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Fragilità e malattie cronico-degenerative: l’importanza di una approccio multidimensionale alle patologie.

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Le fragilità e le malattie cronico-degenerative possono essere combattute grazie all’approccio multidimensionale alle patologie.

La geriatria è un ambito di cura complesso, che richiede il contributo di diverse figure professionali. Le competenze in Italia ci sono, ma occorrono modelli organizzativi efficaci per metterle in rete. Sintesi dell’intervento della dott.ssa Renata Marinello responsabile dell’UOS di Ospedalizzazione a domicilio, UOC di Geriatria e MMO, Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino.

In ambito geriatrico, le malattie croniche sono certamente il gruppo di problemi clinici più arduo da affrontare, poiché consumano la maggior parte delle risorse sanitarie. Le statistiche mostrano che, dopo i 65 anni, le persone che hanno almeno una patologia cronica sono oltre il 60% e questa percentuale è destinata ad aumentare in modo progressivo via via che si va avanti con gli anni. La questione sul tavolo è: come affrontarle? E soprattutto: con quale strategia? Il dato cruciale è che raramente un paziente è affetto da una sola patologia cronica: spesso ne ha due o più, e questo pone un grosso problema dal punto di vista del trattamento, inteso sia come terapia farmacologica sia come insieme di indicazioni sugli stili di vita più adeguati da seguire. Per le singole patologie croniche ci sono linee guida studiate ad hoc, che semplificano e omogeneizzano l’approccio clinico, cercando quindi di garantire la migliore risposta. Il problema è che se si applicano più linee guida su diverse patologie, facendo semplicemente la somma dei vari trattamenti delle stile di vita in uno stesso individuo, si rischia di sovra-trattare il paziente.

Occorre sottolineare, inoltre, che le indicazioni delle lineesu popolazioni molto ampie che però sono anche omogenee per patologia, mentre ciò che caratterizza il paziente anziano è l’assoluta disomogeneità di ogni paziente, che si presenta al clinico come un puzzle, un mosaico unico di problemi che concorrono a determinarne la fragilità. Non solo le patologie croniche stesse, ma anche la dipendenza funzionale che ne può derivare e il decadimento cognitivo che spesso si sovrappone marcano fortemente lo stato di salute dell’individuo. Di conseguenza, è assolutamente indispensabile trovare innanzitutto adeguate strategie di valutazione dei pazienti, al fine di stabilire un percorso terapeutico di tipo farmacologico ma non solo, perché molti disturbi che condizionano la vita dell’anziano traggono maggiore beneficio da altri tipi di trattamenti. Emblematico è il caso dell’osteoartrosi, in cui gli antidolorifici sono sicuramente fondamentali, ma i migliori risultati in termini di controllo del dolore e di miglioramento funzionale si ottengono, com’è stato dimostrato, con terapie non farmacologiche diverse, che vanno dall’agopuntura allo yoga, dalla riflessologia plantare alla ginnastica dolce.

Lo stesso vale per i disturbi comportamentali nel declino cognitivo: esistono farmaci per controllare sintomi quali l’agitazione, l’apatia, l’aggressività o le allucinazioni. Tuttavia, questi sintomi sono meglio controllati da una terapia ambientale, basata sull’adattamento dell’ambiente ai disturbi cognitivi stessi. Tutto questo apre una prospettiva nuova a chi occupa si occupa di geriatria, perché mette in luce la necessità di abbandonare un approccio “farmaco-centrico” in favore di un approccio multidimensionale.

Da alcuni anni questa visione si è fatta strada nel campo della geriatria e si è diffusa un’attenzione verso un assessment multidimensionale, che tiene conto non solo dell’anamnesi e della storia clinica del paziente, ma anche dello stato funzionale, dei livelli di autonomia e dello stato cognitivo, senza trascurare la rete dei servizi e la rete delle persone intorno al soggetto che possono in qualche modo a rendere l’ambiente protesico.

In questo contesto generale, è evidente e cruciale il diretto coinvolgimento delle professioni sanitarie rappresentate dalla Federazione nazionale degli ordini TSRM e PSTRP. Fino a un po’ di tempo fa era il medico che stabiliva il percorso terapeutico di un paziente, mentre oggi esistono evidenze che dimostrano l’utilità delle diverse competenze che arrivano proprio dagli infermieri, dai fisioterapisti, dai nutrizionisti e dai tecnici di radiologia, dai terapisti occupazionali e dagli operatori socio-sanitari, solo per citarne alcuni. Non va dimenticato infine il ruolo fondamentale delle famiglie o in generale dei caregiver, senza i quali, nella maggior parte dei contesti regionali del nostro Paese, l’assistenza ai pazienti fragili e anziani sarebbe al collasso.
È chiaro, in definitiva, che la valutazione multidimensionale deve coinvolgere una gamma di professionalità che sia la più ampia possibile, ed è altrettanto chiaro che deve esistere una figura in grado di tirare le fila, facendo poi una sintesi.

Ora, se si fa un’istantanea della situazione attuale italiana, emerge che le professionalità ci sono, ma si fa fatica spesso a metterle in rete. Spesso si dice che, nel caso dell’assistenza al paziente cronico e fragile, prescrivere farmaci, anche costosi, è più facile che costruire modelli organizzativi.

A questo riguardo, voglio citare la mia personale esperienza presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino. Si tratta com’è noto di un grande ospedale con unità operative di altissima specializzazione. Eppure, grazie alla visione di un grande geriatra come il professor Fabris, riusciamo ad adottare quell’approccio multidimensionale citato più sopra. Il reparto di geriatria è organizzato secondo diversi livelli di cura: al reparto per acuti si affiancano una serie di attività ambulatoriali e la gestione dei lungodegenti, oltre a un’efficiente ospedalizzazione a domicilio, attività di cui mi occupo nello specifico, che consente un’apertura dell’ospedale sul territorio.

Questa attività si basa su una collaborazione tra le diverse figure professionali: per esempio, il tecnico radiologo può fare una radiografia a domicilio e successivamente fornire i referti in telemedicina, il fisioterapista o il counselor possono a loro volta visitare e trattare il paziente presso la sua abitazione. Il tutto è organizzato non secondo un algoritmo verticale ma sulla base della valutazione delle caratteristiche del singolo paziente. Un altro aspetto molto importante è il collegamento con la Medicina generale, quando si tratta di una “dimissione difficile”. È il caso di pazienti che hanno una situazione critica dal punto di vista non solo clinico, ma anche socio-assistenziale.

In conclusione, le criticità sono concentrate sull’organizzazione di percorsi di cura che possano rispondere ai reali bisogni dei pazienti. Spetta dunque a chi si occupa di politica sanitaria a livello regionale e a livello nazionale trovare soluzioni valide e sostenibili, anche tenendo conto dei modelli sociali in perenne mutamento, che tra qualche decennio potrebbero già essere diversi da quelli attuali.

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