Dopo il “caso Lecce” ora le Aziende sanitarie pubbliche e private si mettono ai ripari e chiedono agli Operatori Socio Sanitari di produrre documentazione valida che attesti una preparazione regolarmente riconosciuta.
E’ caos in tutta Italia dopo lo scandalo di Lecce che ha prodotto una apposita indagine da parte della magistratura e un probabile rinvio a giudizio per i detentori di un istituto di formazione che rilasciava presunti attestati fasulli da OSS. Ora le aziende sanitarie pubbliche e private si vogliono mettere al sicuro e in mancanza di un “albo” o “elenco” nazionale degli Operatori Socio Sanitari (ormai necessario) hanno iniziato a chiedere ai loro dipendenti certificazioni e attestati di frequenza, di tirocinio e di attestazione delle competenze acquisite.
Questo succede dal Nord al Sud, passando per il Centro e per le isole. Le stesse aziende sono nervose, perché aver assunto degli OSS che tali non sono e senza preventivamente verificarne i requisiti si traduce in un vero e proprio reato penale (sia da parte del datore di lavoro per omesso controllo, sia da parte del presunto OSS per dichiarazione mendace).
L’unico modo per uscirne tutti puliti è quello di auto-verificare il reale possesso del titolo e di non aver dichiarato, pertanto, cose false, anche se in buona fede come accaduto all’Operatrice Socio Sanitaria leccese, che poi ha perso il lavoro.
OSS licenziata perché il suo diploma era falso. Nasce indagine della Procura.
Le aziende, per finire, si stanno dotando anche di servizi di investigazione privata per verificare la correttezza dei diplomi consegnati. Questo perché non tutti gli istituti formativi, diciamocela tutta, sono abilitati a rilasciare diplomi riconosciuti dalla Regione di appartenenza.
Per finire non dimentichiamoci di chi il diploma da OSS se l’è proprio comprato, senza mai effettuare un solo giorno di lezione o di tirocinio. Ma questa è un’altra storia.