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Le urla nel silenzio: il Paziente morto che infesta il Reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Prato.

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Le luci al neon, fredde e impersonali, illuminavano i corridoi del reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Prato, proiettando ombre lunghe e danzanti che sembravano imitare l’inquietudine palpabile nell’aria. Un sussurro, strisciante come un brivido lungo la schiena, si propagava tra il personale sanitario: “L’hanno sentito di nuovo”.

Tutto era iniziato con la scomparsa terrena di Simone L., un paziente la cui mente era stata a lungo un campo di battaglia contro i suoi demoni interiori, trovando un fragile e fatale rifugio nell’abuso di benzodiazepine. Il suo cuore aveva cessato di battere in una notte silenziosa, ma non prima che un’ultima, agghiacciante promessa fosse sussurrata tra i singhiozzi e il rantolo: “Tornerò. Sentirete ancora la mia disperazione”.

Inizialmente, quelle parole furono liquidate come il prodotto di una mente offuscata dal dolore e dalla fine imminente. Ma ben presto, la realtà sembrò farsi beffe della logica.

La prima a essere scossa fu Giulia, un’OSS con una lunga carriera trascorsa tra le sofferenze umane. Durante un turno notturno particolarmente quieto, un lamento straziante ruppe il silenzio ovattato del reparto. Un suono così carico di angoscia da farle gelare il sangue nelle vene. Non proveniva da una stanza specifica, ma sembrava emanare dalle stesse fondamenta dell’edificio.

Pochi giorni dopo, toccò a Marco, un infermiere noto per il suo pragmatismo e il suo scetticismo granitico. Mentre controllava i parametri vitali dei pazienti, un fruscio leggero si trasformò in passi lenti e irregolari nel corridoio deserto. Si era affacciato con cautela, il cuore che batteva all’impazzata, ma non aveva trovato nessuno. Solo l’eco dei suoi stessi passi sul linoleum.

Le testimonianze iniziarono a sovrapporsi, tessendo una trama di paura sempre più fitta. Urla soffocate che sembravano provenire da un altro mondo, gemiti carichi di un dolore senza fine, passi furtivi che si avvicinavano alle spalle per poi svanire nel nulla. Il personale del reparto, dagli infermieri agli OSS, si ritrovò intrappolato in una spirale di terrore crescente. La ragione tentennava di fronte all’inspiegabile.

Suggestione collettiva o eco di un’anima perduta?

La direzione sanitaria tentava di placare gli animi, invocando lo stress, la fragilità emotiva del personale e la potente suggestione collettiva innescata dalla tragica perdita di Simone. Ma chi aveva udito quelle urla laceranti nel cuore della notte, chi aveva percepito una gelida corrente d’aria in un corridoio sigillato, non riusciva a trovare conforto in quelle spiegazioni razionali.

“Non è la nostra immaginazione,” confidò Elena, un’infermiera con gli occhi cerchiati dalla stanchezza e dalla paura. “Le sue urla… erano inconfondibili. Le ricordo ancora, strazianti, durante le sue crisi. E quei passi… li sentivo quando vagava nel reparto, incapace di trovare pace.”

La paura si insinuò nelle pieghe delle loro routine. I turni notturni divennero una prova. Ogni ombra si trasformò in una potenziale apparizione, ogni cigolio della vecchia struttura ospedaliera fece sobbalzare i cuori. La domanda, muta ma assordante, serpeggiava tra il personale: era davvero tornato Simone, un’anima tormentata intrappolata tra questo mondo e l’altro, desiderosa di condividere la sua eterna sofferenza?

Un clima di angoscia all’Ospedale di Prato.

L’atmosfera nel reparto si fece sempre più pesante. La tensione era palpabile, densa come l’odore acre dei disinfettanti. I pazienti, già vulnerabili e intrappolati nelle loro battaglie interiori, percepivano l’ansia crescente del personale, alimentando ulteriormente il loro disagio e la loro confusione.

E intanto, le urla continuavano. I passi risuonavano nel silenzio delle ore piccole. La promessa disperata di Simone sembrava essersi avverata, gettando un’ombra oscura sull’Ospedale di Prato. Ma cosa voleva? Era un grido di vendetta, un disperato bisogno di essere ricordato, o un’eco di un’anima incapace di trovare riposo?

La verità si celava tra le intricate connessioni della mente umana, in quel confine labile dove la realtà si mescola con la paura e la suggestione. Era un fenomeno psichico collettivo, un’eco del dolore rimasto intrappolato tra le mura cariche di sofferenza dell’ospedale, o c’era davvero qualcosa di inspiegabile che infestava il reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Prato?

La risposta, per ora, si perdeva nel labirinto di corridoi silenziosi, interrotto solo dalle urla spettrali di un uomo che aveva promesso di tornare, lasciando dietro di sé una scia di terrore che avvolgeva il personale dell’Ospedale di Prato in una morsa gelida.

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