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Studio RN4CAST: ridefinizione dei modelli previsionali del fabbisogno infermieristico in Italia.

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? Leggi ? Presentiamo uno studio realizzato da più autori sulla ridefinizione dei modelli previsionali del fabbisogno infermieristico nel nostro Paese, tra staffing, skill mix, turnover, burnout. La ricerca è stata curate anche dalla compianta Antonella Santullo.

Il numero di pazienti assistiti da ogni infermiere, le cure mancate, la qualità dell’assistenza e la sicurezza dei pazienti. Alcuni dati italiani dello studio RN4CAST per una riflessione condivisa. 

Lo studio è stato realizzato da Loredana Sasso, Annamaria Bagnasco, Milko Zanini del Dipartimento Scienze della Salute, Università degli Studi di Genova, Antonella Santullo (Dirigente Infermiera Ausl Romagna, deceduta nel 2017), Roger Watson (School of Health & Social Work, University of Hull, Hull, UK), Walter Sermeus (KU Leuven Institute for Healthcare Policy, Leuven, Belgium), Linda Aiken (Center for Health Outcomes and Policy Research, School of Nursing, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, USA) e Gianluca Catania (Dipartimento Scienze della Salute, Università degli Studi di Genova e Center for Health Outcomes and Policy Research, School of Nursing, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, USA). Scopriamo assieme di cosa parlano.

In sintesi.

Introduzione Diversi studi internazionali hanno dimostrato come staffing, formazione, skill mix, ambiente di lavoro, turnover, burnout e missed care impattano sugli esiti dei pazienti. Obiettivo di questo studio era ridefinire i modelli previsionali del fabbisogno infermieristico in Italia.

Materiali e metodi Sono state coinvolte 292 unità operative di medicina e chirurgia generale, in 40 ospedali su 13 regioni. Complessivamente sono stati inclusi 3716 pazienti e 3667 infermieri.

Risultati Lo staffing medio era pari a 9,5 (±4,92) pazienti per infermiere. Il 40% di infermieri dichiarava una scarsa qualità di cure erogate; il 23% un livello scadente di sicurezza. Le cure mancate medie erano pari al 41%. Il punteggio medio generato dalle 5 sottoscale che descrivono l’ambiente di lavoro era pari a 2,45.

Lo skill mix era pari al 56% con variazioni sensibili nell’ambito delle differenti realtà regionali, il 39% degli infermieri evidenziava un preoccupante rischio di burnout. Più di un infermiere su tre (36%) affermava che, se avesse avuto l’opportunità, avrebbe lasciato la professione nei successivi 12 mesi.

Conclusioni L’Italia oggi dispone di dati per avviare scelte evidence-based sullo staffing al fine di garantire esiti migliori. In assenza di standard nazionali si generano variazioni critiche dell’offerta sanitaria che determina elevata variabilità del rispetto dei principi etici di giustizia ed equità. L’Italia, al pari di altri Paesi occidentali, necessita di una normativa che definisca quali esiti sono garantiti ai cittadini sulla base dei livelli di staffing.

Parole chiave utilizzate.

Staffing, cure mancate skill mix, turnover, qualità delle cure, sicurezza del paziente, work environment, cure essenziali, burnout.

Introduzione.

La discussione quotidiana intorno alla carenza di personale sanitario infermieristico, la scarsità di risorse disponibili e soprattutto le consegenze di queste carenze sulla sicurezza dei pazienti hanno determinato, negli ultimi anni, studi e ricerche atte a determinare e dimostrare relazioni e conseguenze tra queste variabili.

Il ruolo ricoperto dagli infermieri negli ospedali costituisce la principale fonte d’informazione per il medico rispetto alla identificazione e comunicazione delle variazioni di salute del paziente. In particolari circostanze, sulla base della sorveglianza, del giudizio clinico, e di competenze specifiche gli infermieri erogano interventi in emergenza, spesso, in assenza del prescrittore al fine di prevenire eventi avversi o esiti infausti.

La relazione tra assistenza infermieristica e mortalità fu inizialmente dimostrata a partire dalla metà del XIX secolo, periodo in cui avvenne la riforma degli ospedali britannici condotta da Florence Nightigale durante la guerra di Crimea. All’epoca fu evidenziata l’associazione tra attività infermieristiche, più o meno erogate, e il loro impatto su una serie di esiti del paziente, inclusa la mortalità (Aiken & Smith et al., 1994).

Sebbene da allora i sistemi sanitari siano stati professionalità all’interno del gruppo (skill mix), il modo di ognuno di “stare” nel gruppo, ovvero la gratificazione, la soddisfazione o l’intenzione di cambiare ospedale (turnover) o addirittura lasciare la professione di infermiere, e il burnout giocavano un proprio ruolo.

Da queste premesse nacque lo studio Registered Nursing Forecasting (RN4CAST) finalizzato a ridefinire i modelli previsionali del fabbisogno infermieristico sulla base dell’ambiente di lavoro, dello skill mix degli infermieri e del loro impatto su esiti dei pazienti, turnover e burnout degli infermeri (Sermeus & Aiken et al., 2011) negli USA e in Europa. I modelli previsionali permettono di definire il numero ottimale di infermieri per rispondere ai bisogni assistenziali della popolazione (Aiken et al., 2002).

Lo studio RN4CAST dimostrò, in modo inequivocabile, che la carenza infermieristica influenza negativamente i sistemi sanitari e contribuisce ad un aumento generale dei costi. In particolare, fu evidenziata l’associazione tra il numero appropriato medio d’infermieri in organico (1 inf./6 paz.) e la significativa riduzione della mortalità (-30%) e, più in generale, il raggiungimento di esiti migliori per i pazienti (Aiken & Sloane et al., 2014).

I risultati dello studio RN4CAST conclusero che ogni oggetto di riforme che hanno contribuito ad innovare l’organizzazione degli ospedali, le principali linee di comando continuano a rimanere due: medica e amministrativa. Gli infermieri, tradizionalmente, rimangono subordinati ad entrambe le linee; pur continuando a rappresentare la principale forza lavoro che, a diretto contatto con il paziente, è in grado di produrre esiti positivi in risposta ai bisogni assistenziali della persona (Aiken & Smith et al., 1994). Infatti, è prevalentemente diffuso l’esercizio di una pratica professionale infermieristica caratterizzata da una limitata autonomia professionale, scarso controllo dell’ambiente di lavoro e inadeguata comunicazione con il personale medico rispetto alle decisioni cliniche importanti (Sasso & Bagnasco et al., 2017).

A partire dal 1981 negli Stati Uniti alla University of Pennsylvania, la prof.ssa Linda Aiken iniziò a studiare le necessità numeriche di infermieri in rapporto al numero dei pazienti, per determinare la migliore assistenza infermieristica e i migliori risultati per gli assistiti. Da questi studi emerse fin da subito, che non solo il rapporto numerico infermiere paziente aveva ricadute dimostrabili sugli esiti, ma anche la composizione del gruppo di assistenza (staffing), il livello di formazione raggiunta da ciascun membro del gruppo, la composizione tra varie volta che il rapporto pazienti-infermiere è inferiore o uguale a 6:1 la mortalità diminuisce del 20% nelle medicine e del 17% nelle chirurgie (Griffiths & Ball et al., 2016). Inoltre, la riduzione della mortalità è pari al 30% quando almeno il 60% del personale assistenziale possiede una formazione specifica infermieristica (Aiken & Sloane et al., 2014).

Gli studi disponibili dimostrano come i pazienti ricoverati in ospedali con determinate caratteristiche raggiungano esiti migliori rispetto a pazienti con caratteristiche cliniche e demografiche simili, ricoverati in ospedali con caratteristiche differenti. Ad esempio, in uno studio condotto in ambito cardiologico, fu dimostrata una differenza del 42% di probabilità di sopravvivenza nei pazienti con arresto cardiaco e caratteristiche cliniche simili ma trattati in ospedali diversi (Merchant & Berg et al., 2014). Uno dei fattori che spiegava i differenti livelli di esito era la variabilità nell’identificare un arresto cardiaco ospedaliero ed avviare una risposta appropriata e tempestiva.

Studi come questo confermano che il principale sistema di sorveglianza in ambito ospedaliero è rappresentato dagli infermieri: osservazione e valutazione continue sono tra le due principali caratteritiche che definiscono, infatti, l’assistenza infermieristica.

Scienze infermieristiche.

La responsabilità infermieristica implica un monitoraggio sistemico di allerta precoce, la diretta conoscenza delle condizioni e l’identificazione precoce delle variazioni cliniche del paziente (Page, 2004). Essi infatti, nell’esempio riportato, sono i primi professionisti ad essere presenti fin dai primi segni e sintomi di arresto cardiaco del paziente, avviano il trattamento iniziale e coordinano le attività per salvare la vita del paziente. Per questi motivi gli infermieri sono nella posizione ideale per identificare un arresto cardiaco ospedaliero e avviare interventi salvavita (Kutney-Lee & Lake et al., 2009).

In linea con il protocollo di ricerca internazionale RN4CAST, nel 2015 la prof.ssa Sasso dell’Università degli Studi di Genova ha replicato lo studio con l’obiettivo di ridefinire il fabbisogno infermieristico in Italia sulla base di: staffing, ambiente di lavoro, skill mix, turnover e burnout degli infermeri e del loro impatto sugli esiti dei pazienti.

Materiali e metodi utilizzati.

Questo studio osservazionale trasversale è stato condotto in ospedali identificati sulla base dei criteri di eleggibilità definiti a livello ospedale, infermiere e paziente. Erano inclusi ospedali i cui direttori generali avevano espresso il consenso informato a partecipare allo studio, con unità operative di medicina e chirurgia generale e assimilabili, e con un numero di posti letto >200. A livello infermiere erano considerati eleggibili coloro che firmavano il consenso informato e prestavano assistenza clinica diretta al paziente in regime di degenza.

I criteri di inclusione a livello paziente comprendevano: il consenso informato, 18 anni, ricovero da almeno 24 ore, capacità a compilare il questionario.

I dati sono stati raccolti attraverso un set di strumenti multi-paese validati, incluso l’Italiano (Squires et al., 2012), su quattro diversi livelli: aziendale, infermiere, amministrativo e paziente (Sermeus & Aiken et al., 2011).

Il livello aziendale, valutato con domande ad hoc, riguardava il rilevamento delle caratteristiche generali dell’ospedale come numero di posti letto, livello tecnologico, capacità formative dell’ospedale. Il livello infermiere indagava: ambiente di lavoro infermieristico (Practice Environment Scale of the Nursing Work Index – PES-NWI), burnout (Maslach Burnout Inventory – MBI), sicurezza delle cure (Agency for Healthcare Research and Quality safety culture questionnaire), le cure mancate (Misscare survey). Sono state valutate con domande sviluppate ad hoc e validate dagli autori del lavoro originale RN4CAST le seguenti variabili: qualità delle cure erogate, possibilità o meno da parte degli infermieri di raccomandare ad amici e familiari l’ospedale in cui lavoravano, soddisfazione professionale, intenzione di lasciare l’ospedale (Squires et al., 2012).

A livello amministrativo sono stati raccolti i dati relativi a mortalità ospedaliera, reingressi e altri esiti sui pazienti, misurati con nomenclatori specifici: International Classification of Disease – ICD-9 e ICD-10 e Diagnosis Related Groups – DRG.

Infine, il quarto livello era rappresentato dalla raccolta dati sulla percezione dei pazienti rispetto alla comunicazione tra professionisti, informazioni ricevute durante la somministrazione dei farmaci e alla dimissione.

Ai pazienti, inoltre, era richiesto di indicare se ritenevano o meno consigliabile, a familiari e amici, l’ospedale in cui erano ricoverati. Lo strumento utilizzato era la versione ridotta validata del Consumer Assessment of Healthcare Providers and Systems survey (CAPHS) (Squires et al., 2012).

Lo studio è stato avviato dopo parere unico favorevole del comitato etico del centro coordinatore dello studio (#028REG2015). Tutti i soggetti invitati a partecipare allo studio hanno ricevuto il foglio informativo e il modulo di consenso informato. Ai soggetti che accettavano la partecipazione allo studio era richiesta la firma del consenso informato. Gli infermieri inclusi nello studio hanno compilato la versione elettronica del questionario, mentre i pazienti hanno ricevuto la versione cartacea del questionario paziente. Al fine di ridurre il bias di misurazione, la raccolta dati nelle unità operative coinvolte è avvenuta a cura di studenti infermieri dei corsi di laurea magistrale in scienze infermieristiche o infermieri di unità operative non coinvolte nello studio.
L’avvio dello studio è stato preceduto da un evento formativo di 4 ore, erogato ai responsabili locali della ricerca, nel quale sono stati illustrati gli obiettivi e le procedure al fine di uniformare la raccolta dati nei diversi centri partecipanti.

Per questo studio descrittivo le variabili qualitative sono state sintetizzate in termini di frequenza assoluta e percentuale, mentre le variabili quantitative con indici di centralità, media, e di dispersione, deviazione standard.

Il livello di staffing e di skill mix sono stati calcolati sulla base della risposta degli infermieri alle domande che indagavano il numero di pazienti assistiti nell’ultimo turno di lavoro, e il numero di infermieri e operatori socio-sanitari presenti nell’ultimo turno. Tutte le analisi sono state condotte con il software SPSS versione 21.

Risultati.

Questo articolo riporta i risultati principali generati dalla survey condotta a livello infermiere. Lo studio RN4CAST in ambito italiano è stato condotto complessivamente in 292 unità operative di medicina e chirurgia generale e assimilabili, distribuiti in 40 ospedali su 13 regioni, con una adesione pari all’81%. Complessivamente sono stati inclusi 3716 pazienti e 3667 infermieri (Sasso & Bagnasco et al., 2017).

La tabella 1 riporta le caratteristiche demografiche/professionali principali del campione in studio.

Per quanto riguarda lo staffing degli infermieri, lo studio italiano ha rilevato una media nazionale di 9,5 (±4,92) pazienti per ogni infermiere nei reparti di medicina e chirurgia generale e assimilabili.

Nello studio italiano la percentuale di infermieri che hanno dichiarato un livello scadente o basso di qualità delle cure erogate è pari al 40%; la percentuale di infermieri che hanno dichiarato un livello scadente o mediocre di sicurezza è pari al 23%.

Il 9,8 % degli infermieri percepisce regolarmente il rischio di commettere errori nella somministrazione della terapia, il 15 % il rischio di insorgenza di lesioni da decubito, l’11,3 % il rischio di ferite in seguito a caduta, il 28,4 % il rischio di insorgenza di infezioni urinarie, il 13,2 % infezioni sistemiche e il 19,7 % infezioni polmonari (Tabella 2.).

Rispetto alle analisi sulle cure mancate, i dati italiani dimostrano che la percentuale media di cure mancate era pari al 41%.
Il numero medio di attività non svolte per mancanza di tempo dal singolo infermiere è pari a 3,8 (± 2,5). Tra le cure mancate identificate dagli intervistati emergono le seguenti: igiene orale, educazione terapeutica al paziente e alla sua famiglia, cambio della postura, pianificazione delle cure, sorveglianza adeguata al paziente, comfort e dialogo al paziente, preparazione alla dimissione.

Il 59% degli infermieri intervistati dichiara di svolgere attività varie non assistenziali (ad esempio, attività burocratiche, compilazione di moduli per servizi non infermieristici, trasporto di pazienti, e altre).

I dati sull’ambiente di lavoro in Italia, definito come l’insieme di caratteristiche organizzative del contesto lavorativo atte a facilitare o ostacolare l’assistenza, hanno evidenziato un punteggio medio pari a 2,45 – su una scala da 1 a 4 il cui valore neutro è fissato a 2,5; i risultati inferiori al valore neutro indicano che la dimensione analizzata è un punto di debolezza dell’Azienda; superiori al valore neutro rappresentano un punto di forza (Lake, 2002).

Rispetto all’indice complessivo di skill mix, ovvero il rapporto di assistenza tra personale qualificato e non qualificato nel team assistenziale, il dato italiano era pari al 56% con variazioni sensibili nell’ambito delle differenti realtà regionali.

I dati relativi allo studio condotto in Italia indicavano che il 39% degli infermieri evidenziava un preoccupante rischio di burnout.

Inoltre, i dati sulla soddisfazione hanno permesso di evidenziare come la maggior insoddisfazione sia determinata da diversi fattori, inclusi: scarsa autonomia professionale, scarse prospettive di carriera, limitate opportunità formative, e livello salariale.

Più di un infermiere su tre (36%) affermava che, se avesse l’opportunità, lascerebbe la professione nei successivi 12 mesi (Sasso & Bagnasco et al., 2017).

Discussione e conclusioni.

Per la prima volta in Italia, grazie allo studio RN4CAST, si è potuto descrivere il livello di staffing e le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, e un insieme di esiti infermieristici tra cui le cure non erogate per mancanza di tempo (missed care) l’intenzione di lasciare l’ospedale e il burnout. Questi dati permetteranno al nostro paese di procedere con una valutazione complessiva delle condizioni e degli ambienti di lavoro degli infermieri e dell’impatto dell’infermieristica sugli esiti dei pazienti.

Il dato medio italiano del livello di staffing pari a 9,5 pazienti per infermiere rappresenta un risultato preoccupante che si discosta dal dato medio europeo di 8 pazienti per singolo infermiere, e indica un livello molto elevato rispetto al dato indicato dalla letteratura come appropriato e sicuro per il paziente pari a 6 pazienti per infermiere (Aiken & Sloane et al., 2013; Ausserhofer & Schubert et al., 2013). Aiken et al., hanno dimostrato come per ogni paziente in piu assistito da un infermiere si producano esiti negativi per i pazienti in termini di un aumento della mortalità pari al 7% e, a livello infermiere, esiti negativi rappresentati da un aumento del burnout pari al 23% e dell’insoddisfazione sul lavoro del 15% (Aiken & Sloane et al., 2014; Aiken & Sloane et al., 2013).

Il confronto dei dati italiani con i dati internazionali porta alla conclusione che potenzialmente in Italia per ogni paziente in più assistito da un infermiere il rischio di mortalità aumenta del 21% rispetto agli ospedali italiani dove ogni infermiere assiste 6 pazienti.

In particolare, infatti, lo studio di Aiken pubblicato su The Lancet nel 2014 (2014), ha dimostrato che aumentare il carico di lavoro del singolo infermiere di un solo paziente produce un aumento del rischio di mortalità a 30 giorni dal ricovero del 7%, mentre aumentare del 10% il numero di infermieri determina una riduzione del rischio del 7%.

Queste associazioni indicano che negli ospedali in cui il 60% degli infermieri è laureato e ciascun infermiere assiste un numero di pazienti non superiore a 6 (1:6), si determina una riduzione della mortalità pari al 30%.

Rispetto a possibili soluzioni quali ad esempio l’implementazione nello staff clinico di figure tecniche (es. operatori socio-sanitari), la letteratura invita alla cautela.

Studi più recenti, infatti, hanno evidenziato che sostituire un infermiere con un operatore di supporto ogni 25 pazienti produce un aumento del rischio di mortalità del 21% (Aiken & Sloane et al., 2017).

I risultati relativi alle missed care, e alla sicurezza e alla qualità delle cure percepite dagli intervistati forniscono, complessivamente, informazioni sul collegamento tra ambiente di lavoro, livelli di staffing ed esiti nei pazienti.

In particolare, queste variabili evidenziano ciò che non avviene nel processo assistenziale, quali sono le cure infermieristiche omesse e come queste limitino la possibilità degli infermieri di erogare assistenza di qualità e impediscano, quindi, ai pazienti di ottenere prestazioni sicure ed esiti migliori.

Ad esempio si è dimostrato come la mancata deambulazione del paziente abbia prodotto esiti negativi nei pazienti, inclusi: nuovi esordi di delirio, polmonite, ritardo nella guarigione di lesione, aumento delle lesioni da pressione, aumento della degenza e ritardo nella dimissione, aumento del dolore e del discomfort, perdita muscolare e spossatezza, disabilità fisica.

Il dato italiano medio sulle cure mancate per mancanza di tempo pari al 41% includeva attività assistenziali come l’igiene orale, la mobilizzazione, il dialogo, l’educazione al paziente e alla famiglia, la sorveglianza appropriata, e lo sviluppo/aggiornamento dei piani assistenziali. Questi risultati dimostrano che gli infermieri italiani tendono a tralasciare attività distintive dell’infermieristica e specifiche per le competenze degli infermieri e, prevalentemente, erogano attività pratiche come la somministrazione di farmaci, e trattamenti e procedure prescritti da altri professionisti. Inoltre, confermano un ambiente di lavoro misto, tendente allo sfavorevole (punteggio medio italiano 2,45) con una linea di comando medica e amministrativa che probabilmente limita e non favorisce l’attuazione di una condotta autonoma da parte degli infermieri e rafforza una subordinazione ad entrambe le linee alle quali, quasi certamente, manca il background e la prospettiva infermieristica.
Questi risultati sono sovrapponibili con i dati disponibili in letteratura dai quali emerge come l’ambiente di lavoro influisca in modo significativo sulla qualità dell’assistenza erogata (Aiken & Sloane et al., 2017).

Infatti, nell’ottica della qualità e dell’efficacia del ruolo infermieristico descritti da Irvine (Irvine & Sidani et al., 1998), i dati dimostrano che le organizzazioni sanitarie mettono gli infermieri italiani nelle condizioni di esercitare una pratica quasi esclusivamente basata sul ruolo dipendente a scapito del ruolo indipendente e interdipendente nei quali sono espressi responsabilità e autonomia professionale.

Questo dimostra il fallimento di quelle organizzazioni sanitarie che, nell’ottica del miglioramento continuo della qualità definito dall’Agency for Healthcare Research and Quality, omettono di sviluppare implementare e valutare i processi legati al ruolo e alle funzione dell’Infermieristica.

Inoltre, il sistema oltre a non supportare gli Infermieri nel praticare i ruoli di efficacia del nursing descritti in letteratura – ruolo dipendente, indipendente, interdipendente – dimostra il naufragio delle condizioni essenziali e necessarie atte a promuovere e ottimizzare il potenziale della forza lavoro infermieristica.

Dobbiamo sottolineare che altri paesi oltre all’Italia soffrono questa situazione. Non a caso la letteratura internazionale indica che c’è qualcosa di culturalmente sbagliato nel modo in cui si eroga assistenza, in particolare sulle cure di base – fundamental of care – e alla mancanza di modelli pragmatici implementati per garantire ai pazienti l’inclusione dei loro bisogni fisici e psicosociali nella pratica e nei processi mentali, riflessivi e di valutazione da parte degli infermieri.

Alcuni autori (Kitson et al., 2013), infatti, hanno definito le fundamental of care come l’insieme delle attività di vita quotidiana riconosciute e affrontate dagli infermieri sotto la lente della relazione assistenziale persona-infermiere, della dimensione fisica e psicosociale dell’assistenza centrata sulla persona come ad esempio nutrizione, idratazione, eliminazione, comfort (inclusa la gestione del dolore) e il rispetto per la dignità e le scelte della persona (Tabella 3.).

Gli stakeholder dell’Infermieristica in Italia conoscono questi temi e le ricadute in termini di assistenza di base compromessa come anche i nostri risultati hanno evidenziato.

Infatti, sebbene la situazione si possa definire complessa è bene indicare che diverse realtà nel nostro paese implementano modelli focalizzati sull’assistenza centrata sul paziente, la continuità di cura e la presa in carico. Questi sforzi che gli infermieri compiono nell’attuare i processi previsti da questi modelli permettono, infatti, di coinvolgere attivamente il paziente nel processo assistenziale, di sviluppare piani assistenziali individualizzati attuati nel contesto assistenziali appropriato.

Alcuni autori (Aiken & Sloane et al., 2013) hanno affermato che è disponibile letteratura sufficiente, costantemente in aumento e aggiornata che suggerisce come gli attuali livelli di staffing e gli ambienti di lavoro non stiano determinando il livello di sicurezza e di qualità dell’assistenza atteso dai sistemi sanitari (Schubert & Ausserhofer et al., 2013; McHugh & Kutney-Lee et al., 2011) e richiesto dai pazienti e da tutti gli stakeholder coinvolti, inclusi gli ordini professionali.

La scarsa attenzione che tutt’oggi le linee di comando dei sistemi sanitari e delle aziende riservano agli studi sui modelli previsionali del fabbisogno infermieristico determinano, oltre ad un aumento dei rischi per i pazienti, una crescente insoddisfazione degli infermieri per il proprio lavoro, e un aumento delle spese sanitarie.

Questo studio ha dei punti di forza, in particolare ha reso disponibili per la prima volta in Italia dati su staffing, missed care e ambiente di lavoro raccolti su un ampio numero di ospedali italiani che complessivamente rappresentano circa il 20% degli ospedali con un numero di posti letto superiore a 200.

Lo studio presenta dei limiti tra cui il disegno trasversale che non permette di trarre conclusioni di tipo causale e il contesto di studio limitato alle medicine e chirurgie generali e assimilabili.

L’Italia oggi dispone di dati confrontabili con gli altri paesi europei per avviare scelte evidence-based rispetto ai livelli di staffing, e all’ambiente di lavoro finalizzati a garantire esiti migliori e a ridurre l’esposizione dei pazienti a rischi noti come mortalità e cure mancate.

La grande variabilità dei servizi sanitari regionali genera una complessità tale che solo attraverso l’analisi di più dimensioni, ben definite in letteratura, ci potrà rendere maggiormente comprensibile il fenomeno. In assenza di standard nazionali si generano variazioni critiche dell’offerta sanitaria che determina elevata variabilità del rispetto dei principi etici di giustizia ed equità.

L’Italia, al pari di altri paesi occidentali, dovrebbe produrre una normativa che permetta di definire quali esiti sono garantiti ai cittadini sulla base dei livelli di staffing.

Conflitto di interessi.

Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti.

Lo studio è stato condotto grazie ai finanziamenti incondizionati di Associazione Nazionale Infermieri Medicina Ospedaliera (ANIMO), Nursind, Regione Liguria.

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Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare tutti i pazienti, i Direttori Generali, i Dirigenti Infermieristici, i Coordinatori, gli Infermieri e gli studenti che hanno collaborato alla realizzazione dello studio RN4CAST@IT.

In ricordo di Antonella Santullo che ha collaborato al progetto RN4CAST@IT.

L’immagine sorridente e luminosa di Antonella resterà con noi, ci accompagnerà nel nostro lavoro. Nel nostro essere Infermieri tutti i giorni.

Abstract.

Descriptive analysis of nurse staffing, missed care, quality of care and patient safety: a shared reflection about Italian RN4CAST study

Introduction

Several international studies showed how staffing, education, skill mix, work environment, turnover, burnout and missed care impact on patient outcomes. The aim of this study was to redefine the predictive models of nursing staffing needs in Italy.

Methods

Two hundred ninety-two operative units of Medicine and General Surgery of 40 hospitals in 13 Italian regions were involved. A total of 3716 patients and 3667 nurses were enrolled.

Results

The average staffing was 9.5 (± 4.92) patients per nurse. Forty per cent of nurses reported a poor quality of care provided; 23% a reduced level of patient safety. The average missed care was 41%. Average score from the five work environment subscales was 2.45. The skill mix was 56%; 39% of the nurses showed a significant risk of burnout. More than one in three nurses (36%) reported that if he/she had had the chance, he/she would have left the nursing profession in the following 12 months.

Conclusions

Italy currently holds data to initiate evidence-based choices on staffing in order to ensure better outcomes. In the absence of national standards, critical shifts in the supply of healthcare are engendered, resulting in significant variations in compliance with the ethical principles of justice and equity.

Key words.

Staffing, missed care, skill mix, turnover, quality of care, patient safety, work environment, fundamentals of care, burnout

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