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Medico escluso da corso formazione, al professionista il primo round davanti al TAR.

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La Regione Emilia-Romagna perde il “primo round” al Tar contro una dottoressa che si è vista rifiutare dall’ente la possibilità di partecipare alla procedura di ammissione al “corso triennale di formazione specifica in medicina generale 2022/2025”.

Il motivo? Aveva ottenuto “l’idoneità” necessaria nelle Marche e non, come stabilito dalla procedura concorsuale, in Emilia-Romagna.

L’avviso pubblico

emesso dalla Regione, inoltre, prevedeva l’incompatibilità tra la frequenza del corso di formazione e lo svolgimento di attività libero professionale, come nel caso dell’esclusa.

La professionista

si è quindi rivolta alla giustizia amministrativa per far valere le sue ragioni, chiedendo “un risarcimento del danno per equivalente monetario, conseguente all’eventuale inersercitabilità del diritto iscrittivo e partecipativo alla selezione per l’ammissione al corso triennale” e lamentando una violazione del suo diritto “di scelta del percorso di studio da seguire quale concreta espressione del diritto allo studio costituzionalmente tutelato”.

La seconda sezione del Tar

di Bologna ha esaminato la questione il 28 febbraio scorso, accogliendo in via cautelare il ricorso presentato dal medico (ammessa quindi con riserva alla procedura di ammissione) e rinviato l’udienza per la trattazione nel merito al prossimo 23 novembre.

Per i giudici

tuttavia “sussiste la probabilità di un esito favorevole della causa”, in quanto “vi è contrasto tra la previsione dell’avviso impugnato che ammette al corso coloro che abbiano ottenuto la idoneità al concorso per l’ammissione solo se conseguita nella regione Emilia-Romagna e la normativa statale di riferimento o che non prevede detta limitazione territoriale”.

Inoltre

“vi è contrasto tra la previsione dell’avviso impugnato che prevede l’incompatibilità con lo svolgimento di attività professionale e la normativa statale che, invece, consente lo svolgimento di tale attività, ove compatibile con gli obblighi formativi e la frequenza al corso e, in particolare, ammette gli incarichi convenzionali di cui all’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale”.

Il Tar

ritiene infine fondate le doglianze della ricorrente sul “pregiudizio grave ed irreparabile che deriverebbe dalla mancata partecipazione al corso e dal mancato svolgimento dell’attività professionale”.

Pertanto

in questa fase la Regione, risultata soccombente, è stata condannata a al pagamento delle spese legali (2.000 euro) alla controparte.

SNAMI: INACCETTABILE CHE MEDICO VADA AL TAR PER LAVORARE. PIERALLI: MANCA PERSONALE, MA LA REGIONE COMPLICA ASSUNZIONI

La vicenda della dottoressa esclusa dal corso di formazione per medici di medicina generale della Regione, e che ha fatto ricorso al Tar vincendo il primo round contro l’ente, non sorprende lo Snami, il sindacato nazionale autonomo dei medici italiani.

Abbiamo seguito diversi casi

e rappresentato più volte in ambito regionale queste problematiche- conferma il presidente del sindacato dell’Emilia-Romagna Roberto Pieralli parlando alla Dire- purtroppo ad oggi senza che gli uffici cambiassero atteggiamento in assenza di un provvedimento della magistratura come avvenuto in questo caso”.

Con riferimento alla professionista che ha fatto ricorso

(aveva conseguito i titoli per partecipare alla prova di ammissione al corso in un’altra regione ma il bando regionale non lo prevedeva, ndr), Pieralli osserva: “Viviamo in un clima nel quale se da un lato mancano i medici, dall’altro si vive una continua lotta dei giovani medici che vorrebbero lavorare nel servizio sanitario nazionale contro l’amministrazione, che viene percepita come ostile e creatrice di inutili ostacoli e problemi”.

Più in concreto

“Pare normale che un medico ‘migrante’ e vincitore di un concorso in una regione limitrofa e pienamente in possesso dei requisiti richiesti dalla legge statale debba fare causa alla regione in cui vive e lavora già perché gli risponde che sarebbe opportuno tornasse a fare il concorso a casa sua? Non servono ulteriori commenti“, dice Pieralli.

Il primo verdetto del Tar

che ha accolto in via cautelare il ricorso della professionista, d’altronde “non è che l’ennesimo di una lunga serie che negli scorsi anni hanno messo in luce la politica gestionale degli uffici amministrativi della sanità territoriale delle Regioni, ricordandoci che l’Emilia-Romagna è comunque un punto di riferimento e capofila della conferenza della regioni nell’ambito salute”, continua il presidente dello Snami.

Che ricorda

“Già nel 2018, quando il ministro Giulia Grillo attuò una serie di riforme tra cui I provvedimenti utili ad ammettere in sovrannumero 2.000 medici ogni anno tra quelli che giocoforza pur senza titoli erano stati dalle regioni incaricati di svolgere le attività di medicina generale, la stessa conferenza con un provvedimento poi più volte contestato dai giudici amministrativi aveva ridotto i posti da 2.000 a 666 andando a peggiorare la carenza di medici di medicina generale che il provvedimento dell’allora ministro aveva inteso prevenire ed attenuare”.

Inoltre

“sebbene quella drastica riduzione di oltre due terzi dei posti fu contestata dai tribunali per i medici che decisero di ricorrere contro questo calo, le regioni scelsero anche- Emilia-Romagna capofila- di applicare criteri più restrittivi di quelli logicamente previsti dalla norma statale, per il rischio a detta di alcuni funzionari, di dover controllare troppe domande di ammissione per diventare medico di famiglia da parte di partecipanti che avevano avuto l’idoneità al concorso in una regione diversa”.

Secondo Pieralli

“è ovviamente un comportamento inaccettabile che ha visto i bandi di ammissione modificati rispetto alla previsione normativa che ha limitato la partecipazione di molti medici potenzialmente aventi diritto secondo la normativa nazionale e consentendo l’ammissione solo di coloro che hanno deciso di spendere tempo e soldi per portare in causa l’amministrazione regionale, ripetutamente soccombente in tribunale come testimoniato anche da questo provvedimento della giustizia amministrativa”.

Le amministrazioni regionali

evidenzia ancora lo Snami, “scelsero inoltre di applicare a questi medici anche un costo aggiuntivo, non assegnando borse di studio e sancendo l’incompatibilità di fare il medico di medicina generale con l’attività professionale prevista per chi aveva una regolare retribuzione (pur inaccettabilmente bassa ed inadeguata)”.

Con il risultato

conclude Pieralli, “che anche in questo caso gli svariati medici che pur avrebbero voluto svolgere l’attività di medicina generale hanno desistito perché l’unica modalità sarebbe stata quella di trascinare in tribunale la Regione e, come è avvenuto per chi lo ha fatto, vedersi riconosciuto il diritto di lavorare e di mantenersi”.

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