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venerdì, Aprile 19, 2024
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Viola. Storia di una infermiera.

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Il racconto è stato premiato a Ravenna per commemorare la figura di Adela Simona Andro, Infermiera vittima di Femminicidio.

Era una settimana che il grigiore novembrino sovrastava quotidianamente, indisturbato e silente, sulle anime della città. Quella rassicurante monocromia, fredda e umida, apparentemente invisa dai molti che reclamavano nostalgicamente le assolate giornate estive, veniva vissuta invece, da una buona parte, paradossalmente, come una sorta di caloroso abbraccio tardo autunnale che scaldava il cuore, che si esprimeva proiettandosi nei fumanti comignoli, nelle serate a polenta e funghi con gli amici, nonché nelle stufe e nei caminetti accesi che facevano parte delle intimità domestiche, che con la loro legna scoppiettante spesso fungeva da compagnia inseparabile per le anime sole.

Così pensava Viola, trentenne, infermiera, da 5 anni all’assistenza domiciliare, una ragazza alta dai tratti lineari, esteticamente piacente e pacata nei modi, dall’eleganza spartana, con lunghi capelli neri sempre raccolti a coda di cavallo, mai truccata, diretta ed essenziale, leale e sincera, tipica espressione di uno spirito libero.

Quella mattina, mentre partiva velocemente col suo zaino carico nella Panda di servizio, pensava che non era un gran periodo per lei, e quando aveva guardato il programma stracarico della giornata, dentro di sé aveva sbuffato, non tanto per il carico di lavoro in sé, ma perché quel giorno di relazionarsi con gli altri, proprio non ne aveva voglia. Ma d’altronde faceva parte del suo lavoro, che le piaceva molto, pur con gli alternati momenti di crisi, e per spirito di coerenza con i principi legati all’ideale professionale, ai quali credeva fermamente, non poteva certo proiettare sui pazienti i suoi disagi personali, visto che loro ne avevano già abbastanza dei propri.

Viola era un’idealista, e sicuramente la coerenza era una delle travi portanti dei suoi valori; senza coerenza, espressa fattivamente nella quotidianità attraverso le proprie azioni, non si può essere considerati affidabili, e se non si è coerenti si è ipocriti, innanzitutto con sé stessi.

Viola odiava l’ipocrisia, la falsità, l’inganno, le subdole strategie messe in atto per i tornaconti personali, e per questo era stimata e rispettata dalle colleghe, e da tutte le persone che lavoravano con lei, anche se non sempre la franchezza di pensiero, pur espressa con assertività, era cosa gradita. Talvolta infatti era scambiata per saccenza, presunzione e mancanza di umiltà.

I suoi genitori si erano separati un anno prima dopo un lungo periodo turbolento, e non sicuramente in modo conciliativo, così suo padre, con cui non aveva mai avuto un buon rapporto, specialmente dopo l’ennesima storia extraconiugale, era andato a vivere a 300 km di distanza, e lo vedeva si è no tre volte l’anno, mentre sua madre era rimasta in città, sola e afflitta, e sfogava la sua inconsapevole ipocondria telefonando spesso a Viola, figlia unica, e per di più infermiera, elencando tutta una serie di sintomi e richieste di consigli su quali farmaci prendere o quali accertamenti diagnostici chiedere al medico, alternando improvvise cefalee, che potevano subdolamente celare un cancro al cervello, o fastidiose gastralgie che naturalmente potevano essere espressione di un tumore allo stomaco, tanto per citarne alcuni.

Dopo la separazione quell’atteggiamento si era accentuato in maniera importante, e la coincidenza era facilmente interpretabile.

Viola viveva da sola da qualche anno, in un piccolo e grazioso appartamento in centro, e questa indipendenza era da lei ritenuta impagabile- il sapore della libertà non ha prezzo- diceva sempre. Quando era stanca e aveva voglia di immergersi in una totale e tranquillizzante solitudine, metteva il cellulare offline, isolandosi per un po’ dal mondo e persino da sua madre, con l’egoistica consapevolezza che in caso di bisogno non l’avrebbe trovata; a dir la verità non si piaceva molto quando cliccava sull’icona dell’aereo nello smartphone, ma era un rischio cosciente che ogni tanto accettava, con la speranza che non accadesse nulla, ma con la consapevolezza che, in caso contrario, il prezzo che avrebbe dovuto pagare poteva essere assai alto. Viola era l’unico vero riferimento per sua madre, e se non l’avesse trovata nel momento del bisogno, di quelli importanti, sarebbero stati seri problemi.

Poi c’era Roberto, il suo ragazzo da 8 mesi, in procinto di laurearsi in medicina e chirurgia, con cui aveva discusso animatamente la sera prima, perché lui voleva fare armi e bagagli e trasferirsi da lei per convivere. Roberto era molto innamorato, più di quanto effettivamente lo fosse lei nei suoi confronti, e probabilmente questo era uno dei motivi per il quale Viola negò tassativamente il trasferimento tanto ambito: era troppo presto e non si sentiva pronta, questo gli aveva detto, e lui non l’aveva presa bene. Si era sentito rifiutato, non amato quanto credeva. Non se n’era mai andato sbattendo la porta prima di quella lite, e Viola si era sentita in colpa, non tanto per aver espresso sinceramente il suo pensiero, ma per le modalità comunicative utilizzate. La prospettiva concreta di perdere la sua totale libertà, aveva fatto emergere il suo “MrHyde” in maniera forse un po’ troppo aggressiva!

Viola era consapevole dell’importanza di una comunicazione assertiva, l’aveva studiato, condiviso, sostenuto con forza nei briefing lavorativi, ma nella vita privata, quando vengono toccate emozioni profonde, non sempre era possibile avere il controllo, e questo era uno degli aspetti che più le dava fastidio, farsi dominare dall’emotività e relegare mestamente, anche solo per poco tempo, il suo potente raziocinio, in un buio angolino. E in quel momento si trovava in una sorta di terra di mezzo e, non sapendo dove andare, attendeva, prendeva tempo, raccontando a se stessa che doveva riflettere.

Questi pensieri scorrevano intrusivi, assieme ai kilometri che stava percorrendo mentre si recava dal primo assistito, e si traducevano in fastidiosi acufeni mentali, che la stavano pericolosamente distraendo dalla guida e dalla concentrazione del suo lavoro prossimo: “su Viola, fai un bel respiro e metti da parte tutto sto casino, almeno fino all’una” si disse, mentre parcheggiava la Panda bianca aziendale nel piccolo cortile del primo paziente della mattina.

II

Erano già passate quasi 3 ore da quando era partita, e le rimanevano altri 4 pazienti su un totale di 12, di cui una medicazione a media complessità, un elastomero da caricare con della morfina e due fleboclisi. La visione di Viola quella mattina era prettamente “prestazionale”, molto incentrata sull’aspetto tecnico, su cui era molto brava, ma poco sul versante relazionale: proprio non ce n’era di energia in quel senso. Tra l’altro doveva recarsi da un paziente oncologico, che non conosceva, e sapeva benissimo quanto poteva essere faticoso affrontare quella situazione quando psicologicamente eri già a terra. Ma faceva parte dell’essere infermiere, lo si doveva mettere in conto, e lo sapeva benissimo; Viola era convinta che la sua era una professione che, per poterla svolgere al meglio, doveva avere alla base una buona motivazione (non vocazione), altrimenti col tempo e in certi contesti prima o poi un prezzo lo dovevi pagare. La componente motivazionale dava proprio la “spinta” in quei momenti dove avresti voluto essere da tutt’altra parte, piuttosto che condividere le sofferenze di qualcuno. Mentre inseguiva i suoi pensieri, prese una stradina ghiaiata di campagna e si diresse verso la casa di Riccardo, l’assistito oncologico a cui doveva ricaricare l’elastomero con la morfina. Non sapeva molto di lui, a parte ciò che aveva letto nella documentazione sanitaria: 70 anni, neoplasia pancreatica in stadio terminale, reagiva bene all’antidolorifico. Riccardo era celibe e viveva solo in una casa colonica con diversi ettari di terra; era assistito dalla sorella, più giovane di qualche anno, che si era trasferita temporaneamente da lui poiché stava perdendo velocemente la propria autonomia. Mentre guidava, cercava la casa in mezzo ad una desolata e desertica campagna dormiente, e in lontananza, come un’oasi in mezzo alle dune, vide un boschetto di alberi di cui molti sempreverdi, deducendo che la destinazione era ormai raggiunta. Nel tempo di 5 minuti giunse nel cortile e, dopo aver spento la macchina, si soffermò ad ammirare la casa, ma soprattutto l’ordine incontrastato che regnava tutto intorno: un tripudio di alberi sempreverdi di vari tipi, da pini marittimi, abeti, magnolie, tassi e persino due piante di eucalipto più altre piante che non conosceva. Sulla sua sinistra campeggiavano diverse aiuole sistematicamente composte da pietre di tufo, e persino l’orto alla sua destra, che si intravedeva discretamente a ridosso della parte esterna del boschetto, era perfettamente simmetrico e curato. Più che la classica casa di campagna che era abituata a vedere, pareva un giardino botanico! Mentre era immersa in una sorta di oblio visivo che le aveva dato improvvisamente un senso di piacevole tranquillità, sentì battere delicatamente nel vetro: era Rebecca, la sorella di Riccardo, che con un sorriso gentile la salutava.

Mentre usciva e scaricava lo zaino, Rebecca si offrì di aiutarla, ma Viola, ringraziando, disse che faceva da sola, porgendole la mano e presentandosi.

  • Mi scusi..ero incantata nel vedere questo splendido posto. Rebecca sorrise.
  • La capisco..la prima volta fa quest’effetto.

Le venne incontro, ciondolante, un Dobermann, che dall’aspetto doveva essere piuttosto vecchiotto, ma nonostante l’ipotetica età appariva ancora possente e di una sobria eleganza.

  • Non ti preoccupare, è buonissimo, si chiama Flou, ha 11 anni, quasi un record per questi splendidi cani.

Rebecca era una bella signora che dimostrava meno anni di quelli che sicuramente aveva; i lunghi capelli biondi sciolti, un fisico asciutto e un’altezza importante la facevano apparire, nonostante fosse vestita in modo informale, elegante e di classe, con un portamento nobile che dava l’idea di una persona sicura e determinata.

Viola accarezzo affettuosamente Flou, che pareva gradire le coccole della nuova visitatrice.

La casa era tutta in pietra a vista e, una volta entrata, Viola non potette fare a meno di constatare che, come era ordinato l’esterno, tale era all’interno. Parquet dappertutto, pareti dai colori pastello, arancione e giallo, tenui e rilassanti, un piacevole profumo indefinito aleggiava nell’ambiente: di fronte a lei s’imponeva una larga scala in legno e, mentre si apprestava a salire, dando per scontato che Riccardo fosse di sopra, si sentì invitare da Rebecca di seguirla alla sua sinistra, dove oltre un grande arco si trovava un salone con travi a vista e un enorme camino, al centro di una delle pareti, sul cui fianco c’era un letto. Due occhi vispi e intelligenti, accompagnati da un coinvolgente sorriso la guardavano, invitandola ad avvicinarsi. Era Riccardo, o meglio quello che rimaneva di lui, un corpo consumato dal male, divorato da sé stesso, da quelle cellule malefiche che, secondo dopo secondo, fagocitavano irreversibilmente quello che un tempo doveva essere un fisico robusto, e i tratti somatici del viso facevano trasparire, nonostante la malattia, la bellezza di quell’uomo, ora fragile e impotente.

  • Piacere Viola.

L’infermiera diede la mano a Riccardo, e sentì la stretta ancora forte di una mano calda e ossuta.

  • Piacere Riccardo.

La sua voce pareva essere l’unica cosa integra rimasta, con un timbro vocale intenso e profondo. Viola, improvvisamente e inaspettatamente, si senti come in una sorta d’imbarazzo, al punto che non sapeva cosa dire. La sensazione più sgradevole era data dal fatto che non le era quasi mai capitato in quei contesti: aveva come una sorta di soggezione mentre incrociava lo sguardo di Riccardo, che pareva quasi leggerle dentro. Attribuì la colpa al suo stato d’animo di quella mattina, e dentro di sé si rimproverò: “accidenti Viola, stai sul pezzo!! Che ti succede?”.

Lo stato di disorientamento però durò poco, e Viola si ricompose, cacciando in un recondito anfratto i suoi pensieri, e liberando la mente tornava al motivo per cui era lì.

  • Come va oggi sig Riccardo?
  • La prego Viola, possiamo darci del tu?
    Viola rimase, per un attimo, interdetta, poiché non si aspettava quella domanda: dava sempre del lei agli assistiti, a meno che non fossero molto giovani.
  • Ok…se le fa piacere..
  • Si, ci terrei molto
  • Bene Riccardo, facciamo come nei film..non buona la prima e vado con un altro ciak. Come stai oggi? i due sorrisero, assieme a Rebecca che era dall’altra parte del letto. Il ghiaccio era rotto, ed era una piacevole sensazione.

III

L’elastomero era caricato secondo prescrizione medica, e Viola lo collegò al circuito del PICC, dopo aver controllato i parametri, che erano nella norma.

  • Quindi, mi dicevi, il dolore è ben controllato?
  • Si, non mi posso lamentare…non che sia assente, ma tiene abbastanza a bada la bestia come si deve… poi bisogna anche saper sopportare, non ci si può sempre lamentare.
  • Detto da chi viveva in quella condizione era veramente ammirevole e apprezzabile, pensò la giovane infermiera.
    Viola era tornata quella di sempre, libera dai pensieri e ben disposta a relazionarsi con i pazienti, e soprattutto aveva una dote, preziosa per la professione che esercitava, ovvero amava ascoltare e sapeva farlo bene, caratteristica purtroppo non sempre scontata per i professionisti come lei. Era consapevole che doveva finire il suo giro ma, pensò, si parla sempre di presa in carico del paziente, di visione olistica, di centralità dell’assistito e, se non si concretizza poi nella quotidianità operativa, diventa solo pula al vento, e siccome odiava essere incoerente, soprattutto quando si parlava di principi, decise di soffermarsi a parlare un po’ con Riccardo, visto che tra l’altro era ben disposto alla conversazione.
    Rebecca nel frattempo era andata in cucina a preparare il pranzo.
  • Hai sempre abitato qui?
  • Assolutamente no. Pensa che fino all’età di 50 anni facevo il professore di lettere, in un liceo.
    Viola, a seguito di quell’affermazione, si spiegò l’enorme libreria, ricolma di libri, che campeggiava nella parete opposta del salone.
  • Il professore?? Poi che è successo?
  • È successo che mi ero stancato, che ho deciso di formattare la mia vita e di ripartire da zero. Dopo il licenziamento avevo programmato di starmene in giro per il mondo con un camper per un paio di anni…il primo anno ho viaggiato per tutta Europa, e mi sono spinto fino ai confini con la Russia, e il secondo anno ho girato tutto il nord Africa…credo che sia stato il periodo più bello della mia vita…il vento del deserto…il the bevuto intorno al fuoco..la conoscenza di persone meravigliose, la condivisione delle emozioni, quelle più profonde, che non hanno bisogno di parole ma solo di sguardi, sorrisi, che si percepiscono quasi impalpabili come una forma di materia fluente, toccata da mani invisibili, energia allo stato puro, forte, positiva, potente, che si trasforma in esperienza indelebile e irripetibile, che ti rimane scolpita dentro, che si imprime come un sigillo che forse neppure la morte ti può portare via…Mentre parlava dei suoi viaggi gli occhi di Riccardo si illuminavano, riprendevano vitalità, e Viola percepiva, in una sorta di simultaneità telepatica che arrivava dritto al cuore, ciò che Riccardo stava percorrendo in quei pochi minuti attraverso le sue avventure, rivivendo assieme a lui sensazioni, piacevoli e appaganti, senza percepire il minimo senso di malinconia a cui il contesto poteva portare.

    Viola era molto colpita da quell’uomo e dalla sua apparente saggezza, emanava pace e armonia, enfatizzata ancora di più dal paradosso che proveniva da un essere umano prossimo alla morte, di cui era sicuramente perfettamente consapevole.
    All’improvviso un bellissimo micio meticcio tigrato di dimensioni importanti saltò sul letto, facendo scattare Viola che non si aspettava quella visita.

– Lei è Tippy, è molto socievole, e ama le carezze.
Viola la accarezzò dalla testa percorrendo, col palmo della mano, tutta la schiena fino alla coda. La micia s’inarcò lentamente, dimostrando di gradire quella forma di saluto.

Notò anche che nel salone non c’era una televisione.

  • -Riccardo..niente tv?
  • Assolutamente no! Troppo casino -disse, accennando a un sorriso- meglio un buon libro.Pensa che sto rileggendo l’apologia di Socrate..l’avrò letto mille volte, ma è sempre un piacere, paradossalmente, rivivere il processo…Meleto, Anito e Licone che lo accusano ingiustamente, i suoi amici che lo sostengono, lui che rifiuta la fuga e accetta la morte pur di essere coerente con i propri principi…è la perfetta metafora della nostra società..la calunnia, la politica corrotta, la malvagità, ma anche la giustizia, la fermezza di spirito, la coerenza, la dignità…in fondo non è cambiato molto da allora…
  • Mi sta simpatico questo Socrate…mi sa che leggerò questo libro.
  • Te lo consiglio vivamente! Ti farà riflettere molto…è stato un gran personaggio..pensa chenon ha mai scritto nulla, tutto ciò che sappiamo è stato scritto da altri, Platone in primis.
    Il camino si era fatto più silenzioso e la legna aveva smesso si scoppiettare: in effetti necessitava di essere sfamato da una mano generosa che buttasse su qualche pezzo di legno.
    Viola guardò Riccardo, che ricambiò lo sguardo annuendo leggermente..si erano capiti al volo, e Viola sistemò la legna sulla brace con metodo, usando la molla forgiata con una certa dimestichezza.
  • Wow! Non è certo la prima volta che ti approcci a un camino. Non è così facile come può sembrare.
  • Ho imparato da mio nonno da piccola, lui i camini li costruiva; conosco tutti trucchi del mestiere- disse sorridendo.La fiamma riprese vita innalzandosi verso l’alto e poi ripiegandosi su se stessa, quasi facendo un inchino di scuse per aver interrotto la conversazione, invitando a proseguire da dove si erano fermati.
  • Ma..tornando al discorso di prima…finiti i viaggi?
  • Dopo due anni decisi di tornare e venni a vivere proprio qui, con mio zio, il fratello di miopadre. I miei genitori sono morti giovani e lo zio Sotero è stato quasi come un padre per me. Mi ha insegnato lui a lavorare la terra, e alla sua morte mi ha lasciato ciò che vedi. Non sarei più potuto tornare rinchiuso in un’aula, in balia di regolamenti e di orari scanditi..amavo insegnare ma ho dovuto fare una scelta, e ho optato per la libertà, per gli spazi aperti, per l’odore della pioggia sulla terra bagnata. Se mi guardo indietro so di aver fatto la giusta scelta, non ho rimpianti, e per uno nella mia condizione è assai importante.

    Riccardo si tirò su cercando di mettersi in posizione seduta, e Viola si apprestò ad aiutarlo viste le difficoltà.

  • Scusa..ho sete e volevo prendere il bicchiere.
  • Di che ti scusi? Aspetta…ti do una mano, prendi il mio braccio che ti aiuto.
    La mano di Viola si appoggiò percependo, attraverso i guanti, la nuca sudata, mentre Riccardo si tirava su attaccato al suo braccio come un acrobata al trapezio.
    Riccardo si attaccò alla cannuccia aspirando copiosamente, dopo di che Viola lo aiutò a rimettersi sdraiato.
  • Sai qual è una delle cose peggiori in queste condizioni? disse Riccardo.
  • Quale?
  • Che devi dipendere da qualcuno praticamente ormai per qualsiasi cosa. Io che sono semprestato autonomo, nelle scelte e nelle azioni…è una cosa difficile da accettare. Spero che la

    Nera Signora arrivi presto!
    Viola provò una sensazione di disagio, poiché non sapeva cosa dire. Lo capiva, eccome se lo capiva!
    I due rimasero in silenzio, finché Viola non cambiò discorso.

  • Adesso ti faccio una domanda indiscreta…se posso ovviamente.
  • Prego….ormai siamo in confidenza- disse Riccardo sorridendo.
  • Ho visto solo tua sorella qui…non ci sono altre donne?

Il linguaggio non verbale di Riccardo parlò molto chiaro. Il sorriso scomparve lasciando il posto a un’espressione malinconica. Viola se ne accorse e si pentì della domanda…forse-pensò- si era presa una libertà che non doveva.

  • Scusa…forse non è stata una gran domanda..
  • No, tranquilla. Nessuna donna ora…ce n’é stata una importante anni fa, la più importante di tutte, ma ora non c’è più, se n’è andata.
  • Ok…

Viola non sapeva se il termine “se n’è andata” intendeva che era morta, oppure che si erano lasciati. Non osò andare oltre, visto che Riccardo taceva.

  • Tra poco si mangia!!

La voce di Rebecca echeggiava dalla cucina, dalla quale proveniva un piacevole odore indefinito di cose buone da mangiare.

  • Rebecca si ostina a prepararmi deliziosi manicaretti, ma mangio pochissimo, però quel tanto da evitarmi altre flebo…però le fa piacere e la lascio fare-disse Riccardo strizzando l’occhio.

In effetti a Viola pareva strano che un malato in quelle condizioni non avesse una nutrizione parenterale..probabilmente quel poco che mangiava era sufficiente.

  • Pensa che Rebecca, che era con me quando mi fecero la diagnosi, tentò di nascondermelo. Incredibile! Mi arrabbiai pure..non sono mica rincoglionito…credo che certe cose non si possano nascondere, a meno che la persona non decida volontariamente che non vuole sapere. Poi che pensava? Che non me ne sarei accorto? Quando senti le forze che pian piano ti abbandonano, ti guardi allo specchio e vedi che il colore della tua pelle inizia a cambiare, che la muscolatura pian piano si dissolve, quando inizi a vomitare varie volte al giorno, e cominci ad avere la consapevolezza che la tua fine è segnata. E paradossalmente inizi a pensare al futuro.
  • In che senso?
  • Nel senso che ti prepari per un Viaggio, quello più importante della tua vita umana, e cerchidi non lasciare nessun sospeso, né di tipo materiale né affettivo. Tutto ciò che vedi non è più mio…ho ceduto tutta la proprietà a Rebecca e alla mia splendida nipote Ginevra, io dove andrò non me ne faccio più nulla di certo. Poi pensa che avevo un carissimo amico con cui non ci si parlava da anni..la colpa fu mia e del mio orgoglio..beh, l’ho chiamato ed è venuto a trovarmi e ci siamo riconciliati..non passa giorno che non faccia un salto per fare due chiacchiere, che sono più preziose di tutto l’oro del mondo per me..ogni minuto di interscambio relazionale con le persone a cui tengo non ha prezzo e mi fa stare bene…l’amore è energia che trasmigra da uno spirito all’altro, avvolgente e pervadente, come l’odore potente di un fiore, e non c’è nulla di peggio che morire immersi in una desolante marcescente solitudine. Tu fai uno dei lavori più importanti e faticosi, dal punto di vista emotivo, come energie psichiche intendo, come dice un mio amico psicologo; quanti malati messi come me sono all’oscuro della loro malattia?

    Viola pensò a quante volte avevano discusso nei corsi e al lavoro su quest’aspetto: il cosiddetto principio di autodeterminazione legato al principio etico di autonomia, dove il paziente deve aver la possibilità di poter decidere, ad esempio se accettare o meno, un trattamento. Ma per decidere, deve sapere! Deve conoscere tutto della sua malattia, le comunicazioni dei sanitari devono essere veritiere, trasparenti, esplicative e realistiche anche sulla prognosi, e qui una professione come la sua gioca un ruolo fondamentale, tramutando delle mere prestazioni, in quello che viene definito il patto terapeutico, dove l’infermiere, il medico e altri professionisti coinvolti dovrebbero accompagnare l’assistito nel suo viaggio, in un costante rapporto di fiducia…se mancava questa come poteva esserci un patto degno di questo nome? Non era però così infrequente che il malato non sapesse, o almeno fino in fondo, cosa stesse accadendo dentro al suo corpo, lasciando così spazio magari a false speranze e aspettative fallaci, e lasciando questo mondo con dei sospesi che mai più avrebbero avuto la possibilità di chiudersi.

  • Beh..ce ne sono diversi sinceramente..e diventa difficile anche per noi dover mentire..ma io non mi sentirei di certo di essere colei che rivela ciò che è innominabile, credo che alla fine non sarebbe neppure giusto…poi ci sono anche pazienti che dicono apertamente che non vogliono sapere nulla, e questo va assolutamente rispettato, lo afferma pure il nostro codice deontologico.
  • Questo è certo, è sempre un rispetto della volontà.
  • Oppure ci sono anche casi in cui si decide di non comunicare nulla perché ci sono forme disensibilità, e talvolta labilità psichiche, che potrebbero portare a gesti inconsulti, come in

    alcuni casi purtroppo è avvenuto.

  • Pensa che all’inizio mi ha pure sfiorato per un attimo quest’idea, ma avrei creato troppodolore alle persone che mi amano, poi bisogna avere il coraggio di non fuggire al proprio destino e combattere la buona battaglia con dignità, soprattutto nei momenti in cui il grande sconforto ti attanaglia la parte più profonda dell’anima, dove ti senti perduto, in balia degli eventi senza controllo, dove il buio e il dolore si impadroniscono delle emozioni e ti fanno diventare rabbioso o depresso e ti chiedi “perché proprio a me?”. Poi dopo entra la luce nell’androne buio e respiri energia rigenerante, preparandoti al prossimo attacco che non sai quando si ripresenterà e, mentre ti lecchi le ferite, acquisti forza e sempre più consapevolezza che di fronte all’ineluttabile non puoi farci nulla, quindi perché sprecare tempo arrabbiandoti con chi ti sta vicino o chiuderti nel tuo mondo, popolato di paure e fantasmi.

    Viola ammirava la forza e la determinazione di quell’uomo, che non era assolutamente in balia degli eventi, ma aveva imparato, pur tra le peggiori delle malattie, a stringere tra le mani il timone della nave ben stretto, pur sapendo che la rotta non si poteva cambiare, ma almeno aveva deciso di non abbandonarsi passivamente all’ineluttabile, come un naufrago nel mezzo di uno sperduto oceano.

    Un orologio a pendolo schioccò l’ora, e Viola si accorse che era tempo di andare. Anche se era in ritardo col suo giro le aveva fatto piacere essersi fermata, d’altronde l’aspetto relazionale era una delle componenti determinanti del suo lavoro e al diavolo la maledetta fretta, che talvolta le impediva di potersi fermare a parlare con i malati.

  • Riccardo, mi sa che devo andare, ho altri pazienti…
  • Certo, anzi scusa se ti ho trattenuto più del dovuto.
  • Non ti preoccupare, mi ha fatto piacere..
  • Anche me..domani vieni tu?
  • Certo! Così ti ricarico la “bombarda” e ti faccio stare bene – disse Viola sorridendo risaltando i perfetti denti bianchi che esprimevano un sorriso sincero e rassicurante.
  • Bene! Ti aspetto – disse Riccardo dandole la mano.

Viola la prese tra le sue stringendola forte e lo salutò. Si mise lo zaino in spalla e salutando Rebecca andò in macchina.
Uscendo dal cortile si accorse che stava paradossalmente molto meglio di quando era arrivata..delle volte-si chiese, sorridendo con se stessa-non si sa bene se è l’infermiere che conforta il malato o viceversa, probabilmente l’arricchimento dell’esperienza poteva era reciproco, un interscambio emozionale in un contesto di vasi mentali comunicanti, una contaminazione positiva, terapeutica per entrambi.

III

Come tutte le mattine, quasi fosse un rituale laico Viola, dopo aver passato il suo badge nel marcatempo, entrò in sede, scambiando velocemente due chiacchiere con le colleghe mentre beveva un caffè al volo, condividendo eventuali aggiornamenti sui pazienti in carico o novità organizzative, dopo di che si apprestò ad andare in macchina col suo zaino rosso vivo carico di dispositivi medici, pronti all’uso.

Aveva un giro abbastanza tranquillo, e decise di tenere Riccardo per ultimo, poiché coincideva con la ricarica dell’elastomero; inoltre sarebbe riuscita a gestire meglio il tempo e, se riusciva, si sarebbe fermata a parlare con lui…aveva notato che gli dava beneficio e, non lo negava a sé stessa, dava beneficio pure a lei. Un interscambio relazionale piacevole e terapeutico: d’altronde era risaputo che il tempo della comunicazione è tempo di cura, lo diceva pure una legge recente. Mentre ingranava la marcia e partiva pensava a Roberto…non si era fatto sentire, al contrario di quello che aveva previsto, e la cosa la metteva a disagio. Si era prefissata di non chiamare, ma di aspettare passivamente sue notizie, forse più per una questione di orgoglio che di strategia psicologica.

Il grigiore nebbioso e umido perdurava, e di certo non favoriva ottimismo e pensieri solari. La mattinata trascorse in maniera consueta, qualche fleboclisi, un paio di medicazioni, i soliti piacevoli inviti da parte dei caregiver a prendere un caffè o una fetta di dolce, scambi di parole su come stavano i pazienti, ma anche sul tempo, la politica e su altri argomenti improvvisati. Uno degli aspetti più piacevoli dell’assistenza domiciliare era proprio quello comunicativo, e il rapporto che si creava specialmente con gli assistiti in carico da tempo. L’assistenza a casa era diversa da quella ospedaliera, dove le regole le detta quotidianamente la struttura attraverso il personale sanitario, mentre quando entri in casa delle persone la faccenda è molto diversa, e le regole le dettano loro. La presenza deve essere sempre discreta, mai invadente; quando si entra nel mondo di altri, in un contesto così intimo come un’abitazione, devi farlo in punta di piedi e spesso, solo guardandoti in giro con sensibile attenzione, puoi riuscire a capire molto sul microcosmo di chi la abita. Una sorta di percezione istintiva, supportata dall’esperienza e dalla sensibilità individuale. Ogni odore, più o meno piacevole, la disposizione e le caratteristiche degli oggetti, più o meno ordinati, il canale televisivo in onda, col volume più o meno alto, e tutta una serie di altri elementi disegnano, a livello mentale un quadro, dove i colori sono costituiti dalle vite degli esseri umani che vi abitano, con le loro storie, abitudini, gioie e tristezze, virtù e miserie, con i vissuti che trasudano dalle pareti attraverso la scelta di un colore piuttosto che un altro, di vecchie fotografie che ricordano tempi passati, quadri incomprensibili, carte da parati dai disegni anacronistici e una miriade di altre espressioni legate alle singole esistenze e alle loro storie, uniche e irripetibili. Questo pensava Viola mentre la mattinata stava volgendo al termine, e quando la Panda bianca imboccò la carreggiata ghiaiata che portava alla casa di Riccardo, che si intravedeva in lontananza, abbracciata da una natura ordinata che pareva venerarla come un tempio.

Mentre entrava nel cortile, ebbe nuovamente la sensazione piacevole nel vedere quel giardino ordinato e curato. Una volta parcheggiato e uscendo dalla macchina, Flou e Rebecca le vennero incontro. Quest’ultima aveva un sorriso tranquillizzante e magnetico che aveva già percepito la prima volta, percezione che trovava conferma anche nel secondo incontro. Entrando nel salone guardò Riccardo che appena la vide la salutò, alzando la mano. Tippy era sdraiata ai suoi piedi e la guardava sorniona senza scomporsi, come se fosse già diventata una di casa. Viola strinse le mani di Riccardo e notò, rispetto al giorno precedente, che tendeva all’assopimento, e il viso era contratto e sofferente.

  • Riccardo buongiorno! Come andiamo?
  • Oggi non tanto bene Viola…il dolore va e viene spesso..non è un buon giorno oggi. E’passata la dottoressa prima e ha fatto una nuova prescrizione per la morfina, ha detto che

    aumentava il dosaggio…è li sul comodino.

  • Ok, adesso guardo.Viola prese il diario assistenziale, e vide che effettivamente il dosaggio era stato aumentato di un terzo.

– Bene…allora ti carico l’elastomero…dopo dovresti stare meglio.
Riccardo era silente, e Viola pensò che dopo aver svolto ciò che era di sua competenza, se ne sarebbe andata, poiché non le sembrava il caso di fermarsi vista la situazione.
Il silenzio era rotto solo dallo scoppiettare del fuoco…Riccardo teneva gli occhi chiusi e pareva attendere il momento in cui la morfina, potentemente dosata, gli scorreva di nuovo nelle vene, inseparabile e insostituibile alleata, una “mano santa” liquida che permeava con piacevole invadenza il corpo malato lenendo, almeno in parte, quel dolore che attanagliava ogni singola fibra, che mordeva incessantemente come un cane rabbioso, feroce e malvagio.

Una volta terminate tutte pratiche assistenziali, viola prese lo zaino e si apprestò a salutare Riccardo.

  • Dove vai? chiese lui.
  • Ho finito Riccardo, torno domani.. Lui le prese la mano, fermandola.
  • Rimani un poco, per favore, solo qualche minuto, la tua presenza mi fa stare meglio..non sono molto di compagnia oggi, ne sono consapevole, ma riesco ancora a parlare – disse accennando forzatamente ad un sorriso.
  • Ok, se vuoi rimango un pò..
  • Siediti, qui alla mia sinistra, così sei anche vicino al camino e ti scaldi un po’. Viola prese una sedia, e si accomodò dove aveva indicato Riccardo.

– Ti dispiace se tengo gli occhi chiusi? La luce mi da fastidio…Certo che il vostro lavoro deve essere molto difficile, specialmente con pazienti come me, così gravi intendo.

Viola rimase per un momento disorientata dall’inaspettata domanda, ma d’altronde aveva di fronte una persona perfettamente consapevole del suo stato, pertanto si sentiva di parlare piuttosto liberamente.

  • Si, è difficile…delle volte ti mette a dura prova emotivamente..di pazienti gravi, come dici tu, ne abbiamo sempre, e talvolta purtroppo anche bambini, e in quei casi diventa ancora più critica la situazione..
  • Immagino! Con i bambini deve essere straziante, mantenere lucidità professionale e limitare il coinvolgimento emozionale presumo sia una dura battaglia…ma non avete nessun supporto?
  • Il supporto ce lo facciamo tra di noi, per quello che possiamo…in certi casi ci solleva un pò, ma l’ideale sarebbe avere un supporto strutturato da uno psicologo competente, che ti possa fornire gli strumenti per fronteggiare le situazioni di crisi che inevitabilmente si presentano. Stiamo lavorando a un progetto, ma ci hanno già detto che per ora le risorse sono limitate, ma per il futuro stanno prendendo in considerazione la cosa.
  • Ma il progetto in cosa consiste?
  • È un progetto semplice tutto sommato, ma serve per regolamentare i criteri e le modalitàdi accesso al servizio di supporto psicologico, definendo tutta una serie di elementi che concretamente ci possano dare un aiuto qualora noi lo ritenessimo necessario, sia singolarmente che in gruppo. In certi momenti, sarebbe molto importante avere una persona competente che ti ascolta, che ti guida, che ti aiuta a decodificare certe emozioni, che da negative potrebbero diventare addirittura positive, aiutandoti a capire come superare i momenti di crisi, e che possano servire anche come esperienza costruttiva per altri contesti futuri simili, rendendoti più resiliente e con difese maggiori, senza per questo perdere empatia col paziente.
  • Certo che il rischio di perdere l’empatia, come meccanismo di difesa, ci potrebbe stare.
  • Assolutamente! Ma è una battaglia contro se stessi alla fine..le emozioni non si possono reprimere, è solo una pura illusione e non ha neppure senso, quello che possiamo fare è tradurle, capirle, e indirizzarle in modo proficuo interiorizzandole e facendole diventare unpunto di forza.
    Tippy si avvicinò in modo felpato al braccio sinistro di Riccardo e si sdraiò, stirandosi nello spazio tra il braccio e il tronco, iniziando a fare le fusa guardando il suo amico umano. Con la sua mano destra ossuta e leggermente tremante, Riccardo le accarezzò delicatamente il pelo accennando a un sorriso.
  • Che esseri meravigliosi gli animali, chiedono poco e ti danno molto! Non sai quanta compagnia e quanto beneficio mi hanno dato in questo periodo. Il contatto con questo pelo morbido come la seta sono endorfine pure. Chissà cosa si proverà dopo?
  • Dopo in che senso?
    Viola rispose repentinamente d’istinto, e solo dopo capì a cosa si riferiva, mordendosi la lingua per non aver pensato prima di rispondere, con una domanda, che le pareva indelicata.

– Dopo la fine di questa vita umana. Tu credi che ci sia una sorta di futuro che ci aspetta? Stavolta Viola pensò alla risposta, cercando col raziocinio di esprimere un’opinione sincera ma adeguata alla situazione. Uno strano silenzio avvolse il salone, una calcolata razionalità combatteva con l’istintiva volontà di condividere una visione ontologica che temeva non potesse giovare in quel contesto, poi la forzata ponderatezza lasciò spazio alla nuda verità.
Perché cercare di edulcorare un pensiero? chiese a sé stessa.

  • No, Riccardo, io credo sinceramente che la morte sia una sorta di interruttore che, una volta premuto, generi un impersonale buio, un nulla privo di qualsiasi emozione, ricordi, un immanente sonno profondo senza sogni.
  • Ah ok…io invece credo di no. Ma non lo penso ora che ho un piede, anzi ormai tutti e due, nella fossa, è una convinzione che è cresciuta dentro di me nel corso degli anni. Quando insegnavo mi interessavo di storia e filosofia delle religioni, e senza averne mai abbracciata una in particolare con un approccio fideistico, sono arrivato alla conclusione che la vita umana è solo una parte di un viaggio, e che il corpo non è che un vestito che siamo destinati inevitabilmente ad abbandonare. Spesso ho la percezione che sia addirittura una prigione, che ci impedisca di vedere, di percepire la vera Realtà in tutta la sua meravigliosa completezza. Non credo che siamo qui per caso, lo riterrei sinceramente e semplicemente banale. Noi siamo qualcosa di più di un ammasso di cellule sguazzanti in un involucro d’acqua.
  • Beh, sinceramente mi piacerebbe sperarlo…un’anima libera senza spazio e senza tempo che esplora dei non-luoghi per l’eternità, ma ahimè proprio non ci credo! Non ce lo meritiamo neppure, siamo infidi e malvagi, non vedi il mondo che ci circonda? Quale Dio permetterebbe ciò che accade ogni giorno in diverse parti della globo? Quali atrocità inenarrabili è arrivato a compiere l’essere umano da quando ha messo piede su questa terra che, tra l’altro, stiamo distruggendo con le nostre mani.
  • Non ti voglio certo convincere, ed è vero che la malvagità è onnipervadente, ma il male non è ancora padrone del mondo! Se così fosse l’umanità non esisterebbe già da secoli, ci saremmo già autodistrutti! Non credi? Ma alla fine, anche se non sembra, il bene è trionfante e lo vedi nella quotidianità di milioni di vite…anche il nostro essere qui, ora, è una cosa malvagia? Direi proprio di no, cosa dici? Ognuno di noi, in ogni istante, anche con piccoli gesti d’amore, e con lo stesso amore che prova per i propri simili, come ad esempio quello tra i più potenti, e mi riferisco ai genitori nei confronti dei propri figli, oppure alle vere amicizie, quando hai la forza di dimenticarti di te stesso, del tuo avido ego, e ti dedichi agli altri senza cercare un tornaconto, quando la ricerca del bene dell’altro supera la ricerca del tuo. Una figura che mi ha sempre affascinato tanto, per cercare di farti capire il mio pensiero, è san Francesco d’Assisi..si è spogliato di tutto vivendo nell’essenziale, in un connubio metafisico con la natura, gli animali, cercando con coerenza di concretizzare coi fatti, con le sue azioni, con la sua stessa vita, ciò che credeva e ciò in cui credeva…il suo “sguardo” andava oltre la materialità con annessi e connessi, come il potere, il denaro, l’agio, ottenuto spesso a discapito di altri.
  • Quindi credi nel paradiso e nell’inferno…in un Dio giudicante che pesa con una bilancia spirituale il male e il bene che hai fatto nella vita…
  • Credo che esista una Legge, universale e precostituita, dove il giudizio delle proprie azioni sia inderogabile, e il giudice stesso non è una potente figura metafisica che punta un dito, ma è lo stesso individuo che non può sottrarsi alla Regola…quella legge non si può ingannare, arginare, circuire, magari affidandoti a buon avvocato, e se esiste un altro mondo non puoi entrarci senza fare i conti col male che hai volontariamente fatto nella tua esistenza, questo credo…penso che l’infermo da te menzionato non sia un luogo ma uno stato dell’anima, penoso e raccapricciante come non possiamo lontanamente immaginare, e lo stesso vale per l’opposto, una condizione di bene estatico senza i legacci della mente e soprattutto del corpo, dove il massimo grado di felicità che abbiamo provato in questa vita al confronto non è nulla…la nostra struttura mentale e materiale ci impedisce la visione della Realtà, perché non credo saremmo in grado di reggerla con la nostra debole psiche. Ed è giusto così! La vita terrena è un’esperienza, con le sue caratteristiche, e tale va vissuta. Ciò che viene dopo è un’altra storia. Mi ritengo fortunato, mia cara amica, perché ho pochissimi rimpianti e ancora meno rimorsi, e sono ormai pronto per il grande salto. La malattia, nella sua distruttività, mi ha dato modo di fare una sorta di punto della situazione, e di prepararmi al viaggio più importante.

Il tono della voce era debole ma, al contempo, sicuro e determinato, uno spirito forte in un corpo fragile! Ormai era tempo che quel vecchio vestito fosse gettato, sostituito da indumenti nuovi. Viola aveva ascoltato con attenzione le riflessioni di Riccardo, e sebbene non riusciva a condividere, e forse neppure a capire, quei pensieri che andavano oltre la sua visione della vita, non poteva fare a fare a meno di ripensarci continuamente, come un tarlo inarrestabile che rodeva la polpa del morbido salice e che non dava la benché minima tregua. Inutile negarlo, quei discorsi l’avevano messa a disagio, e non riusciva a capirne il motivo. D’altronde, pensava, Riccardo aveva solo espresso personali riflessioni, concetti partoriti da un malato terminale sotto l’effetto della morfina. Viola, dentro di sé, cercava quasi di giustificare quelle frasi come l’espressione di una condizione patologica, e improvvisamente ne provò vergogna. Non amava parlare della morte, anzi evitava accuratamente di farlo se poteva, e pensò che Riccardo avesse toccato qualche angolo oscuro e profondo della sua mente, dove era meglio non addentrarsi, aveva soffiato via la polvere alzando una fosca nube, portando alla luce vissuti che volevano rimanere sospesi in un assonnato oblio. Ma il raziocinio e la volontà di controllo di Viola si imposero ancora una volta, chiudendo la porta di una stanza, piccola e buia in cui regnava odore di stantio, ma che prima o poi avrebbe dovuto trovare la forza di riaprire e finalmente arieggiare, permettendo alla luce di entrare e inondarla di colori. Le parole di Riccardo, pensò invece, con una franchezza ritrovata, erano tutt’altro che farneticazioni dovute a un farmaco o a uno stato fisico…le idee le aveva molto chiare, ed erano frutto di una mente saggia e di una forza d’animo potente che esprimeva coraggio e dignità…- se fossi io in quello stato – pensò – sarei in preda all’angoscia e alla disperazione.

  • Ti vedo silenziosa.
  • Stavo pensando alle tue parole…
  • Non ti voglio mica convincere. Disse Riccardo aprendo gli occhi e sorridendo guardandoViola.
  • Finalmente vedo i tuoi occhi! Replicò Viola sorridendo anch’essa.
  • Prima mi dava fastidio la luce, ora sto meglio…sarà la morfina…sarà la tua compagnia e lenostre chiacchiere…
  • Quello che conta è che ti preferisco ora, più…tonico!!
  • Comunque mia cara, impareremo la verità solo quando sarà il nostro momento…iosicuramente prima di te…poi se hai ragione tu..zac! si spegne la luce ed è finito tutto..e pazienza! Se invece ho ragione io, poi magari ci ritroveremo a riparlarne in un’altra dimensione, senza questi accidenti di orpelli che mi trovo attorno.

    I due sorrisero.

  • Bene, ora devo andare…mi fa piacere lasciarti un po’ più vispo..prima non ti avevo vistomolto bene.
  • Si, sto decisamente meglio…aiutami a tirarmi su…ho un dolorino di pancia che mi sa che devo chiamare Rebecca..
  • Se vuoi ci sono io, è il mio lavoro..
  • Ti ringrazio ma proverei imbarazzo, preferisco lasciarti il ricordo dei nostri dialoghipiuttosto che altri di tipo escrementizio, sicuramente meno accattivanti.
  • Ok, ma non c’erano problemi.
  • Lo so..ti ringrazio per quello hai fatto per me.
  • Mah…purtroppo non ho fatto molto..
  • Te l’ho già detto…sai ascoltare e mi hai permesso di condividere pensieri importanti inquesto momento…mi hai fatto stare meglio…anzi..mi hai fatto stare bene! Non c’è oro al

    mondo….

  • Cerca di essere più sveglio domattina.
  • Agli ordini! Mi impegnerò, te lo prometto! Poi magari facciamo discorsi meno impegnativi..
  • Ma si!! Basta con questi esistenzialismi!! Domattina mi racconti un po’ dei tuoi viaggi..

–  Ok! Allora vada per i viaggi!!

I due sorrisero stringendosi le mani. Viola accarezzò Tippy, poi si diresse decisa verso l’uscita, non dimenticando di andare in cucina per salutare Rebecca.
Quando uscì, ebbe quasi l’impressione che la grigia bruma lasciasse spazio a un po’ di sole, ma era solo un’illusione, probabilmente uscire dal salone poco illuminato le aveva fatto questo effetto. Prima di salire in macchina si fermò ad ammirare il giardino…si sentiva bene, molto meglio di quando era arrivata..era proprio vero..le relazioni possono irrompere nelle solitudini sciogliendole come neve al sole. In quei momenti Viola amava il suo lavoro più di ogni altra cosa.

IV

L’orizzonte era ricoperto, su tutti i fronti, da nuvole grigio blu, che si facevano sempre più minacciose, vicine e imponenti. Il vento urlava impetuoso, più il tempo passava più si faceva potente, terrificante, arrivava fino all’anima schiaffeggiandola, annichilendola…il grigio blu stava inglobando il tutto e si faceva sempre più scuro..l’uomo nudo si inginocchiò prostrato, spaventato, senza più energie per reagire, ormai l’orizzonte era sparito, tutto era un vento blu onnipervadente, e l’uomo stava soccombendo a quella forza in una lotta finale; rivide la sua vita come veloci fotogrammi che si avvicendavano a un ritmo incalzante, prorompente, sempre più veloci..velocissimi…i sensi erano persi in un vorticoso oblio..ormai l’uomo nudo, steso e con le braccia e mani aperte rivolte al cielo, sentiva che si stava dissolvendo nelle sue stesse emozioni, provate nel rivivere, in uno spazio senza tempo, la sua vita terrena, la sua esperienza di uomo….poi d’un tratto un tepore materno lo avvolse e una calma inesprimibile si impadronì di lui, facendolo sprofondare in uno stato di totale quiete, di assoluta e profonda tranquillità…il vento smise di soffiare e attraverso le palpebre chiuse percepì una luce, calda e rassicurante…l’uomo nudo aprì gli occhi e vide sopra di lui il cielo di un azzurro intenso, senza la benché minima traccia di nuvole. Le sue mani si stringevano a pugno nella sabbia finissima e tiepida…l’uomo si mise prima seduto, poi si fece forza e si erse in piedi. Ora l’orizzonte era chiaro, nitido, terso…un deserto di maestose dune lo circondava su tutti i lati a perdita d’occhio, la fine sabbia gialla, leggermente mossa da una brezza leggera pareva, nel suo lento movimento, intonare note musicali, appena percettibili, come una dolce melodia armonica che si esprimeva in un canto, bellissimo, come mai aveva sentito prima, che lo invitava ad entrare in una dimensione nuova dello spirito, spogliato della sua identità umana, e pronto a rinascere e ad abbracciare tutto ciò che lo circondava…i movimenti delle sue mani facevano danzare la sabbia in forme melodiose, più le alzava e più i mulinelli di sabbia si elevavano al cielo..la sensazione era fantastica..le braccia si muovevano sempre più velocemente verso l’alto e i vortici di sabbia gialla si innalzavano fino a raggiungere il cielo azzurro…l’uomo nudo le seguì..fino a scomparire in mezzo a milioni di fini granelli evanescenti nell’etere.

Riccardo si svegliò..erano le tre di notte! Il camino emanava ancora una flebile luce dalle braci ormai agonizzanti, il silenzio custodiva il salone, come a proteggere un luogo sacro. Il suo cuore palpitava, ma non per la paura, per l’angoscia, ma per lo stupore provato dalla vividezza di ciò che aveva sognato. Forse la morte era così, un viaggio fantastico senza risveglio, pensò. O forse era soltanto un sogno partorito da una mente stanca della vita e della sofferenza. Ma qualunque cosa fosse lo faceva stare bene, ed era ciò che contava. Riccardo chiuse gli occhi, accarezzando la sua micia addormentata stesa accanto a lui, e una mano invisibile lo riaccompagnò in un dolce sonno, estasiato e profondo.

V

Quella mattina Viola si sentiva proprio bene! Roberto aveva finalmente richiamato ed erano stati a lungo al telefono per parlare, chiarirsi, riconciliarsi, ritrovarsi di nuovo. Una nebbia fitta impregnava le strade, ma le previsioni avevano messo sereno, quindi sperava che entro la tarda mattinata spuntasse finalmente un po’ di sole. Nella programmazione doveva fare 4 prelievi, poi sarebbe andata da Riccardo. Aveva pensato molto alle chiacchierate che avevano fatto, parlare con lui l’aveva fatta star bene, le aveva infuso speranza e soprattutto un senso indefinito di quiete interiore, facendole apprezzare di più la quotidianità dell’esistenza, cercando di evitare le inutili lamentele con cui ci si arrovella inutilmente e affannosamente tutti i santi giorni…spesso fini a se stesse con uno spreco inutile di energia, un velo scuro che copre gli occhi e che impedisce di vedere la bellezza della vita nella sua quotidianità, pur con le difficoltà soggettive insite fisiologicamente nello stesso vivere.

Viola imboccò la stradina immersa nella bruma, ma che ormai conosceva bene. Quando voltò nel cortile, vide il medico della guardia medica che usciva di casa. Spense la macchina e senza dire niente a sé stessa uscì, lentamente, quasi a voler tardare il più possibile l’entrata in casa. Scambiò un saluto fugace col medico attraverso lo sguardo, e mentre entrava vide Rebecca che le andò incontro piangendo. In quel momento i dubbi divennero certezze. Non dissero una parola e Rebecca l’abbracciò affettuosamente, come una sorella. Sentiva le sue lacrime bagnarle il viso, avevano odore di stanchezza. Entrò nel salone e vide Riccardo che giaceva, senza vita, composto, sul letto, ai cui piedi era acciambellato Flou dallo sguardo languido e triste. Viola appoggiò lo zaino e si avvicinò in religioso silenzio.

Il suo volto magro aveva un’espressione serena. Si guardò intorno pensando che, se esisteva un’anima, lui era li che la guardava e le sorrideva. Gli prese le mani e le strinse forte. Stava per piangere ma contrastò quell’emozione, quasi a voler ammettere, forzatamente, che in fin dei conti lo conosceva solo da tre giorni, e che era il suo lavoro, non poteva soccombere alle emozioni, doveva resistere e averne, con illusoria convinzione, il controllo.

Rebecca le si avvicinò e le diede un libro, consunto dal tempo.
– Riccardo ieri sera si raccomandò di dartelo, forse se lo sentiva. Stamattina non si è più

svegliato, ed è rimasto in coma fino a un’ora fa…poi se n’è andato.
Viola rimase immobile per diversi secondi, quasi imbarazzata ma felice per il prezioso dono. Il libro era l’apologia di Socrate. Aprì la prima pagina e vide che Riccardo le aveva scritto una lunga dedica. La lesse attentamente e richiuse la pagina. Si rese conto che probabilmente era il regalo più prezioso che avesse ricevuto in tutta la sua vita.
Dopo un ultimo saluto abbracciò di nuovo Rebecca.

  • Grazie. Le disse la sorella di Riccardo.
  • Non devi ringraziarmi..non ho fatto nulla di particolare.
  • Hai fatto molto più di quanto credi. L’hai ascoltato, hai lenito la sua sofferenza con laparola e, anche se per poco tempo, per lui sono stati momenti preziosi. Sei una brava persona e un’eccellente professionista..continua così e non lasciare che la stanchezza, la routine, le vicende della vita ti privino di questa virtù.

Le due donne accennarono entrambe a un sorriso discreto guardandosi negli occhi, dopo di che Viola riprese lo zaino e tornò alla macchina prendendo la documentazione per chiudere la cartella, ultimo atto impersonale che archiviava, per il servizio sanitario, la presa in carico del paziente.

La Panda bianca uscì dal cortile ripercorrendo per l’ultima volta la stradina ghiaiata. A metà del percorso per arrivare alla provinciale, Viola si fermò, spense l’auto e sentì calde lacrime dal sapore salato scorrerle lungo il viso, il controllo aveva ceduto alla naturale e umana emozione che segue un lutto. Appoggiò la testa al volante e strinse forte a sé il libro. Il tempo pareva sospeso in quell’intimo momento, tutto suo, sola con sé stessa, senza pensieri, ma solamente ascoltando il proprio dolore.

Poi improvvisamente, quasi d’incanto, si riprese, e si accorse di quanto l’avesse cambiata quell’esperienza, quell’incontro, brevissimo, ma umanamente appagante. Non era in grado di identificare con precisione il perché, ma tale era il sentimento che provava: una piacevole, indefinita sensazione di appagamento interiore, di arricchimento e di gratitudine. E perciò si sentiva fortunata!

Destino? Un disegno preciso? Il caso? Non aveva una risposta, ma non era importante in quel momento.
Rimise in moto la macchina e si diresse verso la provinciale fino a scomparire all’orizzonte. Il grigiore del cielo nebbioso si diradò, lasciando spazio a un raggio di sole che perforò le nubi, inondando di luce la campagna dormiente.

Luca Venturini, Infermiere

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