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I medici ormai vittime di una soffocante burocrazia, con turni di lavoro massacranti e insufficienti gratificazioni.

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I medici piemontesi vittime di una soffocante burocrazia, con turni di lavoro massacranti e insufficienti gratificazioni. In tanti pensano alla pensione anticipata o alla libera professione.

MA SINO A QUANDO E A CHE PREZZO?

Non chiamateli eroi, ma delusi si: delusi dalle aspettative, rispetto all’inizio della carriera; delusi dal dividersi giornalmente tra atti amministrativi e pazienti; stanchi di svolgere una professione che non offre riconoscimenti, né economici né di carriera e al tempo stesso mette tanta pressione addosso, con orari settimanali che, rispetto alla media nazionale, superano ampiamente quanto legittimato dal contratto di lavoro

Nonostante questo non abdicano

La missione rimane quella di essere, prima ancora di fare, il medico.

Quella che è cambiata, anche tra i camici bianchi, è la percezione del sistema sanitario pubblico, ospedali disorganizzati, talvolta poco sicuri e per nulla concentrati sulla valorizzazione del proprio personale.

E allora in molti accarezzano l’idea della libera professione o di tentare fortuna all’estero.

Questo è quanto emerge da un’indagine nazionale promossa dalla Federazione Cimo-Fesmed e localizzata poi in una delle regioni con più iscritti, il Piemonte, i cui medici sono stati tra quelli più attivi nel rispondere al sondaggio.

Per la Cimo piemontese i dati regionali che emergono sono preoccupanti, servono interventi urgenti per riequilibrare quel rapporto personale medico-paziente, oggi messo fortemente a rischio

La sottile linea tra la realtà e l’illusione

Molti si ricorderanno di Blow-up, celebre pellicola di Michelangelo Antonioni che si interroga su come arrivare alla vera natura della realtà.

Bene, seppur in epoche e modalità differenti, anche i medici italiani si sono interrogati rispetto all’evoluzione della propria professione, dai sogni di inizio carriera al realismo quotidiano.

Dalla ricerca CIMO-FESMED condotta su un campione di oltre 4 mila sanitari che operano su tutto il territorio nazionale, emergono dati e proiezioni piuttosto preoccupanti anche su una delle regioni con il più alto numero di iscritti al sindacato: il Piemonte.

I camici bianchi piemontesi infatti, tra i più numerosi e proattivi nel rispondere ai quesiti, hanno messo in rilievo quanto oggi sia complesso svolgere la professione medica all’interno di strutture sanitarie pubbliche regionali.

Su 367 medici interpellati quasi l’83% ha dichiarato di essere vittima della burocrazia, troppi atti amministrativi da compilare e gestire, questo a scapito dell’ascolto e del tempo da dedicare ai pazienti.

Turni massacranti, più del 53% dei medici che operano in strutture piemontesi arriva a coprire turni per un totale di 48 ore settimanali, in molti addirittura li superano, nonostante l’orario di lavoro, da contratto, sia di 38 ore.

Record in negativo anche per i giorni di ferie non goduti: più del 48% è in credito considerando la forbice 51 e 100 giorni, la media nazionale si attesta al 22%.

E poi ci sono le aspettative disilluse

Se ad inizio carriera il sanitario piemontese credeva fermamente nella professione, puntando ad avanzamenti di carriera e crescita retributiva, oggi il medico affermato che opera in ospedale ha raggiunto un livello di insoddisfazione tale che il desiderio di andare in pensione, per chi rientra nei parametri, aumenta notevolmente; altri, e tra questi molti giovani, pensano di lasciare il “posto fisso pubblico” per intraprendere la libera professione o addirittura emigrare all’estero.

Ma un tratto comune, tra il dato nazionale e quello regionale, riguarda il senso di appartenenza alla professione: quasi il 75% dei medici che operano negli ospedali del Piemonte desidera continuare ad essere a fare il medico.

Questo è un dato confortante, nonostante la precarietà di molte strutture, la carenza di personale, la retribuzione non in linea con i carichi di lavoro, il problema della sicurezza individuale, soprattutto nei pronto soccorso, il tutto amplificato da una pandemia che ha mostrato tutti i limiti del servizio sanitario, nazionale e locale.

Proprio in merito all’emergenza pandemica quasi il 72% dei sanitari locali sta pagando in prima persona il forte stress psico-fisico accumulato in due anni di vero crash-test da covid-19, con ricadute sul modo di lavorare e sul rapporto con le proprie famiglie.

Possiamo quindi dire analizzando i dati racconti che anche in Piemonte, come nel resto del Paese, l’attaccamento al camice è fuori discussione.

È tutto il resto che porta sempre più medici dipendenti del SSN a cercare nuove opportunità lavorative. Il pericolo è una sperequazione in termini di accesso e fruizione dei servizi di sanità pubblica, con pazienti costretti a scegliere di curarsi in strutture private.

“Il Piemonte dal punto di vista sanitario è lo specchio del Paese – sostiene il Segretario di Cimo Piemonte, Sebastiano Cavalli – ci sono problemi irrisolti che oggi, anche a causa della pandemia, si sono ingigantiti, rendendo la nostra professione difficoltosa.

Occorrono maggiori tutele

Un riordino organizzativo che consenta a noi medici di diminuire il tempo perso a causa della burocrazia, dedicandoci ai pazienti, dall’urgenza, al decorso e al post decorso.

Come evidenziato anche nel documento programmatico elaborato nei mesi scorsi dalla nostra delegazione regionale e condiviso in sede di commissione sanità e con tutte le forze politiche piemontesi, in tutte le strutture regionali servono interventi più o meno importanti di edilizia sanitaria e di riorganizzazione ospedaliera, con una rimodulazione ragionata e permanente dei reparti.

Occorre tutelare tutti i sanitari, sia rispetto alla loro quotidiana attività, sia dal punto di vista contrattuale, riequilibrando il monte ore con le retribuzioni.

In sostanza è necessario che le istituzioni regionali si facciano carico dei problemi e disegnino una nuova agenda sanitaria locale, focalizzata sul miglioramento dell’assistenza territoriale e su un’innovativa e competitiva riforma dell’organizzazione ospedaliera”.

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