveva confermato l’aggressione fisica ai danni di una collega. Inevitabile il licenziamento considerata «l’incapacità di autocontrollo mostrata dal lavoratore a fronte dell’ambiente in cui si trovava, della persona con la quale era venuto a diverbio (nel caso di specie si era trattato di un uomo contro una donna), delle futili ragioni che lo muovevano. Tutte valutazioni che inducono il datore a dubitare sul futuro rispetto della disciplina aziendale e delle regole del vivere civile da parte del responsabile.

In un altro precedente la Suprema Corte [2] ha escluso la giusta causa di licenziamento nel litigio verbale tra colleghi, per quanto aspro. Nel caso di specie, infatti, si era trattata di una baruffa di pochi minuti; l’episodio non lasciava presagire ulteriori sviluppi e la successiva riconciliazione dei lavoratori non consentiva un pronostico negativo sul loro comportamento futuro sul lavoro.

In un’altra occasione i giudici hanno affrontato il caso di una dipendente che, dopo il litigio con una collega, aveva sbattuto la porta e aveva abbandonato il posto di lavoro. Secondo la sentenza [3], non scatta il licenziamento se la lavoratrice, in seguito ad un alterco con la compagna di ufficio, abbandona improvvisamente il luogo di lavoro a patto che, nell’immediato, comunichi al datore le ragioni di tale gesto e sempre che l’allontanamento in sé non comporti alcun rischio per l’azienda (nella specie, la Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento intimato ad una donna che lavorava come aiutante di cucina in una scuola e che, a causa di una tensione con la cuoca che l’aveva ripresa sulle pulizie, aveva lasciato il posto di lavoro. La donna, però, dopo poco aveva inviato un fax alla società datrice per spiegare il motivo del suo allontanamento).

Per quanto attiene alla rissa tra colleghi, la Cassazione ha detto [4] che, ai fini dell’integrazione della giusta causa del licenziamento, diventa importante stabilire se vi è stato consensuale passaggio alle vie di fatto, oppure se una parte è stata responsabile del litigio e dello sbocco violento dello stesso. Peraltro i contratti collettivi nazionali spesso prevedono la rissa come causa di licenziamento o di sanzioni disciplinari meno gravi.

In tema di licenziamento per giusta causa, è eccessivo parlare di rissa tra lavoratori allorchè il contatto fisico si sia limitato ad una spallata, senza conseguenze sull’equilibrio fisico della persona colpita, e senza alcun turbamento nell’attività lavorativa [5].

La violenza lede sempre chi se ne fa attore

Le violenze tra colleghi sono valutate negativamente anche quando sono fuori dal lavoro. La Corte, a riguardo, si è trovata ad affrontare il caso di un dipendente che, durante uno sciopero aveva impedito ai colleghi di lavorare. in tema di licenziamento per giusta causa – dice la sentenza [6] – la mancanza del lavoratore deve essere tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva e, pertanto, il comportamento del prestatore va valutato non solo nel suo contenuto oggettivo – con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate – ma anche nella sua portata soggettiva, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente. Ne consegue che la condotta del lavoratore, il quale, in occasione di uno sciopero, abbia cercato di impedire l’accesso ai locali dell’azienda da parte di un altro lavoratore, strattonandolo e facendolo arretrare, senza, tuttavia, giungere al compimento di atti di violenza fisica o di percosse, pur costituendo un illecito non integra i requisiti di gravità idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro e a giustificare l’irrogazione della massima sanzione, tanto più ove rilevi, sotto il profilo intenzionale, lo stato di elevata tensione delle relazioni sindacali al momento dei fatti, nonché, quanto all’apparato sanzionatorio stabilito dal c.c.n.l. applicabile (nella specie, l’art. 25 del c.c.n.l. dei metalmeccanici), la previsione del licenziamento per infrazioni connotate da superiori livelli di gravità, quali la rissa in azienda ovvero il danneggiamento volontario del materiale aziendale.

Note

  • [1] Cass. ord. n. 19458/18 del 20.07.2018.
  • [2] Cass. sent. n. 8737/2010.
  • [3] Cass. sent. n. 20846/2009.
  • [4] Cass. sent. 8710/2017.
  • [5] Cass. sent. n. 2830/2016.
  • [6] Cass. sent. n. 7518/2010.
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