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Coronavirus. Cartabellotta a La7: “le mascherine chirurgiche possono aumentare del 50% i contagi tra i sanitari, vergogna di Stato”.

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Emergenza Coronavirus. Nino Cartabellotta (Fondazione GIMBE), vedere Medici e Infermieri lavorare con mascherine chirurgiche o create in casa “è una vergogna di Stato”. Sono più di 4300 i sanitari contagiati.

Poco fa a LA7 durante la trasmissione “Ombnibus” l’intervento di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, è stato emblematico. Ha chiarito senza tanti fronzoli ed elucubrazioni un concetto fondamentale: le mascherine chirurgiche negli ospedale, in presenza di possibili contagiati o di contagiati, aumentano del 50% la possibilità di infettarsi da parte di Medici, Infermieri, Infermieri Pediatrici, Ostetriche/i, OSS e Professioni Sanitarie (ma anche i volontari).

Con dati alla mano Cartabellotta ha parlato di almeno 4258 operatori sanitari contagiati, che potrebbero essere in realtà molti di più vista la “non necessità” di effettuare tamponi su tutti.

Per il presidente della Fondazione GIMBE vale proprio il contrario, ovvero i tamponi andrebbero fatti proprio su tutti gli operatori sanitari, sia nelle zone d’Italia a rischio, sia in quelle meno a rischio, perché chi lavora in sanità ha maggiore possibilità di contagiarsi e quindi di contagiare.

Sono troppi i Medici, gli Infermieri, gli OSS, gli operatori del 118 deceduti per Coronavirus (e non con il Coronavirus).

Agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale va garantito il lavoro in sicurezza, proprio perché se si ammalano loro chi curerà poi l’Italia?

Cartabellotta è stato poi emblematico quando ha ricordato che vedere Medici, Infermieri e altri operatori andare in reparto o in struttura muniti della sola mascherina chirurgica o di quella di stoffa fatta in casa “è una vergogna di Stato“.

A rischio la salute dei Pazienti e la tenuta stessa della sanità italiana.

Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), in Italia dall’inizio dell’epidemia sono 4.824 i professionisti sanitari che hanno contratto un’infezione da coronavirus, pari al 9% del totale delle persone contagiate, una percentuale più che doppia rispetto a quella della coorte cinese dello studio pubblicato su JAMA (3,8%). Peraltro, a giudicare dalle innumerevoli narrative e dalla mancata esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti e gli operatori sanitari, il numero ufficiale fornito dall’ISS è ampiamente sottostimato.

«Un mese dopo il caso 1 di Codogno – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti sanitari all’informazione alla popolazione». Tutte queste attività, inclusa la predisposizione dei piani regionali, erano previste dal “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006. «È inspiegabile – continua il Presidente – che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio».

«Inoltre la mancanza di policy regionali univoche sull’esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari, conseguente anche al timore di indebolire gli organici – spiega Cartabellotta – si è trasformata in un boomerang letale. Infatti, gli operatori sanitari infetti sono stati purtroppo i grandi e inconsapevoli protagonisti della diffusione del contagio in ospedali, residenze assistenziali e domicilio di pazienti». Per tale ragione la Fondazione GIMBE invita tutte le Regioni, sulla scia di quanto già deliberato in Emilia Romagna e Calabria, a mettere in priorità assoluta l’esecuzione di tamponi a tutti gli operatori sanitari, sia in ospedale, sia sul territorio, con particolare attenzione ai professionisti coinvolti nell’assistenza domiciliare e nelle residenze assistenziali assistite, oltre che in case di riposo.

Riguardo l’elaborazione dei protocolli regionali e locali di protezione degli operatori sanitari, l’ISS ha pubblicato il 14 marzo la seconda versione delle “Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-COV-2” che riprendono quasi interamente le raccomandazioni pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 27 febbraio 2020, senza tenere conto delle più recenti raccomandazioni dell’European Centre for Diseases Prevention and Control e dei Centers for Disease Control and Prevention.

L’analisi GIMBE del documento originale dell’OMS identifica una distorsione di fondo: le raccomandazioni si basano sul presupposto che le scorte mondiali di DPI, in particolare mascherine e respiratori medici, sono insufficienti per fronteggiare l’emergenza pandemica di COVID-19. Al contrario, le linee guida dovrebbero essere basate sulle migliori evidenze scientifiche, lasciando poi ai singoli paesi, la possibilità di definire le priorità in relazione a necessità, disponibilità ed eventuali difficoltà di approvvigionamento.

«Le raccomandazioni nazionali – sottolinea Claudio Beltramello, medico igienista, componente della faculty GIMBE, già collaboratore del Dipartimento Prevenzione e Controllo delle Malattie Infettive dell’OMS –devono indicare gli interventi più efficaci per prevenire l’infezione del personale sanitario. Se esistono difficoltà locali ad attuarle per carenza di DPI, in particolare mascherine chirurgiche e FFP2, è un altro problema. Raccomandare l’utilizzo appropriato dei DPI è fondamentale per garantirli; se invece viene legittimato che in vari scenari a rischio i DPI non servono, sarà meno probabile predisporre un adeguato piano di approvvigionamento».

«Non è accettabile dal punto di vista scientifico ed etico – ribadisce Cartabellotta – “tarare al ribasso” le raccomandazioni nazionali e, a cascata, i protocolli regionali e locali per proteggere gli operatori sanitari, visto che le conseguenze non ricadono solo sulla salute dei professionisti, ma soprattutto su quella dei pazienti, oltre che sulla tenuta del servizio sanitario».

Peraltro il documento dell’ISS contiene raccomandazioni inapplicabili in ambito ospedaliero e/o insufficienti a garantire la massima protezione degli operatori sanitari, che la Fondazione GIMBE invita pertanto a rettificare ed integrare (box). «Le evidenze scientifiche – sottolinea Beltramello – dimostrano che in setting assistenziali le mascherine chirurgiche non proteggono adeguatamente professionisti e operatori sanitari. Infatti, sin dall’inizio dell’epidemia Istituzioni ed esperti indipendenti ribadiscono che la mascherina chirurgica non conferisce sufficiente protezione ai soggetti sani che vengono a contatto con un soggetto infetto».

«Confidiamo – conclude Cartabellotta – che l’Istituto Superiore di Sanità proceda ad una revisione del documento per garantire la massima protezione di professionisti e operatori sanitari, che tutte le Regioni dispongano di effettuare i tamponi a tutti gli operatori in prima linea contro l’emergenza e che la fornitura di mascherine per medici, operatori sanitari e pazienti – annunciata ieri da Domenico Arcuri, commissario straordinario per l’emergenza coronavirus – sia adeguata secondo quanto previsto dalle le migliori evidenze scientifiche».

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE sull’epidemia COVID-19 è disponibile al seguente: LINK.

PROPOSTA DI MODIFICHE AL DOCUMENTO

Rapporto ISS COVID-19 n. 2/2020

“Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-COV-2”

AREE DI DEGENZA

Stanza di pazienti COVID-19

  • Per gli operatori sanitari che assistono pazienti con COVID-19, sostituire l’indicazione della mascherina chirurgica con quella FFP2; la mascherina chirurgica può essere un’opzione di seconda scelta solo se anche il paziente è in grado di indossarla, circostanza poco probabile perché molti pazienti ricoverati hanno distress respiratorio.
  • Per gli operatori sanitari che eseguono i tamponi oro-faringei raccomandare la mascherina FFP2. Estendere la raccomandazione anche a setting diversi dalla stanza di degenza dei COVID-19 positivi, visto che il tampone si esegue soprattutto su casi sospetti, che non sono già ricoverati in stanze dedicate.

Altre aree di transito e trasporto interno dei pazienti

  • Raccomandare la mascherina chirurgica al personale addetto ai trasporti interni in tutte le aree di transito/reparti e la FFP2 se il transito prevede partenza/arrivo/passaggio in aree COVID-19 positivi.
  • Tutti i pazienti trasportati dovrebbero indossare la mascherina chirurgica, se tollerata, per ridurre il rischio di contagio durante il trasporto.

Triage

  • Eliminare o modificare tutte le raccomandazioni che prevedono di mantenere la distanza di un metro, in quanto inapplicabili nelle attività di triage che prevedono il contatto con i pazienti.
  • Pazienti: sostituire “sintomi respiratori” con “sintomi compatibili con infezione da SARS-COV2” (es. febbre e/o tosse e/o mal di gola e/o congiuntivite e/o distress respiratorio).
  • Raccomandare l’uso di mascherine chirurgiche, ad eccezione degli operatori che lavorano dietro al vetro con interfono.
  • Prevedere una raccomandazione specifica per gli operatori che effettuano il triage e la valutazione a diretto contatto con i pazienti, per i quali deve essere indicato l’uso della mascherina FFP2.

AMBULATORI OSPEDALIERI E DEL TERRITORIO NEL CONTESTO DI COVID-19

Ambulatori

  • Operatori sanitari: raccomandare l’utilizzo della mascherina FFP2 per gli operatori (es. medici di medicina generale) che visitano pazienti con sintomi sospetti di COVID-19.
  • Pazienti: sostituire “sintomi respiratori” con “sintomi compatibili con infezione da SARS-COV2” (es. febbre e/o tosse e/o mal di gola e/o congiuntivite e/o distress respiratorio).

Triage

  • Operatori sanitari: eliminare la raccomandazione di rispettare la distanza di almeno 1 metro in quanto inapplicabile e raccomandare almeno la mascherina chirurgica.
  • Prevedere una raccomandazione specifica per gli operatori che effettuano il triage e la valutazione a diretto contatto con i pazienti, per i quali deve essere indicato l’uso della mascherina FFP2.

AMBULANZA O MEZZI DI TRASPORTO

Operatori sanitari

  • Indicare FFP2 se si trasportano pazienti con COVID-19; prevedere in alternativa la mascherina chirurgica solo se anche il paziente è in grado di indossarla in quanto stabile, ovvero non si prevede che debba essere tolta durante il trasporto per somministrargli ossigeno o eseguire manovre.

Autisti

  • Raccomandare l’utilizzo della mascherina chirurgica anche in caso di abitacolo separato visto che aiutano a caricare e scaricare i pazienti e la distanza di un metro non può essere garantita. Per gli autisti prevedere una mascherina FFP2 a disposizione nel mezzo da indossare in caso debbano aiutare l’operatore sanitario a gestire una crisi respiratoria di un paziente positivo trasportato.

ULTERIORI RACCOMANDAZIONI SUGGERITE

  • In tutte le aree di degenza dove si presuppone che i pazienti siano COVID-19 negativi dovrebbe essere raccomandato l’utilizzo sistematico della FFP2 o, se non disponibile, della mascherina chirurgica da parte di tutti gli operatori sanitari. Infatti, la maggior parte delle epidemie ospedaliere che hanno coinvolto i professionisti sanitari sono partite da unità operative non dedicate a pazienti COVID-19 positivi (es. ginecologia, geriatria, medicina interna, ortopedia, neurologia, etc.). Di conseguenza, è necessario considerare potenzialmente infetto ogni paziente ospedalizzato per altre patologie e prevedere la protezione dei professionisti di aree non COVID-19, secondo il concetto di precauzione universale.
  • In aree geografiche ad elevata endemia sarebbe opportuno prevedere l’uso della mascherina chirurgica per tutti i pazienti che accedono a qualsiasi setting sanitario, sia ospedaliero che territoriale.

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